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giovedì, Marzo 20, 2025

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I Sepolcri, vera e unica parificazione dell’essere umano

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No, non parlerò dell’opera di Ugo Foscolo perché non ho raggiunto la maturità di una piena depressione consapevole, ma di un argomento strettamente collegato.

Prima è necessario fare una premessa.

Lo spunto delle presente riflessione sta nella circostanza che sono stato ad un funerale di una persona a me cara, morta relativamente giovane (65 anni) dopo 5 anni di calvario derivante da un male incurabile.

Una persona per bene al punto che alla funzione c’erano tantissime persone nonostante il freddo pungente e il cielo plumbeo quasi ad accompagnare la mestizia della funzione dolorosa con un Dio partecipativo.

Un uomo di origini albanesi e naturalizzato italiano.

E ovviamente una funzione laica al cimitero perché di religione islamica.

Ma sepolto sempre in una terra consacrata a Dio, uno a scelta del fedele.

Ho osservato il meraviglioso contegno di questo fiero popolo albanese che ha forte il senso di appartenenza sia alla loro terra di origine sia al concetto di famiglia con una dignità e aplomb signorili.

Ma mentre osservavo l’escavatore che gettava la terra sulla bara tra lacrime trattenute malamente di tanti e sospiri di tutti, mi è venuto in mente da un lato il concetto di morte a cui tutti sommessamente pensano con l’avanzare dell’età alla data di scadenza terrena e dell’altra cosa significasse non essere sepolto nella terra natìa.

E mi sono sentito angosciato , ma per lui, sbagliando.

Si fa presto a dire “immigrazione sì, immigrazione no” con prese di posizione di entrambi gli schieramenti che lucrano elettoralmente sulla pelle di chi recide il cordone ombelicale con la loro Patria che è anche madre e padre allo stesso tempo, ma in pochi rammentano ciò che affermò il mio amatissimo Papa Ratzinger sul diritto di non emigrare e quindi tacciato di nazismo come il fratello da parte dei soliti noti che la buttano solo in politica.

In realtà ho ragionato sulla terribile presa di coscienza del defunto e di tutta la famiglia di aver sostituito il concetto di Patria e andando a farsi seppellire sul nuovo suolo che spesso li addita come delinquenti seriali (rari) o animali da lavoro (quasi tutti).

La perdita identitaria di un immigrato è sintetizzata dalla sepoltura nel nuovo Stato che lo ha adottato, ma non la vedo come una cosa biasimevole, bensì come elemento di una apertura mentale che noi italiani ce la sogniamo, tanto che veniamo seppelliti sempre al paesello di origine, sancendo non tanto un rigurgito di malinconia, quanto il rispetto di una nostra tradizione sepolcrale fatta di totem senza anima.

Questo perché non conta dove si è sepolti ,ma come si è vissuti.

Ma rimane la spiacevole forse errata mia sensazione di essere seppellito in terra straniera quando in realtà, osservando le lapidi, c’è un hellzapopping di nomi stranieri impronunciabili ai più alternati da cognomi de noantri.

Il concetto quindi che si è cittadini del mondo lo si trova amaramente nei cimiteri laddove le lapidi sono tutte uguali in una sorta di marxismo attuato nel dolore, cioè tutti uguali avanti alla morte e nella morte.

E non ci sono più immigrati, ma persone.

L’integrazione, quindi, passa attraverso eventi terribili come la partecipazione di tanti al dolore di altri, dimenticando razza, sesso e religione in una visione d’insieme che ha nelle lacrime delle nuvole il punto nodale della vicenda umana.

Il seppellimento di un corpo, con tutta quella terra sopra, diventa un atto scaramantico con la speranza per tutti che ci sia un Dio, uno qualsiasi , che ci accolga senza farci tante domande o chiedere giustificazioni dal momento che tutti abbiamo paura che non ci sia di là l’Eden promesso, ma solo le stelle.

Ne consegue che non si hanno più patrie, non più tradizioni da rispettare, parole non dette o dette male, ma solo la certezza, come nel caso del funerale a cui ho assistito, che la Patria non è fatta di confini e di popoli, ma di ciò che emana come madre amorevole e accogliente.

In pratica dove ci si sente a casa e non ospiti.

Ma in eterno.

E, quindi, non ci sono più immigrati, non più permessi di soggiorno, non richiesta di cittadinanza, ma persone che hanno trovato una nuova madre che custodirà il segreto di una resurrezione del corpo perché l’anima del defunto albergherà nel ricordo di chi rimane.

Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano, ma sono dovunque noi siamo” scrive Sant’Agostino.

Passione e portamento, la bellezza di Marzia Scilluffo

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La giovane Marzia Scilluffo è una fotomodella di Messina che già da bambina aveva la passione per la moda. E’ una bellissima ragazza, spigliata e alta poco più di un metro e settanta. In passato oltre a partecipare a diversi concorsi di bellezza ha sfilato anche per importanti brand. Ma il suo fascino non passava inosservato, infatti, ha preso parte e diversi videoclip musicali. Marzia, inoltre, nel 2019 fece anche parte del cast di “Paperissima Sprint” al fianco di Brumotti e il Gabibbo.

