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martedì, Giugno 17, 2025

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Il progetto di agricoltura innovativa nel Carcere di Poggioreale vince l’Oscar Green Coldiretti 2025

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Il progetto di inclusione “Osservare la Terra, dalla pratica del giardinaggio alla cura del Paesaggio” per il recupero di un’area verde all’interno delle mura del Carcere di Poggioreale ha vinto il primo premio nella categoria “Coltiviamo insieme” dell’Oscar Green 2025 organizzato dalla Coldiretti e rivolto alle buone pratiche dei giovani in agricoltura. Il progetto è portato avanti dalla cooperativa Aps Oltre il giardino e prevede l’utilizzo di tecniche agronomiche innovative come l’aeroponica.

A ritirare il premio è stato Riccardo Luciano che condivide il successo con il team che l’ha realizzato e spiega: “Il primo ringraziamento è per la Coldiretti. Ritirare il premio al Villaggio in corso di svolgimento ad Udine è stata una gran bella emozione che ripaga dei lunghi mesi di lavoro. Crediamo nell’agricoltura come metodo vincente per il recupero di quanti stanno scontando una pena all’interno del carcere di Poggioreale. Abbiamo istallato la prima torre di aeroponica che sta dando buoni risultati e presto amplieremo il progetto con nuovi arrivi”.

 Il progetto ha preso vita grazie a un protocollo d’intesa, sottoscritto tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la Federazione regionale Coldiretti Campania. Questo accordo si prefigge l’obiettivo di valorizzare l’agricoltura penitenziaria, nonché di promuovere lo sviluppo di terreni agricoli all’interno degli istituti penitenziari della Campania. In particolare, il progetto mira a riqualificare l’area agricola della Casa Circondariale “Giuseppe Salvia”, riconoscendo il valore ecologico e culturale delle attività agricole nei contesti carcerari. 

La riqualificazione degli spazi agricoli ha l’obiettivo di garantire un ambiente dignitoso e stimolante per i detenuti, facilitando il loro processo di reinserimento nella società. Creare uno spazio comune dedicato alla formazione e alla produzione agroalimentare è essenziale per promuovere interazioni positive tra detenuti e comunità esterna, migliorare le condizioni di vita in carcere e aiutare a sostenere il benessere psicologico dei ristretti. Attraverso il lavoro e la cooperazione si riducono tensioni e conflitti, aumentando il senso di responsabilità e il desiderio di collaborazione. 

“Da molti mesi sono in vendita nei mercati di Campagna Amica anche gli agrumi coltivati dai detenuti di Poggioreale. “Agrumi in libertà” è un altro progetto che ci inorgoglisce e ci spinge ad andare avanti” conclude Riccardo Luciano.

L’aeroponica è una tecnica di coltivazione fuori suolo, o idroponica, in cui le radici delle piante sono sospese in aria e nutrite tramite una soluzione nutritiva nebulizzata. In sostanza, le piante crescono in assenza di terreno o di qualsiasi altro supporto solido, ricevendo i nutrienti direttamente tramite un sistema di nebulizzazione.

Erika Verduci, la femminilità in uno scatto

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La fotomodella Erika Verduci ha iniziato il suo percorso con gli shooting. Gli scatti fotografici le permettono di esprimere il suo essere e il suo stile sensuale e accattivante allo stesso tempo. Erica è una ragazza dalle idee chiare e saper valorizzare il lato femminile ha la priorità nel suo lavoro.

Come è nata la tua passione per la moda e come ti sei avvicinata?
“Ciao e grazie per l’invito! La mia passione per la moda è nata molto presto, in modo spontaneo. Fin da piccola ho sempre amato farmi fotografare e giocare con lo stile, cercando di esprimere la mia personalità attraverso i vestiti. Non ho mai frequentato passerelle, ma ho sempre lavorato molto con la fotografia, che per me è un modo diretto e creativo di comunicare”.

Con chi instauri, in genere, una collaborazione e qual’ è il campo in cui ti senti più a tuo agio?
“Mi piace collaborare con fotografi e stylist che sanno valorizzare la femminilità in modo naturale e autentico. Mi sento molto a mio agio davanti all’obiettivo, specialmente quando si lavora con persone che rispettano la mia visione e il mio stile. Mi piace creare insieme e mettermi in gioco, senza forzature”.

Quanto sono importanti i social per te e perché?
“I social sono fondamentali. Oggi sono una vetrina immediata, un mezzo potente per raccontarsi e farsi conoscere. Mi permettono di esprimere il mio stile, la mia energia e di entrare in contatto con persone e professionisti da tutto il mondo. Sono anche uno spazio di ispirazione continua”.

