I femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula hanno ancora una volta scosso l’Italia. Entrambe le ragazze avevano poco più di vent’anni ed entrambe, anche questa volta, strappate alla vita da due carnefici che affermavano di provare qualcosa. Da Bacoli, in provincia di Napoli, c’è inoltre il brutto episodio di Gaia Caputo, picchiata brutalmente dal suo ex marito.
Si torna a parlare di aiuti, di prevenzioni e di come si possono evitare questi drammi. I centri antiviolenza danno supporto proprio su questi aspetti anche se, secondo Gabriella Notorio, le funzioni di questi enti ancora non sono completamente chiare. Lei è sociologa e criminologa nonché presidente dell’associazione “Frida Kahlo: la città delle pari opportunità” e dello sportello antiviolenza “Le porte di Frida”.
Gabriella Notorio; sociologa e criminologa
In un lungo post pubblicato sulla sua pagina Facebook, la dr.ssa Notorio chiarisce alcuni punti che riguardano i centri antiviolenza e la loro utilità in una fase preliminare. Riguardo questo terrificante problema la prevenzione è un concetto fondamentale.
“Da operatrice dell’ antiviolenza oggi mi sento sconfitta da chi in pubblica televisione, alla richiesta del perché chiamare il 1522 e soprattutto sul perché rivolgersi ad un centro antiviolenza non abbia saputo spiegare la rete di protezione attivata, generando solo una confusione in chi ascoltava.
Sento l’esigenza di spiegarlo. Nei centri antiviolenza le vittime o chi si riconosce vittima e pensa di esserlo in primis viene aiutata a capire cosa sta succedendo. Se si tratta di violenza oppure no. Nei centri antiviolenza non è che si va a parlare con femministe che sono odiatrici degli uomini.
Si va a parlare con professioniste esperte che hanno un titolo di studio ed un’ esperienza qualificata sulla violenza: avvocate, psicologhe, sociologhe, operatrici. Professioniste in grado di attivare il giusto supporto di assistenza psicologica e legale. I centri antiviolenza prendono in carico le donne ed attivano la rete di supporto successiva in caso di denuncia e supportano legalmente le donne nei tribunali. Le donne non restano sole.
Il centro antiviolenza si occupa anche di autonomia, formazione ed orientamento al lavoro se sussiste violenza anche economica. È questo quello che si deve dire! Altrimenti non si capisce di tutto quello che ogni giorno affrontiamo anche noi nel rischio generale di trovarci davanti un uomo pericoloso e violento per tutti.
Esistono tante misure e provvedimenti che si possono chiedere per tutelare le vittime. Non solo il braccialetto. Va fatta chiarezza. Va detto. Si deve dire con forza che rivolgersi ai centri antiviolenza salva la vita a tantissime donne. Non so quanti femminicidi avremmo avuto a Napoli negli ultimi tre anni senza la rete dei centri antiviolenza“.
Pensando che vi sareste preoccupati della eventuale circostanza che non avrei detto la mia sulla settimana santa, ho pensato al meglio di scrivere alcune considerazioni ricollegandomi a quanto già scritto lo scorso anno.
In ognuno di noi alberga sicuramente un spiritualità che viene spesso compressa se non soppressa dal vortice di una vita accelerata perché il sistema capitalistico dei consumi, a cui fa da contraltare gli stipendi bloccati dalla seconda guerra punica, che non permette rallentamenti di sorta alla produzione a scapito della riflessione.
La penalizzazione dello spirito comporta che non cresciamo o – quanto meno – non ci facciamo gli anticorpi se poi, nelle feste comandate religiose, dovessimo trovarci avanti a qualcosa di metafisico con cui confrontarci per la riflessione non cercata per carenza di tempo.
Ne consegue che perde valore sia il Natale sia la Pasqua.
Nell’eterno dilemma teologico se sia più importante la nascita di Cristo o la sua resurrezione si è perso oggi il significato escatologico di due date basilari per la fede in un processo di laicizzazione mortificante del proprio io.
A questo si contrappone la fede nell’islam che lascia pochi spazi vitali ai laici e per questo spesso perseguitati se non seguono i precetti del Corano, venendo ostracizzati dal resto della comunità di credenti in tale religione in considerazione che, mentre le nostre Sacre Scritture si basano solo sulla teologia, il Corano è anche un documento politico che culmina nella sharia e il rispetto della sunna, cioè dei precetti del Corano stesso.
Ne consegue – agli occhi di molti – che la fede nell’islam sia più forte rispetto a quella più malleabile de noantri quando in realtà viene imposta.
Le grandi religioni abramitiche, infatti, partono solo da un unico presupposto e poi sono i teologi che la modulano in base al desiderio di controllare le masse.
Ma se per noi cristiani tutto viene tarato sul concetto del peccato, dall’altro nelle altre due, l’islam e l’ebraismo, tutto si riconduce ad una forte introspezione interiore che poi viene modulata non tanto in funzione della ricerca dell’unica verità quanto per modulare anche la vita quotidiana dal punto di vista sociale.
Il libero arbitrio che il buon Dio ci ha donato se da una parte ci ha dato la possibilità di svincolarci dai precetti evangelici, dall’altra ci ha condannati all’oblio spirituale salvo quei pochi santi che oggi verrebbero additati come matti da chi non capisce o non vuole capire.
Se quindi al libero arbitrio ci si aggiunge il sistema capitalistico che ha bisogno di creare persone insoddisfatte e desiderose di acquisti inutili, come sul punto tuonava Pier Paolo Pasolini, si capisce bene che si è evangelicamente sull’orlo del baratro.
Ma anche questa è una questione relativa dal momento che i non credenti o gli atei – vedete voi – vedono in questa spersonalizzazione del mistero divino come un punto di arrivo della loro libertà interiore.
Salvo poi, con estrema incoerenza, festeggiare il Natale o la Pasqua che dovrebbero avversare perché imposta da un sistema in cui non credono e credendo amaramente nella società dei consumi.
Questo perché nella società di oggi sono rare le persone che dedicano il loro tempo alla meditazione consistente nella preghiera per carenza di tempo e non ricordandosi nemmeno il Padre nostro, perso nell’oblìo della nostra infanzia.
