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domenica, Luglio 13, 2025

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Manuela Palmeri, esordire davanti una macchina fotografica con determinazione

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Per Manuela Palmeri posare e farsi fotografare davanti una macchina fotografica professionale, sotto i riflettori, è un mondo tutto nuovo. E’ una donna da scoprire, non solo per il suo fascino ma soprattutto per la sua determinazione. Manuela è di Roma, classe 84 e la sua curiosità per questo campo le ha permesso di esprimersi e fare i primi passi.

Com’ è nato il tuo interesse per la moda?

“Il mio interesse per la moda è nato molto presto, quasi in modo naturale. Fin da bambina ero affascinata dai tessuti, dai colori e da come un abito potesse trasformare l’atteggiamento di una persona. Crescendo, ho capito che la moda non è solo estetica, ma anche espressione personale, cultura e comunicazione. È diventata un modo per raccontarmi e per interpretare il mondo intorno a me”.

Effettivamente sei all’inizio del tuo percorso che impressioni ti sei fatta di questa partenza? Te lo aspettavi diversamente?

“Sì, sono ancora all’inizio del mio percorso, ma devo dire che le prime impressioni sono molto positive. È un ambiente stimolante, pieno di creatività e continua evoluzione. Ovviamente non mancheranno le sfide, ma fanno parte del gioco e servono a crescere. In parte me lo aspettavo così, anche se vivere uno shooting è sempre diverso da come le immagini. Ma ho voglia di imparare cose nuove, e questo rende l’inizio ancora più entusiasmante”.

Che sensazione hai provato al primo scatto fotografico e cosa hai provato appena visto il prodotto, le fotografie?

“Al mio primo scatto fotografico ero emozionata e un po’ tesa, ma anche molto curiosa. C’era un mix di adrenalina e concentrazione, volevo dare il meglio di me. Appena ho visto il risultato, le fotografie, ho provato una grande soddisfazione. Mi ha fatto capire quanto lavoro e passione ci siano dietro ogni scatto. È stata una conferma che questa è davvero una nuova strada che voglio seguire”.

A cosa aspiri e quali sono tuoi obbiettivi?

“Aspiro a crescere, ma senza mai perdere la curiosità e l’entusiasmo che mi hanno spinto a iniziare questo percorso. Voglio costruire qualcosa di autentico, che mi rappresenti davvero, sia nel modo di lavorare che nei messaggi che trasmetto. Non mi interessa arrivare “ovunque”, ma arrivarci bene — con coerenza, rispetto e un po’ di sana autoironia, che nella moda (e nella vita) salva sempre. Il mio obiettivo? Evolvermi, sorprendermi e magari, nel frattempo, sorprendere anche gli altri”.

Queste prime collaborazioni invece come sono nate?

“Queste prime collaborazioni sono nate quasi per magia. Un’agenzia mi ha contattata in un momento in cui stavo cercando di capire quale direzione prendere, e forse era destino che mi trovasse proprio allora. Da lì è iniziato tutto. Poi è arrivata la proposta di un brand che mi ha scelta come ambassador: forse perché nei suoi gioielli c’è la stessa luce che io cerco di portare ogni giorno, dentro e fuori. È bello quando le connessioni nascono così, in modo naturale e quasi poetico”.

Che abiti ti piace sfilare o quali ti piacerebbe indossare?

“Mi piacerebbe sfilare con abiti che sento miei, che mi rappresentano davvero. Vorrei indossare capi che esprimano la mia femminilità, ma anche quell’energia più maschile che fa parte di me. Quando questi due lati si allineano, mi sento completa, autentica. Non cerco solo l’estetica, ma un equilibrio tra forza e delicatezza, tra eleganza e carattere. Quello, per me, è il vero stile”.

Il tuo rapporto con i social com’è? Punterai a ingranare anche su questi?

“Il mio rapporto con i social è positivo e carismatico, direi anche curioso. Mi sto allenando a viverli nel contesto di questo periodo storico digitale, cercando di comprenderne il potenziale senza esserne travolta. Credo che, se usati con consapevolezza, i social possano essere una fonte di energia positiva, uno stimolo creativo e uno strumento utile per crescere professionalmente. Sono anche un modo per imparare, osservare, ispirarsi e connettersi con realtà e persone che altrimenti non si incontrerebbero. Quindi sì, ci punto, ma sempre restando fedele a me stessa”.

L’esame di (im)Maturità

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Si legge spesso in questi giorni e rimbalzati sui grandi quotidiani e testate online che alcuni studenti da una parte si lamentano, tramite le loro mamme, come accaduto al liceo classico di Foligno, che il pargolo non abbia preso il massimo dei voti alla maturità e dall’altra di altri maturandi che hanno criticato il metodo di valutazione dell’esame e altri ancora che si sono sentiti umiliati dal presidente della commissione esaminatrice.

Ovviamente a loro favore si sono schierati i pedagoghi e alcuni psicologi ai più sconosciuti che, alquanto politicizzati a sinistra, hanno gridato al mondo la giustezza di tali contestazioni ma sfociando nel ridicolo.

In altri casi hanno specificato che la contestazione era giusta perché, essendo al governo questa destra che di destra non ha nulla e non se ne sono accorti, ritengono che il sistema di esame di maturità debba essere rimodulato per cancellare ogni traccia di fascismo latente e, quindi, abbattere ogni autorità costituita.