Nel tuo percorso da fotomodella, qual è stato il momento più difficoltoso?
“Il momento più difficile è stato superare l’insicurezza iniziale. Esporsi al giudizio degli altri non è semplice, soprattutto sui social. Ma col tempo ho imparato a credere in me stessa, a essere selettiva con chi collaboro e a restare fedele alla mia identità”.

Parteciperai a qualche sfilata o concorso di bellezza in futuro?
“Non ho ancora sfilato e al momento non è una mia priorità, anche se non escludo nulla. Preferisco concentrarmi su shooting fotografici, dove riesco a esprimermi meglio. Se arriverà la proposta giusta, valuterò con piacere”.

Cosa hai provato al primo scatto fotografico?
“Ricordo benissimo il mio primo shooting: ero emozionata, un po’ tesa, ma anche felice. Da subito ho sentito che era il mio ambiente naturale. Ogni scatto è una piccola sfida e una scoperta”.

Che tipologia di abiti ti piace di più indossare, dentro e al di fuori dei riflettori?
“Mi piacciono molto gli abiti attuali e femminili. Preferisco capi aderenti, che valorizzano il corpo: vestiti stretti, crop top, jeans skinny… Le cose larghe non mi rispecchiano. Anche nella vita di tutti i giorni seguo le tendenze, ma sempre adattandole al mio gusto”.

Infine, a cosa aspiri?
“Aspiro a crescere, a migliorarmi e a trasformare la mia passione in una carriera sempre più solida. Voglio continuare a esprimermi, ispirare e magari diventare un punto di riferimento per chi ha voglia di crederci, senza dover per forza rientrare negli “schemi” classici”.

Giovani e attivismo politico, tra voglia di partecipazione e spazi marginali

Molto spesso, quando si parla di politica, emergono sempre alcuni problemi legati ai giovani. C’è chi sostiene che questi si disinteressino della politica, altri che se ne interessano pure troppo, mentre altri ancora, una maggioranza a parole, ma minoranza nei fatti, sostengono l’importanza e il ruolo dei giovani.

Per poter capire di più e veramente quello che pensano e fanno di e in politica i giovani ci siamo recati presso l’Università La Sapienza di Roma dove ci siamo incontrati con Filippo Pati, studente al quarto anno presso la Facoltà di Giurisprudenza, Commissario provinciale Forza Italia Giovani Lecce, vice coordinatore regionale Forza Italia Giovani Puglia, responsabile comunicazione Forza Italia Giovani Puglia e responsabile Studenti per le Libertà Sapienza.

Questa è solo la prima di una serie di interviste a giovani studenti che si occupano di politica dentro l’università e nel quotidiano.

Filippo, allora che cosa è per te la politica?

“La politica per me è il rispondere in prima persona al disagio e alle problematiche che si vivono ogni giorno e fornire delle soluzioni. Di fronte a un problema collettivo che si vive in prima persona si sceglie di agire, non solo come elettore, ma come parte attiva. È un impegno e un modo per declinare in maniera diversa la propria cittadinanza”.

Per quale motivo hai iniziato a fare politica?

“Ho iniziato a fare politica perché mi ritenevo insoddisfatto di ciò che accadeva intorno a me. Sono cresciuto in un’epoca di crisi, tutta la nostra infanzia e adolescenza è stata contrassegnata da difficoltà per il nostro Paese e vedevo nella narrazione di tutti i giorni, anche a casa, un forte malcontento. Al che, anche grazie allo stimolo delle discussioni in famiglia, ho recepito quasi un senso di responsabilità nel dover agire, perché sentivo di star subendo quella condizione, oltre ad essere sempre stato trascinato da una grande passione per il dibattito politico e l’attualità”.

Quali sono, secondo te, i compiti della politica e quali spazi ha?

“La politica deve riuscire a indirizzare e incanalare il dibattito pubblico. Di fronte a temi complessi si deve riuscire a dare uniformità ai vari indirizzi della massa. In qualche modo organizzare il dibattito pubblico, questo è il compito della politica, non mutare quelle che sono le istanze della massa, ma darle un contenitore e una forma dove esprimersi”.

Quale apporto possono avere i giovani in politica?

“I movimenti giovanile, in qualsiasi forma, hanno il compito di dovere essere fastidiosi verso la classe dirigente. La maggior parte di questi movimenti, o meglio quelli più rilevanti nel dibattito pubblico, fanno riferimento a una struttura nazionale partitica, di grandi. Il compito primo, del movimento giovanile, è quello di diventare lo scoglio più grande per i loro corrispettivi adulti. Devono diventare la prima sacca di dissenso, il primo giudice dell’azione, perché sono quelli che per primi subiranno le azioni delle politiche odierne e soprattutto hanno dalla loro l’incoscienza di essere giovani, quindi gli può essere perdonato un certo tipo di non istituzionalismo. Dobbiamo sfruttare questa nostra posizione per essere formativi per il partito, anche perché le istanza, in qualsiasi modo declinate, meno conservatrici o per le posizioni stesse o per il modo di fare politica appartengo per forza di cose ai giovani. Motivo per il quale a vent’anni non si è democristiani, ma incendiari”.