Ne consegue quindi che si festeggia anche la santa Pasqua sull’orlo delle tavole imbandite e delle gite fuori porta e partecipando, a mo’ distrazione e non di devozione, alle numerose processioni del Venerdì Santo pubblicizzate al pari di un evento nei centri commerciali.
In questo processo di spettacolarizzazione di ogni cosa per riaffermare una presenza maldestra nella società si erge sui social, a totem della santa Pasqua,la pizza al formaggio e i salami di vecchi contadini al pari dei cappelletti fatti in casa per il Natale in un continuo antagonismo degli utenti dei social stessi che sfocia poi, il giorno di Pasqua , in una maldestra gara di rutti controllati.
Tutto confluisce in una burinaggine mortificante per il cittadino che si atteggia a custode delle tradizioni rurali solo per l’assemblaggio delle pizze di Pasqua e tralasciando il vero motivo per cui si dovrebbe festeggiare la Resurrezione.
Alceo poeta greco antico, vissuto tra il VII e il VI secolo a. C., è sempre stato considerato unitamente a Saffo uno dei maggiori poeti ellenistici, ma era anche un pragmatico sociologo dal momento che vedeva nella città il concetto del collettivo in funzione della comunità e nelle campagne l’essenza dell’individuo in funzione del raccolto, il suo.
Individuo che perde identità e assumendo un ruolo di numero statistico nel momento dell’abbandono delle campagne quando si trasferisce in città.
Il problema è che, trasferendosi, non si fa portavoce delle tradizioni culturali rurali che sono intrise anche di fede rozza, ma sincera e quindi andando a perdere quell’identità fatta di saggezza e di riti ancestrali come le processioni.
Non sono come novelli Enea che portano sulle spalle Anchise, simbolo del sapere antico.
La salvaguardia quindi del mondo dei credenti è nell’auspicata non scomparsa del mondo rurale appenninico dove i tempi sono scanditi dal tempo e dagli animali da custodire a motivo del quale sant’Antonio Abate è assurto a salvaguardia del bestiame e spesso anche dei raccolti.
E le feste religiose, nelle nostre frazioni appenniniche, hanno ancora un valore forte e rimanendo baluardi di una fede che non vuole morire nonostante tanti cerchino di sopprimerla per farne degli omologati alienati.
Riccardo Bacchelli (1891-1985) nel suo splendido racconto Il mulino del Po, ebbe a cogliere quella sinergia contadina tra il lavoro dell’uomo e le stagioni arrivando ad affermare che l’agricoltura è l’arte di saper aspettare.
Forse è per questo, il tempo dell’attesa, che il contadino o l’allevatore aspetta con trepidazione la Pasqua perché di fatto rimane l’unico custode del tempo.
Marina Lumento è una scrittrice e professionista di spicco, la cui carriera e le opere offrono una riflessione profonda sulle sfide che il mondo digitale presenta, specialmente per i giovani. Nata in Puglia e abruzzese d’adozione, Marina ha unito lauree in ingegneria informatica e psicologia clinica per affrontare tematiche cruciali dell’era contemporanea.
Abbiamo avuto l’opportunità di approfondire la visione di Marina, discutendo del suo impegno nell’educazione digitale dei giovani e delle sue opere letterarie.Durante la conversazione, Marina ha condiviso cosa l’ha spinta a scrivere libri per ragazzi sul tema del cyberspazio. La sua esperienza professionale nel campo della sicurezza informatica e la sua passione per la psicologia l’hanno portata a comprendere l’importanza di educare le nuove generazioni ad affrontare le sfide del mondo digitale in modo consapevole e responsabile.
Marina ha parlato del processo creativo dietro il suo libro “A spasso tra i pericoli del cyberspazio”, descrivendo come ha sviluppato i contenuti. Ha dedicato tempo alla ricerca, raccogliendo storie reali e informazioni sui rischi del cyberspazio, per rendere la narrazione informativa e coinvolgente per i lettori più giovani.Inoltre, ha discusso il significato dei premi ricevuti, come il Premio di Casa San Remo, evidenziando l’importanza di questi riconoscimenti come una validazione del suo lavoro e del suo impegno per la sicurezza digitale.
Un altro punto centrale della chiacchierata è stato il ruolo della letteratura nell’aiutare i giovani a navigare in modo più sicuro nel mondo digitale. Marina ha sottolineato che le storie possono educare e sensibilizzare i giovani ai valori della sicurezza e dell’etica digitale, offrendo modelli positivi di comportamento.Marina ha anche condiviso la sua esperienza di collaborazione con Alessandro Sigismondi, sottolineando come le diverse prospettive di entrambi abbiano arricchito il processo creativo, portando a storie che uniscono apprendimento e intrattenimento. Marina ha notato in quest’intervista che i giovani spesso sottovalutano i rischi online; pertanto, è fondamentale sviluppare una consapevolezza critica e insegnare loro come proteggere se stessi e i propri dati.
Marina Lumento emerge come un esempio di come è possibile coniugare competenze tecniche e umane per affrontare le sfide del nostro tempo. La sua carriera è un faro per molti, dimostrando che con passione, impegno e creatività, è possibile ispirare le generazioni future a navigare un mondo complesso con fiducia e responsabilità. La chiacchierata mette in luce non solo il contributo di Marina al panorama letterario e educativo, ma anche la crescente necessità di affrontare le sfide del cyberspazio con consapevolezza e innovazione.
Immersa tra le dolci colline della Toscana, Villa Mangiacane è un magnifico esempio di architettura del XV secolo, originariamente progettata dal celebre Michelangelo. Tuttavia, nel 2000, questa straordinaria villa versava in uno stato di grave abbandono. Acquistata da un proprietario che aveva tentato di convertirla in appartamenti, la proprietà era ormai quasi condannata: lapidi profanate, una cappella privata spogliata della sua sacralità e affreschi nascosti sotto strati di pittura. Consapevole della grande responsabilità di restaurare un simile patrimonio culturale, il nuovo proprietario ha intrapreso un progetto di restauro completo. Collaborando strettamente con l ’ architetto Gianclaudio Papasogli Tacca, la Soprintendenza e Belle Arti del Ministero della Cultura e il Comune di San Casciano , è emersa una visione condivisa: riportare la villa al suo splendore, rispettandone la ricca storia. I l restauro è stato un processo meticoloso. Gli sforzi si sono concentrati sul recupero e i l restauro accurato degli affreschi originali, integrando al contempo comodità moderne per i l comfort contemporaneo. I l progetto ha affrontato numerose sfide, tra cui i danni causati da guerre passate e un terremoto che aveva devastato una parte della villa, ricostruita con cura durante i l restauro. Nel 2008 , Villa Mangiacane ha riacquistato la sua magnificenza, emergendo come una proprietà iconica nel comune di San Casciano, pronta ad accogliere ospiti da tutto i l mondo.