Questo atteggiamento della intellighenzia de noantri, laddove le persone di asserita cultura si espongono da sinistra in maniera anche cattiva mentre i grandi pensatori della destra sono silenti e arroccati nel loro credo politico perché non hanno voglia di perdere tempo in confronti da lavandaie, cozza mirabilmente con il sentire del popolo e, scostandosi da esso, con il risultato che pochi cosiddetti eletti al male decidono per tutti cosa sia giusto e cosa non giusto, svilendo la democrazia partecipativa.

In pratica la perfetta applicazione del Manifesto di Ventotene di Spinelli che è un inno snob al sopruso di pochi verso i molti a motivo del quale la cultura, ma quella da romanzo Harmony, è in mano alla sinistra.

Infatti le reazioni alle prese di posizione evidenziate nelle prime righe di questo articolo sono state nella stragrande maggioranza di orrore a cui ha fatto da contraltare l’appoggio ricevuto da parte dei soliti noti in cerca di visibilità che hanno avuto eco nelle grandi testate giornalistiche che a loro volta hanno prestato il fianco alla esaltazione degli studenti piuttosto che stigmatizzare questo orrore comportamentale.

La stragrande maggioranza degli Italiani ha fatto l’esame di maturità e il sottoscritto appartiene a quella generazione in cui si facevano gli esami di 5° elementare e di 3° media, ricordandomeli come giornate epocali, ma di crescita del carattere.

Dietro i miei genitori, che se non fossi stato all’altezza sarebbe stata una vita a pane ed acqua come tutti noi di una certa età.

Il concetto è che nel sistema misto tra ultra capitalismo e omologazione, la società è diventata “liquida” come ebbe a profetizzare Baumann nel senso che oramai domina il pensiero uguale per tutti salvo pochi eletti, ritenendo giusto un abbrutimento dei valori dell’occidente verso il basso e svilendo la meritocrazia.

I ruoli si sono invertiti amaramente e la scuola e il corpo degli insegnanti hanno perso quel vigore educativo e del sapere con una parabola cominciata dalla autonomia scolastica e conseguente semi impossibilità di bocciare sia chi non abbia un profitto adeguato dal punto di vista scolastico sia chi abbia 7 in condotta.

Ai miei tempi se un compagno di classe avesse avuto 7 in condotta era marchiato a vita, ma è altra storia.

Oggi, invece, assistiamo alla perdita di uno smalto educativo in virtù di quella omologazione neoborghese citata da Pier Paolo Pasolini in Scritti Corsari e che comporta inevitabilmente che – per combattere il concetto di autorità costituita che è sempre sinonimo di fascismo – un decadimento spaventoso del sistema scolastico.

Nel corso del tempo abbiamo letto, infatti, più volte di alunni terribili, chi risponde male, chi minaccia e chi mette in atto le minacce in danno dei professori laddove se poi la preside prende posizione a difesa, invece, della scuola, rischia di essere anche rimossa perché non politicamente corretta.

E sul punto gioca una carta importante il veicolare parte dell’opinione pubblica a mezzo della carta stampata.

Il problema semmai è altro.

Gli italiani sono reazionari per natura e, quindi, a fronte di questi scempio auspicano un governo forte che in confronto i nazisti erano boy scouts e questo la sinistra non lo ha capito e non lo vuole capire e, quindi, ci teniamo la Meloni.

In realtà basterebbe ridare nuova linfa ai genitori e al loro sistema educativo con sonori ceffoni o mettere i pargoli a pane ed acqua in modo di insegnare loro il rispetto dell’autorità.

Sul punto tuona come un ossesso Paolo Crepet, ma risulta – agli occhi degli stolti – un visionario.

Perché al primo accenno di protesta senza senso, gli alunni dovrebbero essere lanciati dalla dirigente o dal corpo docente dalla finestra assieme ai genitori che li assecondano i quali, se non trovano soddisfazione, si rivolgono agli avvocati.

Ma grazie a Dio, tra quest’ultimi, ci sono quelli che si sostituiscono alla scuola con il risultato che non volano dall’istituto, ma dallo studio legale.

Concludo sostenendo che con il tramonto dell’occidente segnato da tanti piccoli fattori, si stanno allevando tanti ragazzi viziati e per questo debosciati dato che le difficoltà (scolastiche in questo caso) sono il motore per migliorarsi per superare l’ostacolo.

Diventando cittadini veri.

Novifilm, il progetto del giovane regista Matteo Novelli: l’intervista di Lucrezia Lucchetti

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Le origini e la passione di Matteo Novelli per il Cinema raccontato da Lucrezia Lucchetti. Il giovane umbro, regista e produttore cinematografico ha avviato un’attività tutta sua chiamata Novifilm.

Il Pride quale diritto assoluto

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In questo giorni ci sono polemiche a non finire sulla circostanza che il capo del governo ungherese, l’ultra conservatore Orban, ha tuonato contro il Pride che poi si è svolto regolarmente e pacificamente a Budapest e a cui ha partecipato anche la nostra intellighenzia di sinistra, non tanto e secondo me per portare solidarietà a chi manifestava, quanto per sminuire la figura di Orban stesso agli occhi dell’Europa a trazione progressista.

Ne consegue che i nostri papaveri di sinistra sia siano recati sul posto anche per farsi pubblicità con la speranza di racimolare in Italia due voti in più di qualche radical chic.