Visto che frequenti l’università, ha senso fare politica negli atenei?

“Sì, assolutamente sì. Proprio il mondo universitario, al contrario di altri, si presta ad essere un micro mondo che ripropone le dinamiche del contesto nazionale e locale. Sono centri autonomi con proprie dinamiche e fortemente influenzabili da un dibattito democratico collettivo che in qualche modo rivive l’esigenza di un confronto politico. Tentare di estromettere un certo tipo di attivismo politico dal mondo universitario equivale ad allontanare i giovani dalla discussione dell’attualità. Inevitabilmente le decisioni della politica, anche proprio a livello tecnico, un ministro o una riforma o le discussioni di questi giorni, interessano lo studente. Pensare di tenere la politica fuori dai contesti universitari è assurdo”.

Quali sono, secondo te, le tre priorità che dovrebbero interessare la politica?

“La responsabilità generazionale, intesa nel fatto che bisogna avere contezza di dover sacrificare l’interesse immediato per uno di lungo termine, una sostenibilità delle proprie scelte. Responsabilità nella gestione del potere, non si deve peccare di hybris e pensare di poter indirizzare le masse verso un qualcosa, ma bisogna diventare megafoni di un sentimento che proviene dalla collettività. Non trasformare mai l’avversario politico nel nemico politico, perché si rischia di creare non ideologie, ma tifoserie. Non si riesce, quindi, a tornare sui propri passi su una propria idea perché utile, ma a quel punto diventa una questione di principio”.

Cosa risponderesti che fare politica, a tutti i livelli, non ha senso?

“Risponderei che in qualsiasi contesto la politica la fai comunque. Qualsiasi scelta tu che a un certo punto riguarda il tuo essere all’interno di un gruppo sociale è fare politica. Si confonde fare politica con il professionismo politico e quella è un’aspirazione che puoi e non puoi avere, dipende quello che vuoi fare nella vita. Credere di non fare politica è non aver capito che cosa voglia dire politica nel suo senso più ampio. Qualsiasi azione che si fa all’interno di una collettività è politica. Non puoi non fare politica, inevitabilmente”.

Il pragmatismo della Fede

Come ben sapete Laura Santi, affetta da 25 anni da sclerosi multipla, ha ottenuto dalla Asl dell’Umbria il via libera al suicidio assistito.

E ovviamente si è aperta la solita cagnara sui social laddove i cattolici oltranzisti si sono sperticati nel lanciare anatemi contro questa infausta decisione perché – secondo loro – solo Dio può decidere la sorte di una persona.

Voglio dire la mia sul punto da cattolico apostolico romano che ha un enorme bagaglio di dubbi sulla operatività delle Sacre Scritture, ma cercando contestualmente di offrire un punto di vista più oggettivo possibile – anche se impresa titanica – sfociando, molto probabilmente, in una vistosa contraddizione del pensiero.

A 62 anni ho finalmente dipanato il dubbio in merito al fatto che il dubbio stesso rimane la base del contraddittorio interiore al fine di continuare un percorso iniziatico per migliorarsi come persona e, dall’altra, emerge prepotentemente – in un personalissimo egoteismo smisurato – che si cerchi di dare valore alla propria persona per resistere agli attacchi dei dubbi degli altri al fine di gestire i propri e basta.

E quindi ho il dubbio se sia giusto o meno che una persona chieda di potersi ammazzare.

Su questo si entra nei meandri a noi sconosciuti, ma che sono attualizzati al tempo presente, dato che il passato non esiste se non come ricostruzione dei ricordi e il futuro è il tempo dell’attesa.

Sant’Agostino, a conferma di ciò, ebbe a dire che esiste solo il tempo presente come percezione e il passato e il futuro non esistono perché è valido solo il presente perché il pensiero è solo attuale e istantaneo anche se rivolto – appunto- al passato o al futuro.

Quindi mi domando come percepisca Laura Santi il suo presente, se non di dolore e stufa per questo.

Perché ci si stanca anche a soffrire non abituandoci mai e si ha il diritto di dire basta.

Søren Kierkegaard riteneva che il bambino è sempre felice perché è alla scoperta di un mondo di sensazioni nuove in un’ottica prospettica di un futuro radioso che, con l’avanzare dell’età della ragione, comporta che questa felicità si perda per entrare nei meandri della vecchiaia e della rassegnazione laddove tutto è perduto e rimanendo delusi dalla vita stessa.