Anzitutto come è nato il tuo percorso nel mondo della moda?

“Il mio percorso nel mondo della moda è nato fin da piccola nel mio cuore, perché desideravo farne parte, guardavo con amore ed interesse quei grandi cartelloni che si vedono  ai lati delle strade dove bellissime modelle pubblicizzavano dei prodotti. Già da allora mi vedevo al loro posto e pensare che avevo circa 8 anni ; ero proprio piccola!  Eppure già avevo le idee chiare su ciò che mi sarebbe piaciuto fare nella vita. Pensa che ancora oggi ho una foto fatta da mia madre in cui pur essendo molto piccola posavo da modella. Per non parlare poi dei Red Carpet che mi affascinavano tantissimo. A 14 anni ho potuto materializzare i miei desideri ed iniziare a calcare una piccola passerella grazie ad un concorso locale nella zona di Catania, che mi ha dato molte soddisfazioni”.

Hai partecipato a tanti eventi e svolto diverse attività ma quale è stata quella più significativa per te, quella che ti ha segnato?

“Si in effetti posso dire di aver partecipato a tantissimi eventi, è difficile però poter dire quale di questi sia stato più significativo per me, perché ognuno a suo modo mi ha lasciato qualcosa e mi ha fatta crescere professionalmente. Ricordo con emozione la sfilata che mi ha vista coinvolta sulla passerella milanese del Just Cavalli Hollywood dove ho sfilato per Maria Monsè  e la sua linea di abbigliamento “Perla Monsè”, come ricordo bene  lo shooting fatto a Parigi all’ombra della Tour Eiffel, dove per l’occasione ho ricevuto una targa con cui è stata premiata la mia professionalità come modella. Molti inoltre sono stati gli eventi che mi hanno vista protagonista insieme a grandi nomi dello spettacolo, come Anna Falchi, Alex Belli ecc… dove l’adrenalina era molto alta e ho potuto provare grandi emozioni”.

Invece agli shooting quando e come ti sei avvicinata?

“Diciamo che come avevo accennato all’inizio di questa intervista, da piccola sognavo più che altro ruoli da fotomodella, dove gli scatti la facevano da padrone e sognavo la mia immagine su carta patinata, di grandi cartelloni. Posare per vari fotografi è stato senz’altro una bellissima esperienza. Sicuramente ci sono stati dei fotografi con cui ho avuto una maggiore empatia rispetto ad altri, ma posare è sempre stato molto spontaneo per me”.

Nel 2019 sei entrata a far parte del cast di “Paperissima Sprint” come è iniziata la collaborazione e che tipo di esperienza è stata?

“L’esperienza fatta a Paperissima Sprint è stata sicuramente un’esperienza forte. Sono arrivata a far parte del cast in maniera abbastanza fortuita e grazie ad un manager che mi ha proposta. È  stato un periodo molto intenso e bellissimo durante il quale abbiamo girato tutte le puntate dell’intera stagione estiva. Mi sono ritrovata fianco a fianco con persone che fino ad allora avevo visto solo in TV. Abbiamo lavorato insieme ma anche stretto amicizia e vissuto esperienze anche fuori dal set di registrazione come ad esempio il compleanno di Brumotti. Ricordo che mi ero preparata con molta cura, non sapevo però che ognuno degli invitati era destinato al battesimo dell’acqua, così ,appena arrivata, come tutti gli altri invitati, sono stata buttata in piscina del bellissimo locale dove Vittorio aveva organizzato, con noi tutti del cast, la sua splendida festa .È stato  tutto perfetto e molto divertente. Sul set eravamo tutti molto attenti e le ore di lavoro erano lunghe e stancanti ma pur sempre belle  perché le trascorrevano sempre col sorriso. Anche le Veline: Shaila e Micaela erano molto simpatiche e alla mano, non parliamo poi del  Gabibbo con cui ho trascorso tanti momenti insieme ridendo con le lacrime. Non dimenticherò mai quei giorni intensi”.

Oggi a cosa aspiri? Quali sono i tuoi obiettivi?

“Oggi continuo ad amare intensamente il mondo della moda e anelo a sempre nuove ed interessanti esperienze ma sono aperta anche al mondo del cinema per la cui preparazione sto studiando attraverso la frequenza di corsi di dizione e recitazione. A tal proposito ho frequentato un workshop tenuto da Fioretta Mari ed uno tenuto dal noto attore internazionale Vincent Riotta”.

Nel tuo percorso da fotomodella c’è qualche cosa che non faresti? Cioè prenderesti una scelta piuttosto che un’altra?

“Diciamo che come in tutti i campi professionali ci sono eventi seri ed  importanti ed eventi che lo sono un pò meno. Sicuramente è un mondo in cui si può incappare in qualche tranello o in qualche personaggio losco. Di certo non starei a perdere tempo con “i venditori di fumo” che si auto-attribuiscono più importanza di quanto in effetti ne abbiano”.