Manifestare è un diritto sacrosanto che non può essere calpestato, ma anzi garantito sia in ordine alla partecipazione dei nostri politici a Budapest sia in ordine alla comunità LGBTQia+ perché siamo in democrazia e ognuno deve avere la possibilità di manifestare senza che altri dicano che non lo puoi fare.

Ho mille pensieri sul Pride e sono contraddittori per una serie di motivi che accennerò.

Innegabile che riguardo la comunità di omosessuali, transgender, fluidi e binari la situazione dovrebbe cambiare dal punto di vista dei diritti civili, da godere al pari di chi non lo è.

Ho avanti ancora l’orrore dell’ostracismo che ebbe a subire il compagno omosessuale di Lucio Dalla a cui non fu permesso neanche una visita in ospedale e se permettete, non mi è stato bene provocando in me come a molti altri sconcerto.

A 62 anni posso dire che le battaglie per i diritti degli omosessuali hanno avuto un loro giusto perché dato che mi ricordo che quando ero giovane se una persona era omosessuale viveva nascosta e sostanzialmente ai margini della società e bollato come “frocio” con un disprezzo vomitevole già a quei tempi.

E se adesso la situazione è cambiata, si deve ai sacrifici sull’altare della patria omosessuale da parte di queste persone che sono uscite allo scoperto per riaffermare il diritto di essere persone senza pregiudizi sessuali e morali.

Ma ho anche amici gay che se da una parte godono di questi nuovi diritti, dall’altra tuonano contro queste manifestazioni carnevalesche che non fanno altro che suscitare in molti un senso di perplessità nel vedere l’ostentazione di una omosessualità che – al pari della eterosessualità – deve rimanere un fatto intimo.

Ama chi vuoi, ma non ostentare al pari di una coppia etero che pomicia in pubblico.

Ne va della dignità della persona.

Ma quando queste manifestazioni prendono una connotazione politica simil fascista in considerazione che vengono censurati chi non la pensi come loro, allora non sono più d’accordo e grido al fascismo di sinistra.

Tralascio volutamente le uscite quasi pirandelliane di un disastro emotivo interiore e scenico, ma certo è che poi vedere che si manifesta per Gaza o per l’Iran – al solo fine di attaccare Israele – dove nei paesi islamici gli omosessuali vengo impiccati o lanciati dall’ultimo piano dei palazzi, svilisce la battaglia per i diritti degli omosessuali stessi che fanno la figura dei cretini o degli ignoranti in materia religiosa.

E protestano contro Orban in Ungheria che invece lo ha di fatto permesso con la partecipazione di 200.000 persone.

Non credo che a Teheran sarebbe stato permesso, ma a Tel Aviv sì, ma tant’è.

A proposito delle tutele delle minoranze come sempre auspicate dalla sinistra, mi viene in mente il nostro vecchio presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che nel 1956 si esaltò quando i russi entrarono in Ungheria per ristabilire l’ordine costituzionale comunista e plaudendo alla repressione della minoranza ungherese.

Quindi una tutela delle minoranze a corrente alternata come ha fatto sempre la sinistra.

È sotto gli occhi di tutti, infatti, questo fascismo di sinistra che si esplica in Italia quando nelle Università i collettivi rossi impediscono di parlare a chi non è di sinistra o addirittura di origine ebraica e segno inequivocabile che non rispettano le minoranze, ma l’ideale politico calpestando tutto con il plauso dei radical chic dall’alto dei loro attici ai Parioli.

Si dimentica la storia e, soprattutto, la storia di Budapest dove durante la seconda guerra mondiale gli abitanti di tale meravigliosa capitale aiutarono Giorgio Perlasca e Raoul Wallenberg (diplomatico svedese poi imprigionato dai russi e impiccato) a salvare gli ebrei rischiando tutti di loro.

E che gli abitanti di Budapest hanno sempre difeso le minoranze ha nel Pride di giorni fa la riprova di una apertura mentale non indifferente facendo schiumare di rabbia Orban.

Il problema, però, è che un conto manifestare per i diritti (sacrosanti per carità) un conto è trasformare tale manifestazione in qualcosa che io ritengo esilarante e contraddittorio perché diventa controproducente verso quegli omosessuali delicati che hanno il precipuo scopo di godersi il loro amore di turno senza essere giudicati da qualche coatto che, invece, viene rispedito al mittente dalla società.

Perché poi c’è il rischio di fare di tutta un’erba un fascio (anche politico), macchiando tutto di ridicolo dato che di diritti non se ne è quasi parlato, ma si sono indossati vestiti di dubbio gusto.

Svilendo gli omosessuali silenti che sono signori d’animo e vestiti con raffinatezza.

Dal Giubileo religioso a quello laico: il Lazio si veste a festa

Dal 20 al 28 giugno alcuni comuni, seguendo la scia delle manifestazioni legate all’anno santo, hanno voluto unire arte, musica e enogastronomia per promuovere loro stessi

Che il motto del Giubileo 2025, “Pellegrini di speranza”, potesse diventare un contenuto da sperimentare in ogni ambito della vita era l’auspicio della Chiesa, chiamata -visti gli scenari di guerra- a tenere fisso lo sguardo su una delle tre virtù teologali. Le città di Castel Gandolfo, Albano Laziale, Anzio ed Ariccia, in sinergia con le associazioni culturali Vitalia, Dream Life, The Events Gold e Freedom, hanno fatto proprio l’obiettivo cristiano organizzando degli eventi, patrocinati dalla Regione Lazio, volti alla valorizzazione del proprio territorio e dei prodotti enogastronomici locali, con visite guidate, stand e degustazioni varie. Il 20 giugno in piazza della Libertà a Castel Gandolfo e il 28 giugno a parco Chigi ad Ariccia si è esibito il Coro Dominus Meus San Tommaso Apostolo mentre il 21 e 22 giugno a piazza Pia ad Albano Laziale ed a Villa Sarsina ad Anzio è salito sul palco l’IC Gospel Choir a chiusura della manifestazione.