Mario Tobino, il grande neuropsichiatra scrittore di Viareggio, ebbe ad affermare che la vecchiaia è una questione di prospettive.

Se quindi mi dovessi immedesimare in Laura Santi e nella sua prospettiva non so come reagirei ad essere nel dolore fisico da 25 anni dato che non sopporto neanche 37,3 di febbre come ogni “maschio” italico, frignone per eccellenza e di cui io sono il fiero portavoce.

Su questo ritengo che la Fede – più o meno solida – non possa essere di aiuto e se lo fosse si morirebbe in odore di santità come Carlo Acutis.

In realtà se da credente penso che uno Stato debba tutelare ogni diritto e che poi stia a noi avvalersene o meno, dall’altro non si possono censurare alcuni diritti andando sul divino che per alcuni è un’invenzione.

E non può assolutamente accadere che per alcuni che credono in Cristo si vada a togliere la libertà operativa di chi non crede in Lui, proprio per non togliere il fondamento della società occidentale che si basa – a modello della πόλις greca – sulla regolamentazione della comunità con la salvaguardia delle esigenze di tutti in un sottaciuto contratto sociale di mutua assistenza tra cittadini.

Ne consegue che non deve esistere il primato dello Stato sulla Chiesa e viceversa, ma solo la tutela, anche evangelica, dei diritti, compreso quello di togliere il disturbo.

E soprattutto non posso, da credente, giudicare le decisioni di altri dato che può giudicare solo Cristo Nostro Signore che è più buono e misericordioso di quel che ci si possa aspettare, pur facendo spesso qualche scemenza che fa sorgere in noi gravi punti interrogativi.

Non conosco Laura Santi e non so nulla di lei, se credente o meno, ma certo è però che ho la sensazione che Dio abbia un occhio vigile e pieno di amore su di lei e sulla sua scelta che ai credenti – quelli in salute sia ben inteso – risulta scellerata.

In realtà penso che il volano rivoluzionario delle Sacre Scritture, amplificato dalla magnanima concessione del libero arbitrio, non sia la speranza, ma la misericordia e il perdono per tutti.

E ho la speranza che Dio comprenda la scelta di chi soffre, che sono sempre i suoi figli prediletti anche se non credono in Lui.

Indro Montanelli, super ateo, ebbe a dire la frase più spirituale del mondo: Se esiste Dio e un giorno andrò in Paradiso, non sarò io a dare spiegazioni a lui ma lui a me.

Di sicuro le dovrà dare a Laura Santi accogliendola nella futura luce eterna dove non soffrirà più.

“Festival di Napoli” a Guardea: alla conduzione c’è Enza Guadagni

Domenica 8 giugno, nella città di Guardea, in Umbria, si terrà il “Festival di Napoli”. L’evento è stato organizzato dall’ANIA (Associazione Nazionale Italiana Artisti) e punta ad ottenere una maggiore visibilità nazionale e internazionale, soprattutto attraverso i social. Il successo del festival verrà misurato tramite ascolti, feedback online e tramite l’impatto sulla carriera degli artisti partecipanti. L’intento, dunque, è anche quello di superare le già confermate 2.500.000 visualizzazioni.

Enza Guadagni, showgirl

Gli obbiettivi che sino posti, però, con questa iniziativa sono di: rilanciare la canzone napoletana d’autore; offrire visibilità agli artisti; sensibilizzare il pubblico verso nuove interpretazioni della tradizione musicale napoletana e garantire un format televisivo di prestigio per la diffusione dell’evento.

Il “Festival di Napoli” vedrà la conduzione di Massimo Abbate affiancato dalla stupenda Enza Guadagni, showgirl e bellezza partenopea conosciuta per le sue collaborazioni teatrali cinematografiche e per le sue sponsorizzazioni di brand sui social. Per lei, con questo festival si apre una nuova porta nel mondo dello spettacolo. Enza si distingue dalla massa per il suo studio e la sua passione per il teatro. Ultimamente è stata testimonial, insieme ad Anna Falchi e Beppe Convertini, del brand Tricosistem di Roberto Petroccia.

“Sono molto orgogliosa di partecipare a questo festival storico – dichiara Enza Guadagni – E’ la mia prima co-conduzione e sono davvero emozionata, ma allo stesso tempo fiera di far parte di questa squadra. Darò il massimo, con tutto l’impegno e la passione che ho, e spero di non deludervi”.

Le energie del mese di giugno 2025 con i tarocchi di Astrid

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La strega Astrid mostra le energie del mese di giugno 2025. Nuove forze e nuove emozioni raccontate attraverso le sue letture. La ruota della fortuna, il decimo arcano, girano e Astrid lo annuncia.