Il Legame con la Storia Americana
L’ importanza di Villa Mangiacane va oltre la sua bellezza architettonica; è profondamente intrecciata con la storia americana. Filippo Mazzei, figura chiave nella Rivoluzione Americana e firmatario della Dichiarazione d’ Indipendenza, fu uno dei più i l lustri proprietari della villa, aggiungendo una dimensione storica unica alla proprietà.
La Regione di San Casciano
L’ area di San Casciano ha radici storiche che risalgono all’ antica Roma. Un tempo importante centro agricolo, San Casciano Val di Pesa è rinomato per i suoi paesaggi pittoreschi e la sua ricca tradizione vinicola. La regione ospita alcuni dei migliori vigneti della Toscana, tra cui la celebre tenuta Antinori, fondata nel 1385 e nota per i suoi vini eccezionali, che continua a svolgere un ruolo cruciale nell’ economia e nella cultura locali. Con i l suo restauro, Villa Mangiacane rappresenta oggi un modello di valorizzazione del patrimonio storico. Non solo serve come rifugio di lusso, ma anche come punto di riferimento culturale, sottolineando l ‘ importanza di pratiche sostenibili nella conservazione del nostro patrimonio.
Villa Mangiacane e la Statua del David
Un aspetto significativo degli sforzi di conservazione di Villa Mangiacane include i l restauro della celebre Statua del David di Michelangelo, completato nel 2004. Questo progetto, realizzato presso la Galleria dell’ Accademia di Firenze, è stato reso possibile grazie alla collaborazione del filantropo Bobby Sager , recentemente insignito della Citizens Medal negli USA per i l suo contributo filantropico. L’ organizzazione Friends of Florence insieme a Mangiacane art founfation ha sostenuto i l restauro, commemorato da una targa all’ Accademia che riconosce l ’ impegno nel preservare uno dei capolavori più celebri al mondo.
Villa Mangiacane: Un Gioiello Storico e Culturale
Nei suoi oltre 500 anni di storia, Villa Mangiacane ha avuto solo cinque proprietari, tra cui le i l lustri famiglie Machiavelli e Mazzei, rinomate per la loro produzione vinicola d’ eccellenza. La villa era i l loro gioiello prima di cambiare proprietà negli anni ’ 50. Quando gli attuali proprietari l ’ acquistarono nel 2000, si trovava in uno stato di rovina. Con un ampio progetto di restauro, la villa è stata riportata al suo antico splendore. Introducendo attività economiche sostenibili, si è garantito i l successo duraturo del progetto, un elemento spesso mancante in imprese simili. La tenuta vanta anche una mostra di sculture di l ivello mondiale nei suoi giardini, con opere di artisti Shona, riflettendo l ’ eredità fiorentina di apertura verso l ’ arte globale. Queste esposizioni sottolineano l ’ impegno della villa nel fondere le antiche tradizioni fiorentine con influenze internazionali.
Ambizioni Future
Sebbene i restauri multimilionari del 2000 siano stati notevoli, la villa è ora pronta per ulteriori aggiornamenti che ne esalteranno lo status preservando questo capolavoro architettonico di Michelangelo. Gli ambiziosi piani della Villa Mangiacane puntano a migliorare ulteriormente la tenuta, combinando fascino storico e comfort moderni per garantirne l ’ attrattiva globale.
I Vini di Villa Mangiacane
Investimenti significativi sono stati destinati anche al miglioramento dei vini premium prodotti a Villa Mangiacane, noti per la loro qualità e artigianalità. I l patrimonio vinicolo della tenuta è profondamente radicato nella tradizione toscana, e questi miglioramenti ne accresceranno i l prestigio nell’ industria vinicola.
Una Destinazione per l’ Élite
Storicamente, Villa Mangiacane è stata un luogo d’ incontro per reali, dignitari e aristocratici durante i l Rinascimento. Oggi continua ad attrarre reali, celebrità di Hollywood e leader influenti da tutto i l mondo, consolidando i l suo status come simbolo di lusso e raffinatezza in Toscana. Con la sua ricca storia e i l costante impegno per la conservazione e i l lusso, Villa Mangiacane si distingue come destinazione d’ eccellenza per chi cerca un’ autentica esperienza italiana.
Salvatore Manca è il responsabile della comunicazione di Villa Mangiacane. Tramite lui sono stati messi a fuoco ulteriori dettagli sulla maestosa tenuta, fiore all’occhiello della Toscana. Non solo. La regione, ricca di bellezze, ha una vasta offerta da mostrare al pubblico e in questi casi la spunta chi riesce a risaltarne le meraviglie.
La sua collaborazione per la tenuta come e quando è nata?
“Il mio percorso con Villa Mangiacane è iniziato in un momento in cui la proprietà stava ridefinendo la sua strategia di comunicazione, con l’obiettivo di consolidare il posizionamento della tenuta nel segmento del lusso e dell’ospitalità esclusiva. Consapevole delle mode e delle tendenze nel mondo del turismo di alto livello, la proprietà ha puntato con decisione sui social media per far conoscere Villa Mangiacane a un pubblico sempre più vasto e internazionale. Il mio compito è stato quindi sviluppare una strategia digitale capace di trasformare la tenuta in una vetrina globale. Oggi, piattaforme come Instagram, Facebook e Pinterest non sono solo strumenti di promozione, ma veri e propri canali esperienziali, che permettono agli utenti di immergersi nell’atmosfera unica della villa. Attraverso immagini evocative, storytelling emozionale e collaborazioni con wedding planner, e riviste di settore, abbiamo reso Villa Mangiacane una destinazione di riferimento per eventi di prestigio, soggiorni esclusivi ed esperienze enogastronomiche”.