Le quattro città si sono mobilitate, dunque, per intercettare più turisti e pellegrini del Giubileo, perché solo attraverso un percorso immersivo in luoghi che pullulano di bellezza si può cogliere veramente la sacralità del momento storico che stiamo vivendo. Da piazza Cavallotti a Castel Gandolfo sono partite due visite gratuite con guide autorizzate per promuovere i tesori del territorio tra natura, leggende, scorci mozzafiato che spaziano dal mare al buon cibo. Nel cuore dei Castelli Romani, affacciato sul cratere del lago Albano, il borgo, tra i più affascinanti d’Italia, celebre per il Palazzo Pontificio, residenza estiva dei Papi sin dal ‘600, è infatti un perfetto mix di arte, storia e gastronomia. Non sono mancati gli aneddoti sulle vicende della piazza ridisegnata dal Bernini, e la chiesa di San Tommaso da Villanova, voluta da papa Alessandro VII. Infine è stato suggestivo l’affaccio sul lago vulcanico più profondo d’Italia, un tempo sacro e prezioso per le antiche popolazioni del Lazio. C’è stata, inoltre, durante la serata la partecipazione degli artisti di via Margutta.

Ad Albano il percorso è partito dal Museo diocesano per arrivare ai Cisternoni, al santuario di Santa Maria della Rotonda, alla cattedrale di San Pancrazio e alla Porta Pretoria. Anzio, invece, per ridare nuova linfa ai punti di maggiore interesse come il Museo civico archeologico, la basilica di Santa Teresa, la chiesa dei Santi Pio e Antonio e la Riserva di Tor Caldara, aperta straordinariamente per l’occasione, ha deciso di dividere gli eventi in due giornate, il 22 e 27 giugno. Il fiore all’occhiello della cittadina rimane il Museo dello sbarco, inaugurato nel 1994 in occasione del 50° anniversario dello sbarco degli Alleati (22 gennaio 1944) lungo la costa tra Anzio e Nettuno. Composto da quattro sezioni (americana, inglese, tedesca e italiana) vanta una media di 25.000-27.000 visitatori l’anno. Al suo interno si possono trovare oltre novanta uniformi di tutte le Nazioni che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale, diversi documenti, foto, distintivi e reperti donati da associazioni dei veterani. Ariccia, invece, ha puntato tutto sulla visita al palazzo ducale, esempio unico di dimora barocca rimasta inalterata nel tempo, catapultandoci nel passato della grande aristocrazia europea attraverso la storia di una delle più illustri casate italiane, i principi Chigi.

Ogni evento ha permesso di riscoprire l’armonia dei cinque sensi in un contesto d’eccezione dove ammirare le bellezze storiche e naturali, ascoltare della musica celestiale e assaporare la cucina locale.

Melissa Martinez, la bellezza e il talento della showgirl italo dominicana

Tra shooting, concorsi di bellezza, apparizioni in tv e recitazioni il curriculum della stupenda Melissa Martinez è molto vasto. L’attrice e showgirl italo dominicana è reduce da un progetto cinematografico intitolato “Antropocene” che tocca una tematica, purtroppo, ancora attuale: la violenza sulle donne. Sono circa quindici anni che la stupenda fotomodella lavora nel mondo dello spettacolo e il suo atteggiamento umile e genuino le ha permesso di raggiungere importanti successi e approdare a programmi televisivi su Real Time e Mediaset.

In che modo è nato il tuo interesse per la moda e quale è stato il tuo percorso artistico?

“Ho sempre avuto un fascino per le velleità artistiche e lo spettacolo in generale ma non avevo mai pensato realmente di mettermi in gioco a parte qualche concorso di bellezza fatto da giovanissima senza prendermi troppo sul serio. Finché il destino un giorno fece sì che mi trovassi in una discoteca dove si stava tenendo il casting per un calendario e fui notata da dei fotografi che mi chiesero se fossi interessata. Il giorno dopo me ne ero già dimenticata, ma poi mi selezionarono tra le 12 protagoniste… e si può dire che da lì cominciò tutto”.

Sei una showgirl, una fotomodella ed un’attrice ma dove ti trovi di più a tuo agio e perchè?

“Se vogliamo parlare di trovarmi ad agio quello non è un problema nel senso che riesco a giostrarmi senza difficoltà in tutto ciò che le mie inclinazioni naturali mi consentono di fare. Se invece la intendiamo per “cosa preferisci tra le cose sopra citate” ti dico senza dubbio la recitazione perché ti permette di poter entrare in qualsiasi veste, inglobando anche fotografia e show. Aldilà di ciò, in pieno contrasto con la figura dell’ artista che notoriamente ha un estro sopra le righe, caratterialmente sono abbastanza pragmatica e ho sempre avuto una sorta di inquadratura “imprenditoriale” quindi sono diventata manager di me stessa, collaboro in parte anche nel dietro le quinte con altre realtà e amo creare connessioni strategiche tra terze parti se se ne presenta l’occasione”.