Regione Umbria, dal presunto buco di bilancio in sanità alla richiesta di danni alla stampa

Il tema della sanità sta tenendo banco nel dibattito politico in Umbria ormai da diversi mesi. Governo e opposizione non si sono risparmiati, attaccando e rispondendo su tutto, anche sui punti e sulle virgole. È necessario, però, fare un passo indietro e ricostruire tutta la vicenda per poterla comprenderla al meglio, anche alla luce delle ultime dichiarazioni ufficiali di questi giorni.

Il tema del buco di bilancio della sanità regionale compare per la prima volta, andando a vedere l’archivio delle notizie dell’Assemblea legislativa, il 18 marzo 2025, in una nota del gruppo consiliare del Partito Democratico. All’interno di questa era contenuto la notizia che il precedente governo regionale, a guida centrodestra, aveva lasciato “243 milioni e 500 mila euro di disavanzo, distribuiti nei conti delle aziende sanitarie e ospedaliere dell’Umbria”. A stretto giro erano seguite le dichiarazioni dei consiglieri di maggioranza Ricci (Avs), Simonetti (M5S) e Tagliaferri (Umbria Domani), mostrando preoccupazione per il momento difficile della sanità umbra. Compare per la prima volta, nella nota del consigliere Simonetti, il rischio di un commissariamento della sanità umbra.

La risposta dell’opposizione non si fa attendere. Tutti i consiglieri, in una nota congiunta, sostengono, infatti, come i conti della Regione siano “in linea con il passato” e che “i 240 milioni di euro costituiscono solo un dato parziale, compensato dai 153 milioni positivi”. Nei giorni successivi il dibattito politico è stato caratterizzato da una serie di botta e risposta tra maggioranza e minoranza, dove una parte attaccava l’altra sui metodi e sulla comunicazioni, senza però aggiungere nulla alla questione sanità. Il 20 marzo, una nota del gruppo di Fratelli d’Italia aggiunge un tassello in più alla vicenda. I consiglieri Pace, Giambartolomei e Agabiti, infatti, attaccano la presidente e la maggioranza, sostenendo che, nei cento giorni dall’insediamento non erano state raggiunte le promesse della campagna elettorale, ovvero “le liste d’attesa non sono state azzerate ma raddoppiate”, mentre è in potenza un aumento delle tasse. Andando a vedere l’elenco delle dichiarazioni il governo regionale e i suoi esponenti sembrano presi in contropiede, in quanto la risposta, a differenza di altri casi, arriva solamente il giorno successivo, e non in forma congiunta, ma ogni gruppo per sé, in particolare il Partito Democratico, Umbria Domani e il consigliere cinquestelle Simonetti. I quali sostengono come l’azione dell’opposizione sia solo l’espressione di “una destra nel pallone” che deve nascondere “il fallimento” del governo precedente. A questo punto l’opposizione risponde portando dei numeri, in particolare criticando la giunta regionale di voler usare il bilancio sanitario come cavallo di Troia per poter richiedere, “ai limiti del prelievo forzoso” 322 milioni di euro agli umbri, un aumento pro capite di 500 euro a persona. I consiglieri riportano, inoltre, che ai 153 milioni di attivo non conteggiati ai 243 milioni, lo Stato, tramite i Ministero della Salute e quello dell’Economia, devono ancora inviare alla Regione Umbria 47,5 milioni per il 2025 e 76 per il 2026, rendendo fallace anche il disavanzo di 90 milioni.

Alla nota del centrodestra non c’è risposta da parte della maggioranza negli organi ufficiali della regione. Si passa direttamente alla notizia dell’approvazione, in data 24 marzo 2025, in Prima commissione del disegno di legge “Disposizioni in materia di tributi regionali”. Nel corso della seduta, il vicepresidente della Giunta regionale, Tommaso Bori (PD) ha illustrato come i dati portati dall’opposizione non risultino essere corretti, in quanto è vero che ai 243 milioni ne vanno sottratti 153, ma dei 90 che restano, i tagli del governo centrale non permetteranno il rientro. Situazione che “ha posto la Giunta nell’obbligo di agire, per evitare il rischio commissariamento. Con questo disegno di legge si aumenta già dal 2025 l’addizionale regionale Irpef, ma non per i redditi fino a 15mila euro. Negli altri scaglioni si arriverà all’1,95% fino a 28mila euro, al 2,05 fino a 50mila e a 2,1 oltre i 50mila. Dal 2026 l’Irap aumenterà dello 0,5%, mentre il bollo auto salirà del 10% escluse le categorie esenti”.