Quali sono i punti forti della tenuta che in genere lei mette in risalto?
“Villa Mangiacane è una celebrazione dell’arte, della storia e della natura. I suoi elementi distintivi sono molteplici: un’eredità storica straordinaria: la villa è legata alla famiglia Machiavelli e presenta dettagli architettonici influenzati dal genio di Michelangelo. L’arte e la conservazione del patrimonio: la proprietà sostiene la tutela delle belle arti e ha contribuito al restauro del David di Michelangelo attraverso la Mangiacane Art Foundation, rafforzando il suo impegno per la valorizzazione culturale. Sostenibilità e rispetto per il territorio: i vigneti e gli uliveti della tenuta sono coltivati con metodi biologici, in un’ottica di sostenibilità ambientale che si riflette in ogni aspetto dell’ospitalità. L’ospitalità su misura e la totale privacy: Villa Mangiacane offre la possibilità di affittare l’intera tenuta, garantendo un soggiorno esclusivo e immerso nella quiete della campagna toscana. Questo aspetto è particolarmente apprezzato da ospiti in cerca di un rifugio di lusso lontano da occhi indiscreti, come celebrità, coppie e famiglie che vogliono vivere un’esperienza autentica in totale riservatezza”.
Arch. Salvatore Manca, Direttore della comunicazione di Villa Mangiacane
La Toscana è una regione colma di bellezze, quanto lavoro c’è dietro la sua tenuta per farla scegliere e metterla in risalto?
Essere in Toscana significa confrontarsi con una concorrenza di altissimo livello, e per questo la promozione di Villa Mangiacane richiede un lavoro strategico costante. Strategia digitale e storytelling: ogni dettaglio della tenuta viene raccontato attraverso contenuti curati, video emozionali e campagne mirate, per trasmettere il valore dell’esperienza che offre. Collaborazioni con il mondo del lusso e della cultura: lavoriamo con riviste internazionali, wedding planner e brand esclusivi per posizionare la tenuta come una destinazione di riferimento. Sostenibilità come valore aggiunto: oggi il viaggiatore di lusso è sempre più attento all’impatto ambientale. La nostra filosofia green e l’impegno nella conservazione del patrimonio artistico fanno di Villa Mangiacane una scelta consapevole per chi cerca lusso e autenticità.
Effettivamente, lei che tipo di lavoro svolge?
“Il mio ruolo è quello di costruire e rafforzare l’identità di Villa Mangiacane, occupandomi di ogni aspetto della comunicazione e della promozione. In particolare: marketing e social media: sviluppo strategie digitali per raccontare l’anima della tenuta e attrarre un pubblico internazionale. Relazioni pubbliche e media: collaboro con giornalisti, fotografi e per posizionare Villa Mangiacane nelle migliori pubblicazioni di settore”.
Cosa l’ha convinta appunto per iniziare questo percorso?
“Villa Mangiacane è molto più di una location: è un luogo che incarna secoli di storia, arte e tradizione. La possibilità di contribuire alla crescita di una realtà così straordinaria, valorizzandone l’unicità attraverso una comunicazione mirata, è stata la mia principale motivazione. Oltre alla strategia digitale, curo l’immagine della villa a 360 gradi, dalla progettazione grafica alla realizzazione di brochure e materiali di comunicazione, sia online che offline. Ogni dettaglio – dalla fotografia alla scelta dei supporti cartacei – è pensato per riflettere il prestigio della tenuta e trasmetterne l’essenza autentica. Villa Mangiacane non è solo un simbolo del lusso toscano, ma anche un modello di sostenibilità e di tutela del patrimonio artistico. Questo connubio tra passato e futuro, tra eleganza e innovazione, è ciò che rende il mio lavoro così stimolante e appassionante”.
Un pochino della materia giustizia me ne intendo perché sono sempre stato appassionato alla filosofia del diritto per tramutarla in un’analisi sociale che mi compete per il lavoro che svolgo.
C’è un acceso dibattito – che strano! – sulla questione della riforma del ministro Nordio che prevede la separazione delle carriere tra magistrati requirenti (i pubblici ministeri) e i giudicanti con una incisiva riforma costituzionale sul punto per addivenire, al di là della separazione delle carriere stesse, ad un diverso criterio di valutazione disciplinare di tutti i magistrati a mezzo di una istituenda Alta corte di giudizio per i magistrati stessi.
Sul punto la riforma è osteggiata dalla magistratura che ha avuto la punta di diamante nelle proteste durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario nelle varie Corti di appello e con uno sciopero clamoroso di detti operatori di diritto che vedono minata la loro indipendenza dal potere esecutivo.
Personalmente ritengo che sia una questione di lana caprina e spiego – ai meno avvezzi del sistema – il perché.
Pacifico è che ci sia lo strapotere dell’Associazione nazionale magistrati che altro non è che il sindacato dei magistrati stessi con tutti i limiti politici di un sindacato, ma è altrettanto vero che non si capisce il motivo per cui gli stessi non debbano avere anche loro dette rappresentanze.
Ora, se da una parte il popolo non ha capito i motivi sottesi alla protesta definendola politica quando in realtà è di merito, in considerazione che non l’hanno capita gli avvocati e quindi figuriamoci gli altri, dall’altra è indubbio che buttarla in caciara spiazza tutti e svilisce la riforma stessa che ritengo inutile.
Tommasi di Lampedusa ne “il Gattopardo” affermava: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”.
Questa è la frase centrale della questione in cui si capisce che il problema giustizia non è la separazione delle carriere, ma più semplicemente la carenza dei magistrati e del personale amministrativo laddove la distribuzione degli incarichi non è omogenea in quanto ci sono giovani magistrati che possono avere 50 procedimenti al giorno e altri di altre sedi di Tribunale che ne hanno solo 10.