Il tuo curriculum è davvero vasto ma quale è stata l’esperienza lavorativa più significativa per te?

“Allora, per “significativa” potrei intenderle tutte poiché ogni esperienza è necessaria al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati e di prossime esperienze significative, se il destino o chi per lui me lo permetterà, spero di viverne ancora molte altre. Ma tra queste, oltre a quelle di cui discuteremo nelle prossime domande, ce n’è una importantissima per me… Ovvero il mio percorso negli Stati Uniti che sta andando avanti da tre anni tra New York e Los Angeles, intrapreso con un team di professionisti che mi ha permesso di fare sia formazione cinematografica che pratica sul set con due prodotti audiovisivi realizzati laggiù e che usciranno più avanti. Uno è quasi pronto, per l’altro invece ci vorrà un po’ più di tempo poiché ancora in fase di riprese, facendo i pendolari i tempi chiaramente si allungano”.

Se avessi l’opportunità di tornare indietro c’è qualche scelta che faresti piuttosto che un’altra?

“Ci sono state delle opportunità che mi si sono presentate ma che non ho colto poiché non mi fidavo al 100% di chi me le ha proposte in alcuni casi, in altri perché erano delle situazioni a lungo termine che cozzavano con altre cose già in corso ergo non potevo farle entrambe. Quando poi sono state scelte altre persone un pochino me ne sono pentita ma è anche vero che nulla accade per caso… quindi chi può dire che non sia stato meglio così perché magari dovevo fare altro?”.

Come ti sei ritrovata a partecipare a programmi di un certo rilievo come “Le iene”?

“Diciamo che una volta che entri un po’ nel circuito degli eventi, degli shooting, delle produzioni eccetera e conosci altri colleghi del settore da cosa nasce cosa e una mano lava l’altra… quindi tramite una persona con cui collaboro anche per altri progetti siamo andati in studio. In quel caso non abbiamo avuto un ruolo significativo però ci siamo divertiti molto e abbiamo conosciuto belle persone. Poi chi vivrà vedrà”.

A cosa aspiri? Quali sono i tuoi obiettivi? 

“Se c’è una cosa che ho imparato nella vita e nella giungla dello spettacolo è che non bisogna mai dire sogni desideri ed obiettivi a tutti ad alta voce! Prima li raggiungi in silenzio e poi lasci che i risultati del lavoro parlino per te… perciò al momento preferisco non dirlo. Una cosa però voglio dirla, chi mi conosce lo sa. Uno dei miei capisaldi è quello di non essere identificata solo come una “figurina“ ma poter esprimere il mio potenziale su più fronti mettendomi in gioco e sfidandomi costantemente. Io sono in competizione solo con me stessa, sempre”.

Hai postato una foto con il grande Alvaro Vitali. Hai collaborato anche con lui che esperienza è stata?

“Nonostante in una domanda precedente abbia detto che tutte le esperienze sono ugualmente significative poiché tutte servono per raggiungere gli obiettivi non posso negare che questa lo sia stata particolarmente. Ritrovarmi sul set di un video con un mostro sacro del cinema anni 80 è stato incredibile ma allo stesso tempo divertente e fluido perché lui lo ha reso tale con la sua umanità. Mi ha lasciato un grande regalo emotivo e custodirò questo ricordo per tutta la vita, in pace all’anima sua”.

Dopo la sua scomparsa si sono aperte nuovamente delle polemiche riguardo il fatto che il mondo dello spettacolo l’abbia lasciato solo e senza più nessun ingaggio. Ecco, questa facciata quanto preoccupa gli artisti?

“Diciamo che tutti i settori bene o male presentano le stesse difficoltà seppur cambino le dinamiche…Ma nel nostro mondo tutto è amplificato. Nel caso di Alvaro nello specifico non ho le competenze per poter parlare con cognizione di causa poiché i trascorsi tra lui e le terze parti li sanno/sapevano solo loro. La macchina dello show business a 360° è un tritacarne, oggi ci sei e domani sei nel dimenticatoio e tutto ciò avviene molto rapidamente. Inoltre per un artista, prendendo sempre come esempio Alvaro, vestire i panni di un personaggio iconico può essere una fortuna ma allo stesso tempo una condanna poiché facilmente si resta intrappolati in quel ruolo nell’immaginario collettivo. Non è tanto il concetto di entrarci nel mondo dello spettacolo, riuscire a restarci è la vera sfida. Motivo per il quale è sempre utile avere un piano B, anche un piano C… Facciamo direttamente tutto l’alfabeto che è meglio”.

Parlando di moda, quando sfili o posi per qualche shooting con che tipologia di abiti ti piace farlo? Qual’è il tuo genere preferito?

“Beh, più che per gli shooting adoro indossare abiti eccentrici nel settore degli eventi, contemporaneamente al mondo della fotografia ho fatto e faccio tuttora se capita la performer su eventi, club, manifestazioni eccetera in tutta Italia e anche parte di estero. Perciò entrare in quelle vesti ti fa sentire un po’ Lady Gaga ed è bellissimo. Ovviamente poi gli stessi costumi possono essere utilizzati anche per degli shooting professionali quindi si uniscono due mondi. Anzi possiamo dire tre mondi perché comunque anche quello può essere un collante nella recitazione”.