A questo punto entra nella storia un altro elemento importante: la relazione commissionata dalla Regione a una società esterna. Nel corso della presentazione del piano per salvaguardare la Regione dal vedersi commissariata la sanità, la presidente Proietti, e poi il vicepresidente Bori, hanno parlato di una relazione e di uno studio sui conti della sanità regionale, commissionato dalla stessa Giunta a una società terza, per poter poi sviluppare un piano. Il problema è che si è parlato di questa assegnazione e studio, e soprattutto della relazione, come di una cosa già avvenuta e letta. In realtà la determina dirigenziale di assegnazione dello studio, al costo di 135 mila euro e, stando a quanto dichiarato dalla stessa Proietti, i risultati saranno disponibili solo a partire dal 30 aprile. Insomma, si è trattato di un autogol clamoroso, fino a quel momento, a livello comunicativo non vi erano stati errori, da parte della Giunta, in un momento molto delicato, in quanto il motivo dell’aumento delle tasse era dovuto al rosso in sanità, certificato da società terza e dal bilancio delle USL, ma il referto di questa società terza ancora, stando a quanto dichiarato, non era disponibile. A questo punto i consiglieri di opposizione si sono domandati e hanno richiesto di vedere lo studio privato sul bilancio, e hanno sollevato anche dei dubbi sul fatto che sia stato assegnato a una società privata quando ogni ente statale ha un ufficio contabile e si può sempre rivolgere alla Corte dei Conti. Dubbi che hanno portato il centrodestra a occupare l’aula fino al giorno della votazione del disegno di legge sui tributi, o almeno fino al momento in cui sarebbe stato reso disponibile la ricerca e un dibattito serio sulla questione aumento tasse. Tutto ciò non è avvenuto. L’occupazione è continuata fino al giorno della seduta, il 10 aprile. Nel corso del question time il vicepresidente Bori ha risposto alla domanda del consigliere Giambartolomei sull’affidamento della ricerca a una società terza, piuttosto che ad Agenas, pubblica e con un costo minore rispetto a u, sostenendo che “le motivazioni alla base della scelta della Giunta riguardano la necessità di un operatore esterno che potesse garantire celermente l’analisi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del sistema sanitario regionale, identificando le macro variabili prioritarie al fine di individuare eventuali aree di inefficienza e inappropriatezza. Un’analisi propedeutica rispetto alle scelte future che l’amministrazione regionale metterà in campo per perseguire i migliori modelli operativi e organizzativi, per migliorare la qualità dei servizi e il rapporto tra costo ed efficacia”. Alla fine della seduta la Disposizione in materia di tributi regionali risulta approvata, con giubilo della maggioranza, che lo definisce un “provvedimento necessario, equo e coraggioso”, mentre la minoranza sostiene che i proventi delle tasse non andranno a sostenere i costi della sanità, ma saranno impegnati in altri campi.

La situazione sembra concludersi con l’approvazione del disegno di legge, ma si sa che in politica le cose, soprattutto quando si tratta di materia fiscale, tengono banco più a lungo. L’opposizione, infatti, aveva fatto richiesta per una mozione di sfiducia nei confronti della presidente di Regione. Mozione che era stata, però, calendarizzata solo dopo la seduta del 10 aprile, per essere precisi è stat messa all’ordine del giorno per la seduta del 29 aprile, venti giorni dopo la richiesta, facendo di fatto perdere il valore e l’effetto che questo atto politico comporta. Ovviamente la sfiducia è stata respinta, ma l’opposizione ha lamentato la scelta dell’ufficio di presidenza di una calendarizzazione che ha penalizzato l’atto.

Dopo questo atto la situazione sembrava aver preso la via della fine, se non fosse che nei giorni scorsi, il 24 maggio, usciva una nota dell’Avvocatura della Regione Umbria, contente la spiegazione sul funzionamento del payback dei dispositivi medici e sulle notizie circolare nei giornali, precisando che “Il payback sui dispositivi medici è un meccanismo di politica sanitaria che, in caso di superamento di un tetto di spesa regionale, impone alle aziende fornitrici di questi dispositivi di contribuire a ripianare parte dello sforamento dei tetti che le Ragioni stanziano per questi prodotti”. Se la nota si fosse fermata a questo e al riportare il caso del Tar del Lazio che ha stabilito che le aziende non possono non pagare il payback e le dichiarazioni del ministro Giorgetti sul tema non ci sarebbe stato nessun problema. Alla fine del documento, però, si trova una parte che riportiamo di seguito: “Infine la Regione comunica che, per contrastare tutte le informazioni fuorvianti e non corrette anche pubblicate, si riserverà di adire le vie legali anche con richiesta di risarcimento per danni a tutela dell’immagine degli amministratori, dell’istituzione regionale e per trasparenza e correttezza nei confronti dei cittadini”.