Ne consegue, in capo ai primi, la necessità di chiudere la giornata dei processi entro una determinata ora prima che finisca il fonico, a motivo del quale la mala distribuzione degli incarichi sul territorio nazionale comporta inevitabilmente che il magistrato che ne ha 50 vada di fretta e non possa approfondire più di tanto la questione per difficoltà oggettive di carenza di tempo e pur percependo lo stesso stipendio di quel magistrato collega che ne ha solo 10.
Altro aspetto ha una visione quasi spirituale, dall’universale al particolare, e può accadere che i magistrati giudicanti siano veri amici del pm, ma ciò non comporta automaticamente la simbiosi delle due posizioni dato che poi – a vedere le percentuali del Ministero della Giustizia – sono alte le percentuali di assoluzioni rispetto alle iniziative dei pm.
Questo perché nella aule di giustizia, che il popolo dei social ha visto solo sui post di personaggi giustizialisti politicizzati di entrambi gli schieramenti, accade più spesso di quel che sembra che ci siano assoluzioni invece di condanne e questo denota che tutto questo appiattimento dei giudicanti alle richieste di condanna dei pm non ci sono, anche se tutti vogliono fa apparire il contrario.
Il problema è, semmai, la errata comunicazione da parte dei magistrati stessi con toni contraddittori come lo sventolare la Costituzione asseritamente calpestata con il disegno di legge approvato al Senato.
Infatti tale esternazione risulta mal digeribile da chi ha subìto gli orrori durante la pandemia Covid in cui gli stessi magistrati si sono appiattiti sul potere statale quando i diritti dei lavoratori venivano sospesi se non vaccinati.
In conseguenza un riferimento alla Costituzione a due velocità che lascia perplesso il popolo italiano e che ha comportato la rottura di quel contratto sociale Stato- popolo.
Ma secondo me la questione è solo una gigantesca furbata governativa per distogliere l’attenzione del popolo stesso sul voto favorevole di gran parte della compagine governativa alla decisioni dell’Unione Europea di fondi per 800 miliardi per riarmarci tutti, quando in realtà si andrà a favorire solo l’industria tedesca in forte crisi occupazionale.
A me non piace molto che i tedeschi si riarmino perché abbiamo un passato, neanche abbastanza lontano, di memoria dei disastri combinati dai tedeschi stessi che sono guerrafondai nell’intimo a cui fa da contraltare il sostanziale pacifismo – se non addirittura menefreghismo – de noantri.
Quindi, in maniera furba, ci si è concentrati sulla separazione delle carriere dei magistrati per far passare sotto traccia la scelta scellerata della “badogliana” Meloni che ha tradito i suoi elettori in merito alla sovranità italiana rispetto all’Europa e sfociando il tutto in mero folclore italico per riaffermare che l’8 settembre 1943 è nel nostro Dna.
Non era nei suoi programmi essere una fotomodella, forse all’inizio per lei era anche imbarazzante poi è sbocciata. Anastasia Sanguedolce, dalla Sicilia, ha sfoggiato tutta la sua passione e il suo talento. Ha 22 anni è italo russa e posare, oggi, la rende viva e l’allontana dalle preoccupazioni. Insomma, non solo una forma d’arte ma anche uno sfogo e il nudo, ovvero il campo che preferisce, è quello in cui lei punta a divulgare perché ancora non compreso.
Come è nata la tua passione per la moda?
“Fin da piccola leggevo spesso riviste di moda e libri ecc.. nel corso della mia vita ho incontrato la fotografia e fu si che mi innamorai di essa. Posare per me oggi è qualcosa che mi rende viva e mi distoglie dai problemi della realtà, non potrei farne a meno”.
A chi ti sei ispirata per il tuo percorso?
“Non mi sono ispirata a nessuno il mio percorso è nato cosi a caso, c’è stato un fotografo che da mesi mi scriveva che voleva che posassi per lui, ma ho sempre rifiutato perché mi vergognavo. Piu avanti ci fu un periodo della mia vita che non mi soddisfava più nella mia vita, cosi mi decisi a dire di si a quel fotografo. Fu un’ esperienza bellissima ,la mia vergogna svanì mentre posavo, quasi come se mi venisse naturale e da li iniziò il mio percorso da fotomodella”.
Hai già partecipato a qualche concorso di bellezza o hai fatto solo shooting fino ad oggi?
“Mi furono proposte alcuni concorsi di bellezza ma ho sempre rifiutato, forse in futuro potrei parteciparne a qualcuno, fino ad ora viaggio in giro per il mondo a far vedere la mia arte posando”.
A cosa aspiri?
“Mi piacerebbe sempre andare avanti con questo lavoro migliorandomi sempre di più, posare per grandi marchi e brand. Entrare nel mondo delle mostre dell’arte e magari anche nel mondo dello spettacolo”.
Cosa ti piace di più indossare o mostrare durante i tuoi shooting?
“Io poso principalmente per nudo artistico, in quanto il nudo per me è una forma d’arte non volgare , vorrei portare avanti questo progetto in quanto vedo ancora oggi che il nudo è visto con occhi sbagliati. Il mio obiettivo è quello di lavorare su questo problema posando e dimostrando che non è cosi ma è semplice arte, avendo un fine come mostre libri ecc…”.
Mentre come è stato il primo approccio con le foto, insomma, cosa provavi all’inizio di questo tuo percorso?
“All’inizio ho provato timore e vergogna in quanto non pensavo all’altezza di ciò ma davanti la fotocamera fu tutto naturale, mi sono divertita , mi sono espressa e mi sono sentita libera non pensando a nulla in quel momento”.
L’incontro “L’America di Trump e la ricerca di un Nuovo Ordine Mondiale”, tenutosi il 28 marzo al Circolo del Ministero degli Affari Esteri, ha riunito esperti di geopolitica come Pierluigi Testa (Presidente Think Tank Trinità dei Monti, Presidente Alumni Economia),Manfredi Mattei Filo Lucio Caracciolo (direttore di Limes), Lamberto Dini (ex presidente del Consiglio ed ex Ministro degli Esteri) e Sergio Vento (diplomatico ed ex Ambasciatore italiano negli USA), Manfredi Mattei Filo della Torre ( Segretario generale della Fondazione Alberica Filo della Torre), per analizzare le ripercussioni del secondo mandato di Donald Trump sull’Europa e sugli equilibri globali. Tra i temi centrali: la crisi dell’industria militare americana, il dibattito sul nucleare europeo, le tensioni in Medio Oriente e il ruolo del vicepresidente J.D. Vance, figura emblematica del nuovo corso statunitense.