Quando hai posato per la prima volta per Playboy che emozione hai provato?

“Avevo partecipato al casting tre anni prima e ormai avevo perso le speranze di essere chiamata. Invece un bel giorno quando meno me lo aspettavo è squillato il telefono e sono stata molto felice. L’unico neo è stato che il servizio purtroppo è uscito a ridosso della pandemia e questo ha sicuramente limitato molto la possibilità di poter cavalcare al meglio l’onda del momento. Ciò non toglie che mi ha dato molte soddisfazioni e me le dà ancora adesso poiché fa parte del curriculum e ne vado fiera”.

Alle ragazze che vogliono affacciarsi a questo mondo cosa consigli?

“Potrei consigliare molte cose ma le più basilari sono le seguenti: informarsi sempre a costo di risultare paranoiche su coloro che fanno delle proposte poiché questo settore è pieno di millantatori e, ancor peggio, di truffatori o persone che possono potenzialmente fare del male! Quindi occhi e orecchie sempre aperti. Credere fino in fondo nei propri sogni perché dopo tante cadute prima o poi la perseveranza viene premiata se si posseggono le capacità. Mai perdere di vista i valori e l’umiltà, trattare sempre con rispetto le persone vicine perché senza un seguito non si è nessuno. E ringraziare sempre chi concede senza secondi fini un’opportunità, piccolo o grande che essa sia”.

Infine, cosa bolle in pentola per te a cosa stai lavorando adesso?

“Sia in proprio con un altro collaboratore che per conto terzi sto lavorando a più progetti sia davanti davanti che dietro le quinte, ma siccome sono scaramantica e fatalista, come già detto in una domanda precedente, ne parlerò più avanti. Intanto però uno lo posso svelare, farò parte del cast principale di un film molto particolare, che verrà girato tra Italia e Francia nei prossimi mesi. A breve usciranno vari teaser e in uno ci sarò anch’io, perciò seguitemi su Instagram per restare aggiornati su tutte le news!”.

Da passione a interesse: la moda secondo Laura Augelli

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La giovanissima Laura Augelli è una fotomodella di Torino, di 17 anni, alle prime armi. Nonostante questo, però, la sua spigliatezza con la macchina fotografica e le passerelle è evidente. Per Laura la moda è stata prima una passione poi un interesse da coltivare e vista la giovane età i successi da raggiungere sono molto ghiotti.

Come è nata la tua passione per la moda?

“La mia passione per la moda è nata fin da piccola. Mi divertivo a creare abbinamenti, a giocare con i colori e a osservare come un look potesse raccontare qualcosa di chi lo indossava. Con il tempo, questa curiosità si è trasformata in un vero interesse, tanto da spingermi a partecipare a diversi concorsi di bellezza. Quelle esperienze mi hanno dato fiducia in me stessa e mi hanno fatto scoprire quanto mi piaccia esprimermi attraverso la fotografia e la passerella.

Che cosa hai provato al tuo primo scatto fotografico?

“Al mio primo scatto fotografico ho provato una combinazione di emozione e adrenalina. All’inizio ero un po’ tesa, ma appena ho sentito il click della macchina fotografica, è come se fosse scattata anche una parte di me. Mi sono sentita libera, pienamente nel mio elemento. È stato il primo passo di un percorso che oggi sento mio”.

Quali sono i tuoi piani per il futuro?

Mi piacerebbe continuare a crescere nel mondo della moda, collaborando con brand e professionisti che mi ispirano. Allo stesso tempo, sto seguendo un sogno importante: diventare ostetrica. È una professione che sento nel cuore, perché unisce competenza, umanità e la meraviglia di accompagnare una nuova vita alla nascita. Il mio obiettivo è costruire un futuro in cui bellezza, empatia e autenticità possano convivere

Come hai conosciuto Giuseppe Manca e che tipo di lavoro svolgete insieme?

“Ho conosciuto Giuseppe Manca grazie a una collaborazione professionale. Da subito si è creata una bella intesa: lavorare con lui significa condividere idee, creatività ed energia. Ogni shooting è un’occasione per sperimentare, crescere e raccontare una parte di me attraverso le immagini. Insieme, parteciperemo anche alla finale nazionale di Un Volto per Modella a Pisa, dove avrò l’onore di rappresentare il Piemonte come sua modella: un’esperienza che vivo con grande entusiasmo e responsabilità”.

Quali sono i tuoi hobby, cosa ti piace fare nel tempo libero?

“Nel tempo libero mi piace dedicarmi a me stessa e alle persone a cui voglio bene. Amo ascoltare musica, guardare film che mi ispirano, passeggiare nella natura o semplicemente rilassarmi. Mi piace anche scrivere quando ho bisogno di mettere in ordine i pensieri. Sono momenti che mi aiutano a ricaricare le energie e a restare in equilibrio”.

Quanto sono importanti per te i social e qual è il tuo preferito?

“I social per me sono un mezzo per esprimermi, raccontare il mio percorso e restare in contatto con chi mi segue. Cerco sempre di usarli in modo autentico, condividendo ciò che mi rappresenta davvero. Il mio preferito è Instagram: mi permette di esprimere la mia creatività, comunicare con immagini e parole, e scoprire nuove ispirazioni ogni giorno”.