Frase che ha suscitato la reazione degli addetti ai lavori e dell’Ordine dei Giornalisti dell’Umbria, che ha fortemente criticato questa presa di posizione della Regione, sostenendo che “l’Odg prende atto con rammarico che la Regione Umbria si riserva di ‘adire le vie legali anche con richiesta di risarcimento danni’ e ‘per contrastare tutte le informazioni fuorvianti e non corrette anche pubblicate’ in relazione alla diatriba tutta politica e partitica sulla situazione della sanità umbra. L’Odg sottolinea che la categoria svolge le sue funzioni nel rispetto del diritto-dovere di cronaca e nel ruolo di spazio libero di confronto e dibattito nel rispetto delle contrapposte posizioni che le conferisce l’ordinamento”.

Va, dunque, ricordato che i primi due commi dell’articolo 21 della Costituzione italiana recitano queste parole: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Inoltre va ricordato che il diritto di cronaca è un diritto insopprimibile, ovviamente attinente alla realtà sostanziale dei fatti, ma che è tutelato dalla Costituzione, proprio per fare fronte a tentativi di censura o minacce quando si riportano notizie che non piacciono, ma sono vere.

Sulla libertà di stampa e sull’eliminazione del diritto di critica

Essere giornalista pubblicista non è la mia attività lavorativa, facendo ben altro, ma è semmai un sogno coltivato da piccino, che non mi dà da vivere.

Per diventarlo, dopo due anni di articoli anche su altre testate, ho dovuto fare una sorta di esame e studiare anche tutta la legge sulla stampa con il risultato che – dopo l’abilitazione – adesso sono iscritto a due ordini professionali.

Questo ha comportato che ho capito al meglio cosa significhi essere un giornalista e i rischi che si possono correre.

Il problema è quando si forniscono notizie senza averne accertata la veridicità con il risultato eclatante che può accadere che i quotidiani siano invasi da fake news a volte involontarie, ma fatte salve quelle dei giornalisti politicizzati che perdono il lume della ragione giornalistica, svilendo la bella professione.

Questo almeno accade nelle grandi testate giornalistiche nazionali mentre nei giornali locali l’aria di libertà- per dirla alla Calamandrei – si respira a pieni polmoni e nessuno di noi che abbia in animo di fornire notizie non vere o veritiere.

Semmai è da verificare in maniera certosina la notizia, ma a volta risulta impossibile perché alle prime domande più approfondite cala l’omertà.

Nasce così l’articolo basato su notizie apprese qua e là, ma da fonti certe o da persone in cui si ripone la massima fiducia non sapendole bugiarde.

In questo si sostanzia il giornalismo in parole povere.

Sappiamo tutti al meglio che la scorsa settimana c’è stata una vistosa polemica tra i giornalisti che hanno subìto un attacco e la Regione dell’Umbria in persona della “chierichetta” Proietti che, accusata di dire cose non proprio vere, l’ha presa male se non malissimo, dando mandato alla avvocatura regionale di promuovere iniziative legali per denunciare per diffamazione quei giornalisti che avrebbero riportato notizie non vere e venendo sostanzialmente essere accusati di lesa maestà.

Sul punto di questo attacco alla libertà di informazione, l’Ordine dei Giornalisti in persona del presidente Luca Benedetti, ha glissato in maniera elegante – quasi democristiana – non raccogliendo l’invito alla guerra che, invece, la politica sperava di fa nascere per alimentare un dibattito sul nulla.

Ora, se anche recentemente la Cassazione Penale sezione 5 con sentenza 19102/2025 del 26 maggio 2025 ha stabilito il limite tra diffamazione e diritto di cronaca giornalistica e di cui la avvocatura regionale sembra non averne tenuto conto ed è grave, altrettanto grave è il tentativo della giunta di sinistra della nostra Regione di silenziare chi non è omologato al pensiero dominante di sinistra stessa.

Se da una parte l’Ordine dei Giornalisti è un organo di governo professionale e quindi racchiudente anche varie anime politiche dei giornalisti che ne fanno parte, dall’altra l’avvocatura regionale – quale organo tecnicissimo – non si dovrebbe far trascinare da diatribe politiche indipendentemente dal colore politico della giunta governante.

Alla giunta Tesei sono state rivolte critiche feroci più o meno fondate, ma forse, proprio perché avvocato, non ha mai pensato di interessare l’avvocatura regionale per silenziare la critica stessa.

E stiamo parlando della Tesei che ha un caratterino particolare e non ha mai brillato per simpatia.