L’Industria Militare Americana in Crisi e il Dilemma Europeo
Lucio Caracciolo ha sottolineato come l’industria militare statunitense, nonostante un bilancio record di 900 miliardi di dollari nel 2025, sia afflitta da inefficienze strutturali. Gli Stati Uniti, pur mantenendo una superiorità tecnologica, faticano a produrre armamenti in quantità sufficiente per sostenere conflitti prolungati, come dimostrato dalle carenze di munizioni inviate all’Ucraina.
La Dipendenza Europea – Caracciolo ha criticato l’Europa per la sua incapacità di sviluppare una difesa autonoma, rimanendo legata all’ombrello NATO e agli approvvigionamenti USA. – Con Trump alla Casa Bianca, questa dipendenza rischia di diventare un vicolo cieco, soprattutto se Washington ridurrà gli aiuti militari al Vecchio Continente.
Il Nucleare Europeo e il Piano F-I-G – Durante l’incontro si è fatta menzione al Piano F-I-G, il progetto di collaborazione nucleare tra Francia, Italia e Germania avviato negli anni ’50 e poi abbandonato nei primi anni ’60 a causa delle pressioni americane e delle divergenze interne europee. – Caracciolo ha affermato che mai come ora si parla con leggerezza di atomica e che molti paesi la possiedono anche se non ufficialmente: Israele, Arabia Saudita, mentre l’Iran ci sta lavorando. – Il fallimento del progetto di un’atomica europea dimostra la difficoltà dell’UE nel costruire un sistema di difesa indipendente.
Medio Oriente e la “Guerra Grande”
Caracciolo ha definito il conflitto in Ucraina e le crisi mediorientali come parti di un’unica “guerra grande” tra potenze globali.
Israele e Palestina – L’espansionismo israeliano e la radicalizzazione di Hamas rischiano di destabilizzare ulteriormente la regione, con ripercussioni sulla diaspora ebraica e sull’antisemitismo in Europa.
L’Asse Russia-Corea del Nord-Iran – L’invio di soldati nordcoreani in Ucraina e il sostegno iraniano a Mosca dimostrano come il conflitto si stia globalizzando, minacciando di trascinare l’Europa in una spirale di insicurezza.
Il Ruolo dello Yemen e degli Houthi – Caracciolo ha affermato che non serve che l’America bombardi gli Houthi, ma che la vera soluzione potrebbe essere un accordo per spartire lo Yemen tra Arabia Saudita, Iran e Turchia, stabilizzando così la regione attraverso una nuova ripartizione delle sfere di influenza.
Il Potere della Diplomazia in Medio Oriente – Caracciolo ha evidenziato il ruolo crescente della diplomazia in Medio Oriente, dove paesi come Turchia, Iran e Arabia Saudita stanno ridefinendo i propri equilibri attraverso accordi e trattative. – In netto contrasto, in Europa la diplomazia è totalmente mancante, segnando un evidente fallimento nella gestione delle crisi e nell’affermazione di un’autonoma politica estera.
J.D. Vance: L’Emblema del Riscatto Americano
Tra gli interventi più apprezzati, Caracciolo ha dedicato spazio alla figura di J.D. Vance, vicepresidente USA e autore dell’autobiografia *Hillbilly Elegy*.
Da Critico a Vicepresidente – Vance, inizialmente scettico su Trump, ne è diventato un alleato chiave, rappresentando l’ala nazionalista e isolazionista del GOP. – La sua biografia è stata indicata da Caracciolo come lettura obbligata per comprendere le radici del populismo statunitense.
La Visione Geopolitica – Vance sostiene una riduzione degli aiuti all’Ucraina e un riavvicinamento con la Russia, posizioni che potrebbero accelerare il disimpegno USA dall’Europa.
Trump come acceleratore per Vance – Caracciolo ha sottolineato che il fenomeno Trump potrebbe essere preparatorio e acceleratore per quella che potrebbe diventare la futura candidatura di J.D. Vance alla presidenza degli Stati Uniti, proiettando l’America verso una politica ancora più nazionalista e isolazionista.
Conclusioni: L’Europa alla Svolta?
L’evento si è chiuso con un monito di Lamberto Dini: – L’Europa deve scegliere se accentuare l’integrazione (difesa comune, mercato unico) o subire le conseguenze di un mondo sempre più multipolare. – Sergio Vento ha aggiunto che l’Italia, in particolare, dovrà bilanciare le sue relazioni con USA e Cina, evitando di rimanere schiacciata tra le due superpotenze.
Infine, Caracciolo ha affermato che stiamo assistendo all’agonia della NATO e dell’Unione Europea, mentre Russia, America e Cina sono ormai i tre grandi interlocutori globali, con l’Europa relegata a un ruolo marginale.
Dini e Hillary Clinton: il futuro di Trump – Lamberto Dini ha parlato del fenomeno Trump come fallimentare a lungo termine, ritenendo che il suo impatto potrebbe portare a una crisi del modello americano. – Dini si è confrontato su questo tema anche con Hillary Clinton, la quale ha sostenuto che entro breve gli americani saranno delusi da questa elezione, evidenziando il rischio di una frattura interna sempre più profonda negli Stati Uniti.
Non si fa che parlare, a livello nazionale, del Manifesto di Ventotene che sino a ieri in pochi conoscevano e che è assurto alla gloria eterna per colpa della Meloni che ha perso l’occasione di stare silente, dando il là ai compagni di scatenare una rissa politica paurosa che però sfocia nel ridicolo da entrambi gli schieramenti.
Personalmente il manifesto stesso lo ebbi a leggere tanti anni fa domandandomi sul perché è sempre stato considerato il primo spunto programmatico per l’Europa unita quando in realtà è il primo sputo.
Questo perché il manifesto non ha grandi suggerimenti di democrazia partecipata che tutti sbandierano, ma ha invece in nuce il desiderio di una élite di intellettuali che comandi sul popolo per attuare la rivoluzione socialista, abolendo la proprietà privata.