L’errore di Israele

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Non mi è mai capitato, in questi due anni e mezzo di militanza giornalistica, di scrivere di politica internazionale perché se da una parte ci sono gli addetti ai lavori che ne sanno più di me, dall’altra può accedere che il mio punto di vista sia soggettivo e non basato sui fatti.

Ma ho bisogno di sfogarmi.

Provengo da una famiglia filo sionista da paura e, quindi, potete capire, sino a tempo fa lo ero anche io, difendendo Israele a prescindere senza se e senza ma.

Questo perché ho bene a mente quello che gli ebrei hanno dovuto subire nel corso dei secoli e con la Shoa che ancora è un marchio indelebile nella civiltà occidentale e soprattutto dei nazisti tedeschi.

Ho sempre avuto quindi nel cuore quel sentimento di umana condivisione del dolore e di istinto di sopravvivenza verso gli ebrei in generale, perseguitati e massacrati solo per la loro appartenenza religiosa che si va a sovrapporre alla razza semitica.

Poi, per mia scienza, ho letto l’analisi critica del Talmud e debbo dire che ho avuto i primi segni di cedimento strutturale perché ho dato una mia interpretazione alla questione religiosa su cui ebbe a tuonare ferocemente Julius Evola e per questo tacciato di anti semitismo.

È indubbio, però, che la questione ebraica stia regolando in maniera malevola ogni aspetto occidentale tra filo semiti e chi riaprirebbe volentieri Dachau per vendicarsi della questione Palestinese e confondendo tra anti semitismo e anti sionismo, che sono due cose ben distinte.

Di sicuro penso che sia normale il pieno diritto del popolo ebraico di difendersi e difendere l’esistenza di Israele, ma è altrettanto vero che c’è un limite di continenza che non deve essere superato.

Non per nulla la grande Golda Meir ebbe a dire che se gli arabi avessero deposto le armi ci sarebbe stata la pace e se lo avesse fatto Israele quest’ultimo sarebbe stato cancellato dalla faccia della terra come da molti auspicato.

Questo è.

Ho sempre pensato che il massacro di ebrei del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas sia stato di fatto acconsentito dagli israeliani stessi (è un mio legittimo sospetto) perché appare inverosimile che un servizio segreto con il Mossad non sapesse dell’imminente strage che si sarebbe compiuta.

Gioco forza, quindi, che la reazione ebraica non si è fatta attendere e il disastro di Gaza è sotto gli occhi di tutti.

La comunità internazionale, Italia esclusa, sta reagendo a questo scempio di strage di civili palestinesi (molto spesso cristiani o cristiani maroniti) con prese di posizione governative contro Israele abbastanza pesanti.

Per non parlare delle manifestazioni del popolo italiano pro Palestina guidate sempre da gruppi di estrema sinistra e l’implicito assenso dell’estrema destra non capendo che paritetiche dimostrazioni dovrebbero farsi anche contro Hamas che affama il popolo Palestinese e invece nulla.

In realtà fa comodo colpire Israele visto come origine di tutti i mali capitalistici, andando a sovrapporsi a vecchie teorie naziste che hanno sconquassato il mondo.

Poi l’attacco all’Iran di questi giorni in una escalation devastante in una terra turbolenta come il Medio oriente.

E reazione iraniana.

Su quest’ultimo aspetto mi domando perché Israele non l’abbia fatto prima piuttosto che andare a distruggere Gaza o meglio il popolo palestinese dato che l’Iran è il principale sponsor di Hamas e degli Hezbollah e doveva essere colpito prima al di là della violazione degli accordi internazionali sulla sovranità.

Ma certo è che si capta un disagio di fondo con una gran voglia di guerre su tutti i fronti e con un pericolo nucleare mica da scherzi.

Fatta questa precisazione mi accorgo che il 90% degli italiani sta con la Palestina ed è un proliferare di iniziative contro Israele laddove il limite sottile tra la critica al governo ebraico attuale e un dilagante anti semitismo di fondo è dietro l’angolo con il risultato che gli ebrei tutti sono arrivati sulla scatole ai più.

Dal canto mio questo è l’errore madornale del governo israeliano che ha riacceso non tanto le guerre in medio oriente, ma la miccia di un anti semitismo pauroso a cui fa seguito un anti sionismo spaventoso che va a minare alla base la sopravvivenza di Israele stesso.

Perché, almeno in Italia, si vedono più bandiere palestinesi che tricolori e anche i più miti stanno tuonando contro gli ebrei visti come il male di ogni cosa.

E il peggio deve ancora venire.

Il progetto di agricoltura innovativa nel Carcere di Poggioreale vince l’Oscar Green Coldiretti 2025

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Il progetto di inclusione “Osservare la Terra, dalla pratica del giardinaggio alla cura del Paesaggio” per il recupero di un’area verde all’interno delle mura del Carcere di Poggioreale ha vinto il primo premio nella categoria “Coltiviamo insieme” dell’Oscar Green 2025 organizzato dalla Coldiretti e rivolto alle buone pratiche dei giovani in agricoltura. Il progetto è portato avanti dalla cooperativa Aps Oltre il giardino e prevede l’utilizzo di tecniche agronomiche innovative come l’aeroponica.