In realtà la Proietti, quelle che parla di Cantico delle Creature, di san Francesco e chi più ne ha ne metta, appare molto meno tollerante dall’immagine che propone al popolo bue che non le perdona una politica sui generis in merito al bilancio sulla sanità e sulle liste di attesa perché il popolo ha la sensazione di essere stato preso in giro da questa deliziosa fatina della politica de noantri.

Il problema nasce dalla vecchia “questione morale” anticipata dal compiantissimo Enrico Berlinguer in cui questo campione – onesto e rigoroso per eccellenza – criticava una sorta di supremazia del pensiero comunista e creando una élite culturale che, quindi, era staccata dal popolo stesso.

Una sorta di indiretta critica al famigerato “manifesto di Ventotene” di Spinelli che è tutto che un inno alla libertà.

Questo comporta la carenza di una democrazia e di dibattito su cui si fonda la civiltà occidentale

Molte volte accade che – a livello mediatico – certi personaggi di sinistra vengano osannati da altri personaggi di sinistra che esaltano la “giusta battaglia” lasciando intendere che solo loro sono i depositari di una verità assoluta quando in realtà è relativa in considerazione che anche quelli di destra pensano che sia la loro la “giusta battaglia” stessa.

Ne consegue che in nome di un antifascismo imperante ci si comporti, nei fatti concludenti, da prevaricatori perché cercare di silenziare le critiche al governo – anche se regionale – accadde sotto il pessimo ventennio.

Aveva proprio ragione Ennio Flaiano: “I fascisti si dividono in due categorie:i fascisti e gli antifascisti”.

Questo è.

Il delitto di Meredith Kercher: omicidio in via della Pergola

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Il delitto della studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto la notte tra il 1° e il 2 novembre 2007 a Perugia, è uno dei casi giudiziari più discussi e controversi della cronaca nera italiana. La morte della giovane studentessa britannica, partecipante al programma Erasmus, ha suscitato un ampio dibattito pubblico e mediatico, sollevando interrogativi sulla giustizia e sulle dinamiche processuali.

Meredith Kercher, 21 anni, fu trovata senza vita nel suo appartamento in via della Pergola 7, a Perugia. La causa della morte fu un colpo inferto con un oggetto contundente, probabilmente un coltello. La scena del crimine presentava segni di effrazione, e inizialmente si pensò a un tentativo di rapina finito male. Tuttavia, le indagini si concentrarono rapidamente su Amanda Knox, una giovane studentessa statunitense che condivideva l’appartamento con Meredith, e sul suo allora fidanzato, Raffaele Sollecito.

Amanda Knox e Raffaele Sollecito furono arrestati e accusati di omicidio e violenza sessuale. Il 4 dicembre 2009, la Corte d’Assise di Perugia li condannò a 26 e 25 anni di reclusione, rispettivamente. Tuttavia, nel 2011, la Corte d’Appello di Perugia annullò le condanne, assolvendo entrambi con la formula “per non aver commesso il fatto”. La Corte ritenne che le prove a loro carico fossero insufficienti e che le indagini fossero state condotte in modo approssimativo.

Nel 2013, la Corte di Cassazione annullò l’assoluzione, ordinando un nuovo processo. Nel 2014, la Corte d’Appello di Firenze li condannò nuovamente, ma nel 2015 la Corte di Cassazione annullò definitivamente le condanne, dichiarando l’innocenza di Knox e Sollecito e sottolineando le gravi lacune nelle indagini e nelle perizie.

Nel corso delle indagini, emerse il coinvolgimento di Rudy Guede, un giovane ivoriano che aveva frequentato Meredith. Le sue impronte e tracce di DNA furono trovate sulla scena del crimine. Guede fu arrestato e, nel 2008, processato con rito abbreviato. Fu condannato a 30 anni di reclusione per omicidio volontario aggravato da violenza sessuale. La pena fu successivamente ridotta a 16 anni. Dopo aver scontato parte della pena, nel 2020, Guede ottenne l’affidamento ai servizi sociali, in considerazione del suo percorso di recupero durante la detenzione.

Il caso di Meredith Kercher ha sollevato numerosi interrogativi sulla giustizia italiana. Le contraddizioni nelle indagini, le lacune nelle perizie e le decisioni delle corti hanno alimentato il dibattito pubblico. La vicenda ha anche messo in luce le difficoltà del sistema giudiziario nel gestire casi complessi e la necessità di garantire processi equi e trasparenti.

Il delitto di Meredith Kercher rimane un caso emblematico di come la giustizia possa essere influenzata da fattori esterni, come la pressione mediatica, e di come le indagini possano evolversi nel tempo, portando a nuove ipotesi e a revisioni delle sentenze. La vicenda continua a sollevare interrogativi sulla verità e sulla responsabilità, lasciando aperti molti interrogativi sulla reale dinamica dell’omicidio.