E chiaramente se si parla di rivoluzione si deve ammettere che la stesa debba partire dal basso e non imposta dall’alto perché sarebbe solo un cambio di potere come spesso accade.
Ma interessante è l’auspicio della abolizione delle proprietà privata sulla base del vecchio ed intramontabile assunto di Proudhon che la proprietà è un furto.
Per arrivare ad attualizzare tale assunto ci sono mille vie e mille modi per limitare il potere dispositivo che si ha sulle cose proprie del tipo innalzare le tasse regionali come sta facendo la francescana Proietti.
Quest’ultima imperatrice della Regione, forte del suo signorile aspetto fisico seppur minuta e con voce educata e mai violenta, ha nel suo insieme caratteriale tutti quegli elementi per far sì che gli umbri credano a qualsiasi cosa e qualsiasi balzello che la stessa vuole imporre con infinita grazie e contestuale orrore fiscale.
Forte del disastro gestionale sulla sanità compiuto asseritamente da Coletto della vecchia giunta Tesei, in cui inizialmente i debiti erano 240 milioni, poi 90, poi 37 poi 10 euro e avallando bugie istituzionali subito scoperte, la Proietti ha fatto un piano di rilancio per tassare oltre il dovuto il tassabile con la scusa di tappare il buco di bilancio causato da altri.
Ma non va bene e la stessa rischia una tirata di capelli da Prodi per la iniziativa scellerata.
Il vecchio mantra della sinistra, sia al caviale che neocatecumenale, è tassare il popolo non tanto per rimpinguare le casse regionali e avere i soldi per progetti condivisi, quanto per creare quell’humus necessario di incolpare politicamente l’avversario quale alibi dell’aumento delle tasse stesse.
In sostanza è l’élite – al pari di Ventotene – che decide il destino del proletariato e non dei grandi capitali, andando a castrarlo frugando nelle loro tasche perché tanto, essendo poco scolarizzato, poco capisce in materia di bilancio.
Ne capisco poco io che è mia materia figuriamoci altri.
Questo perché emerge chiaramente che la manovra fiscale posta in essere dalla Proietti e la Giunta , con un aumento esponenziale delle tasse del 30%,è la più forte da quando esiste la regione Umbria e andando a toccare alcuni settori di cui agli elettori poco importa, ma che hanno grande importanza per la politica di sinistra come la riforma per l’accesso alle case popolari che è molto più elastico con il risultato che le case popolari dell’Ater andranno quasi solo agli extra comunitari.
O aumentare gli incentivi al posto del bocciatissimo termovalorizzatore.
Ne consegue l’applicazione e attualizzazione degli spunti del manifesto di Ventotene in cui l’élite dovrebbe comandare sul proletariato con un profilo quasi per iniziati massoni intellettuali.
Qui più sommessamente si certifica invece che l’élite della giunta capeggiata dalla fatina Proietti sia permeata di una falsità ideologica di fondo perché con la scusa degli errori gestionali della Tesei – che non era un fulmine di accortezza e infatti non è stata riconfermata – si va a massacrare il popolo che invece si afferma di voler tutelare.
A ben vedere quindi si va a certificare lo scollamento tra popolo e élite politica in questo caso perché sa da una parte i programmi politici sono continuamente disattesi- al pari della Meloni che per vincere parlava di sovranità italiana e poi prende ordini o da Trump o da Bruxelles, in funzione di una malafede di tanti che viene percepita, dall’altra si evince che il manifesto di Ventotene, più che un manifesto programmatico di come fare l’Europa sia un manifesto di come comandare sul popolo e a scapito dello stesso.
Si sono svolti in questi giorni due giorni di convegni e seminari in Assisi, sotto l’egida dell’Arpa Umbria e quindi con la tutela indiretta della Regione Umbria, con conferenze che avevano come tema centrale dell’intera questione Scienza e Fede per la cura della casa Comune.
Gran cerimoniere è stato il commissario straordinario dell’Arpa stessa avvocato Massimo Perari che ha saputo convogliare in detti consessi le più alte autorità italiane in tema di ambiente dal punto di vista tecnico e poco di politico, con il risultato che sono stati due giorni intensi di studio e di riflessione.
Questo presso la sala Cimabue in Assisi, vicino al Sacro Convento e non erano presenti – ovviamente – gli ambientalisti “politici” che si limitano a raccogliere l’immondizia nei sentieri montani.
Il parametro di riflessione è stato il Cantico delle Creature di San Francesco e amatissimo dalla nostra presidente delle Regione dell’Umbria che è stata anche sindaco di Assisi e parole chiave per vincere contro la Tesei.
Si è’ parlato di ambiente e quindi di acqua e qualità dell’aria, di meteorologia e quanto afferisce l’ambiente stesso.
Dal mio punto di vista però è errato parlare di ambiente perché con tale parola può essere indicata anche una stanza di un immobile a motivo del quale avrei trovato più appropriato il termine natura o – se si fosse seguita l’idea di San Francesco – il Creato.
Centrale la tavola rotonda di sabato dal titolo “la tutela dell’ambiente” con la presenza del procuratore generale presso la Corte di appello di Perugia Sergio Sottani, il presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano, il prefetto Stefano Laporta, l’avvocato Pietro Laffranco che guidava i lavori e da ultimo Giuseppe Severini, presidente di sezione emerito del Consiglio di Stato e su cui tornerò dopo.
Il tema era, appunto, la tutela dell’ambiente e se Cassano è stata tecnicissima perché ha spiegato con vigore quali siano le norme costituzionali di riferimento e che sono l’articolo 9 e 41, dall’altra è emerso che se da una parte l’articolo 9 sancisce la tutela del territorio e delle biodiversità anche in funzione delle generazioni future (cioè e in soldoni la tutela del territorio per lasciarlo migliore ai nostri figli), dall’altra ha evidenziato che l’articolo 41 della “sacra carta” diventa argine stesso di un ambientalismo che io – non lei – definisco scellerato.
Su tutto l’intermezzo dell’articolo 32 della Costituzione stessa che è la tutela della salute.