A ritirare il premio è stato Riccardo Luciano che condivide il successo con il team che l’ha realizzato e spiega: “Il primo ringraziamento è per la Coldiretti. Ritirare il premio al Villaggio in corso di svolgimento ad Udine è stata una gran bella emozione che ripaga dei lunghi mesi di lavoro. Crediamo nell’agricoltura come metodo vincente per il recupero di quanti stanno scontando una pena all’interno del carcere di Poggioreale. Abbiamo istallato la prima torre di aeroponica che sta dando buoni risultati e presto amplieremo il progetto con nuovi arrivi”.

 Il progetto ha preso vita grazie a un protocollo d’intesa, sottoscritto tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la Federazione regionale Coldiretti Campania. Questo accordo si prefigge l’obiettivo di valorizzare l’agricoltura penitenziaria, nonché di promuovere lo sviluppo di terreni agricoli all’interno degli istituti penitenziari della Campania. In particolare, il progetto mira a riqualificare l’area agricola della Casa Circondariale “Giuseppe Salvia”, riconoscendo il valore ecologico e culturale delle attività agricole nei contesti carcerari. 

La riqualificazione degli spazi agricoli ha l’obiettivo di garantire un ambiente dignitoso e stimolante per i detenuti, facilitando il loro processo di reinserimento nella società. Creare uno spazio comune dedicato alla formazione e alla produzione agroalimentare è essenziale per promuovere interazioni positive tra detenuti e comunità esterna, migliorare le condizioni di vita in carcere e aiutare a sostenere il benessere psicologico dei ristretti. Attraverso il lavoro e la cooperazione si riducono tensioni e conflitti, aumentando il senso di responsabilità e il desiderio di collaborazione. 

“Da molti mesi sono in vendita nei mercati di Campagna Amica anche gli agrumi coltivati dai detenuti di Poggioreale. “Agrumi in libertà” è un altro progetto che ci inorgoglisce e ci spinge ad andare avanti” conclude Riccardo Luciano.

L’aeroponica è una tecnica di coltivazione fuori suolo, o idroponica, in cui le radici delle piante sono sospese in aria e nutrite tramite una soluzione nutritiva nebulizzata. In sostanza, le piante crescono in assenza di terreno o di qualsiasi altro supporto solido, ricevendo i nutrienti direttamente tramite un sistema di nebulizzazione.

Erika Verduci, la femminilità in uno scatto

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La fotomodella Erika Verduci ha iniziato il suo percorso con gli shooting. Gli scatti fotografici le permettono di esprimere il suo essere e il suo stile sensuale e accattivante allo stesso tempo. Erica è una ragazza dalle idee chiare e saper valorizzare il lato femminile ha la priorità nel suo lavoro.

Come è nata la tua passione per la moda e come ti sei avvicinata?
“Ciao e grazie per l’invito! La mia passione per la moda è nata molto presto, in modo spontaneo. Fin da piccola ho sempre amato farmi fotografare e giocare con lo stile, cercando di esprimere la mia personalità attraverso i vestiti. Non ho mai frequentato passerelle, ma ho sempre lavorato molto con la fotografia, che per me è un modo diretto e creativo di comunicare”.

Con chi instauri, in genere, una collaborazione e qual’ è il campo in cui ti senti più a tuo agio?
“Mi piace collaborare con fotografi e stylist che sanno valorizzare la femminilità in modo naturale e autentico. Mi sento molto a mio agio davanti all’obiettivo, specialmente quando si lavora con persone che rispettano la mia visione e il mio stile. Mi piace creare insieme e mettermi in gioco, senza forzature”.

Quanto sono importanti i social per te e perché?
“I social sono fondamentali. Oggi sono una vetrina immediata, un mezzo potente per raccontarsi e farsi conoscere. Mi permettono di esprimere il mio stile, la mia energia e di entrare in contatto con persone e professionisti da tutto il mondo. Sono anche uno spazio di ispirazione continua”.

Nel tuo percorso da fotomodella, qual è stato il momento più difficoltoso?
“Il momento più difficile è stato superare l’insicurezza iniziale. Esporsi al giudizio degli altri non è semplice, soprattutto sui social. Ma col tempo ho imparato a credere in me stessa, a essere selettiva con chi collaboro e a restare fedele alla mia identità”.

Parteciperai a qualche sfilata o concorso di bellezza in futuro?
“Non ho ancora sfilato e al momento non è una mia priorità, anche se non escludo nulla. Preferisco concentrarmi su shooting fotografici, dove riesco a esprimermi meglio. Se arriverà la proposta giusta, valuterò con piacere”.

Cosa hai provato al primo scatto fotografico?
“Ricordo benissimo il mio primo shooting: ero emozionata, un po’ tesa, ma anche felice. Da subito ho sentito che era il mio ambiente naturale. Ogni scatto è una piccola sfida e una scoperta”.

Che tipologia di abiti ti piace di più indossare, dentro e al di fuori dei riflettori?
“Mi piacciono molto gli abiti attuali e femminili. Preferisco capi aderenti, che valorizzano il corpo: vestiti stretti, crop top, jeans skinny… Le cose larghe non mi rispecchiano. Anche nella vita di tutti i giorni seguo le tendenze, ma sempre adattandole al mio gusto”.

Infine, a cosa aspiri?
“Aspiro a crescere, a migliorarmi e a trasformare la mia passione in una carriera sempre più solida. Voglio continuare a esprimermi, ispirare e magari diventare un punto di riferimento per chi ha voglia di crederci, senza dover per forza rientrare negli “schemi” classici”.