Il prefetto Laporta ha parlato del ruolo dell’Arpa nel tessuto nazionale e che sta assurgendo a guardiana dell’ambiente stesso.
Il procuratore Sottani si è invece soffermato sui pochi reati ambientali e del sostanziale pericolo che potrebbe derivare dalle ecomafie.
Ma la caratura della giornata e assieme punto di svolta è stato l’intervento di Severini che per i giuristi, come ha detto giustamente Laffranco che è notissimo avvocato, è considerato un faro nella giustizia amministrativa.
E ha ragione perché basta sentire una considerazione di Severini per stracciare la laurea in giurisprudenza al punto che può essere considerato – usando una perifrasi – l’unico stupor legis attuale e denotando altra caratura romantica rispetto agli altri conferenzieri pur essendo un grandioso studioso della giustizia amministrativa che è sostanzialmente ritenuta materia fredda.
Ma se non trattata da Severini.
Questo perché – forte della sua preparazione mostruosa che denota un idealismo magico al limite di un meraviglioso snobismo spirituale – se la questione sottesa all’esame viene affrontata con una contestualizzazione romantica della storia, si capisce bene che il risultato e’ assai positivo e rende estremamente efficace la comunicazione alla platea che è rimasta a bocca aperta.
Partire dal concetto di San Francesco e di città medioevale per arrivare al territorio da salvaguardare anche per onorare la memoria del nostro santo è stato non un esercizio di stile, ma una comunicazione romantica a tutto tondo e che quindi è arrivata al cuore di chi ascoltava.
Parafrasando Massimo D’Azeglio, il romanticismo è l’educazione al bello attraverso l’arte, in questo caso del parlare e il logos eassurge a totem della comunicazione dello stupor legis.
Con il risultato eloquente che il segnale pervenuto è che la famose pale eoliche che dovrebbero andare a deturpare l’appennino sono, agli occhi sì di Severini, ma in minor misura anche degli altri relatori, come uno scempio che si potrà evitare se, come ha affermato Cassano prima e Severini dopo, riuscirà la magistratura giudicante (penale, civile, amministrativa) a essere guardiana neanche silente di un assalto al territorio che ne verrebbe violentato senza possibilità di redenzione.
L’Umbria verde ha come motore trainante – e questo la fa capire al meglio Severini – la bellezza del territorio e quindi del turismo (aggiungo io) a motivo del quale si è tuonato anche contro i vari progetti in essere di 130 pale eoliche alte 200 metri lungo 30 chilometri di dorsale appenninica (qua dietro ha detto il nostro campione) che sarebbero la morte dell’Umbria e facendo sfociare il Cantico del santo in qualcosa di ridicolo.
Questo per far capire che al di là della formidabile petizione del comitato che ha portato a De Luca della Regione Umbria quasi 8.000 firme contro questi progetti, rimane indiscusso che se un personaggio come Severini, che diventa un profeta del dolore altrui, prende posizione a sfavore dell’eolico stesso, significa che allora c’è speranza che questo scempio non venga in essere.
D’altronde le prime avvisaglie di questa contrarietà erano state evidenziate in un meraviglioso articolo giuridico scritto da Severini stesso in tandem con Paolo Carpentieri che può essere considerato il nuovo manifesto dell’ambientalismo secondo la Costituzione e che fa presumere che i nostri ambientalisti prezzolati non abbiano capito nulla di come debba essere affrontata la questione per la tutela del territorio e non di tutela del partito di sinistra di riferimento.
“La natura ci sfida ad essere solidali e attenti alla custodia del creato, anche per prevenire, per quanto possibile, le conseguenze più gravi” ha affermato papa Francesco.
Chissà cosa ne pensa la francescana presidente della Regione tenendo a mente che se fa qualcosa non in linea con la legge ci sarà il Consiglio di Stato che – come ha detto Severini – si è già espresso sul punto in maniera esemplare, bocciando i decreti della Toscana in tema di eolico con sentenza 1872 del 5 marzo 2025.
Da qualche settima nelle principali piattaforme social stanno spopolando trailer e spezzoni di una serie tv coreana: Newtopia.
Questa si presenta come un classico k-drama che segue la storia d’amore di due protagonisti Lee Jaen-yoon e Kang Young-joo. Si può pensare, quindi, al solito sceneggiato drammatico e melenso, se non fosse che i due innamorati devono sopravvivere all’apocalisse zombie. I due, lasciatisi per messaggio prima dell’apocalisse, cercheranno di riunirsi e stare di nuovo insieme, ma per farlo dovranno compiere un percorso di crescita personale e di esperienze, attraversando una Seoul in preda al panico e ai non morti.
La storia
Lee Jaen-yoon, militare di leva alquanto inetto, si trova, infatti, in cima al grattacielo più alto della capitale sudcoreana con la sua unità, addestrata per la difesa aerea della città. Mentre Kang Young-joo, all’inizio dei disordini causati dagli zombie, si trova dal lato opposto della città.
In un primo momento le cose sembrano andare meglio alla squadra di Lee Jean-yoon, che riesce a chiudere gli accessi alla loro postazione, anche se avranno alcuni problemi con degli zombie, dovuti soprattutto alla stupidità dei personaggi, che non capiscono di doverli colpire in testa. Mentre la ragazza si trova proprio nei luoghi caldi di Seoul, dove non c’è anima viva, ma solo i morti che camminano. Si salva grazie all’aiuto di una serie di compagni molti improbabili, con i quali riesce a sopravvivere in quella situazione disperata.
Il finale
Più di questo, però, non si vuole dire, in quanto rovinerebbe la sorpresa della visione della serie, che risulta essere nel complesso ben fatta, con tanta tensione e pochi momenti veramente spaventosi, ma usati ad arte. Le uniche pecche riguardano alcuni passaggi della storia dove i personaggi risultano essere degli incompetenti totali. Insomma i soliti escamotage per giustificare una situazione difficile o la morte di un personaggio. In conclusione la serie riesce a mantenere una visione coerente sia sulla storia d’amore dei protagonisti, sia sulle vicende dei due gruppi, quello dei militari e quello di Kang Young-joo, legate agli zombie, prendendo il meglio della cinematografia coreana del genere, con diversi rimandi a Train to Busan e All of us are dead.