Chi è Marzia nella vita di tutti i giorni e fuori dai riflettori?

“Marzia è una ragazza entusiasta della vita e di grande sincerità; è una persona che crede fortemente nei valori più semplici ma basilari,  come la famiglia, l’amicizia e l’amore. Marzia però sa che la società odierna non è fatta solo di persone virtuose, sa che nella vita bisogna lottare e fare i conti con chi ha fatto  dell’ipocrisia il suo stile di vita”.

La conversione laica di Malena

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Malena è una famosa porno attrice italiana, molto bella, che nell’immaginario collettivo del gallo italico, me compreso, ha soppiantato il ricordo di Moana pozzi che era altrettanto bella.

Direi una bugia se affermassi che non ho visto video di entrambe le attrici in virtù di un mio personalissimo sdoganamento sessuale laddove appartengo a quella generazione cresciuta a cataloghi di Postal Market e i fumetti di Lando.

Ne consegue che con l’avvento della tecnologia e il radicale cambio dei costumi, si è cominciato a trovare con estrema facilità immagini porno di un certo spessore anche in considerazione che invece le attrici di tanti anni fa (più di 30 per esattezza) erano delle buzzicone quasi chiattone mentre ora sono modelle spettacolari che si dedicano a questo tipo particolare di cinema con tutte se stesse, ma che agli occhi senili del sottoscritto diventano film di fantascienza.

In una società perbenista, non per bene, come quella italiana in cui ancora una buona parte è tarata sulla sessualità, il mondo del porno si trova a buon mercato e su OnlyFans è un proliferare di ragazzine – che possono essere mie nipoti – di una bellezza straordinaria che non sono ammiccanti, ma direttamente esplicite nel proporre una sessualità che ha perso la magia del mistero e della seduzione con una facilità disarmante.

È l’eterna contraddizione della società italiana.

Da una parte i movimenti politici che censurano la donna quale oggetto di concupiscenza e mercimonio del corpo, mentre dall’altra c’è un aumento esponenziale di donne e ragazzine che anche su Tik Tok fanno balletti semi nude per acchiappare un like e, quindi, avere una fonte di incasso mostrando sederi scolpiti nel marmo.

Sul punto il mitico Rocco Siffredi, uomo di dotata intelligenza oltre che di altro, che ha fatto la sua fortuna, in una intervista a “Belve” ha tuonato contro il mondo del porno e OnlyFans mettendo in guardia queste ragazze che sostanzialmente si buttano via e poi, finita l’epoca, entrano in depressione e non risalgono la china della parabola emotiva.

In pratica ricalca quello che diceva Carmelo Bene, il grande attore teatrale, in merito alla facilità di avere sesso senza tante difficoltà e facendo perdere quell’alone del mistero citato e rendendo, quindi, non più interessante il sesso stesso.

E anche su Facebook si notano ragazze molto belle che postano foto ammiccanti se non direttamente esplicite in cui gli uomini boccaloni sbavano senza ritegno al punto che quest’ultimi quando ricevono dalle ragazze in questione un like, pensano già ad un futuro viaggio di nozze per avere conquistato la sventurata preda pseudo cretina.

In realtà tutto rimane in superficie e a livello di immagine con buona pace di tantissimi altri che, invece, si mortificano al posto di queste donne nel vederle svendersi con una facilità disarmante.

Il problema è il concetto di un mal celato senso di libertà che attanaglia tutti, soprattutto la donna sulla scia delle grandi battaglie sociali degli anni ‘70 del secolo scorso per l’emancipazione della donna e che è stato mal interpretato da tante non nella misura dei pari diritti, quanto per la mascolinizzazione della donna nell’approccio sessuale con il risultato che è una invasione di tette e sederi di una bellezza da paura, diventando cacciatrice di like e non di uomini.

Perché se da una parte si è perso il pudore in ogni cosa, dall’altra in molte ritengono che il principio della propria autodeterminazione si vada a sovrapporre con il libero arbitrio credendo di averlo, quando in realtà è un bluff evangelico perché si è troppo ancorati al passato e si ha timore del futuro con il risultato che le scelte diventano inconsciamente obbligate e svilendo il concetto di libero arbitrio stesso.

Malena, invece, con coraggio ammirevole, ha deciso il percorso inverso senza arrivare agli estremi di quella sventola di Claudia Koll che si è convertita alla fede, trovando una pacificazione interiore che in confronto Paolo Brosio è un bestemmiatore seriale.

Ha detto basta al porno anche perché la madre sta male e si vuole dedicare a lei e, quindi, ha deciso di chiudere con un certo mondo e auto auspicandosi di tornare vergine.

Ora, se la verginità è sempre stata intesa come elemento spartiacque fisico e terribile della sessualità di una donna, dall’altra la stessa – almeno per me – significa il recupero di un candore primordiale a cui tutti devono aver la possibilità di accesso senza che gli utenti maschi dei social si sbellichino dalla risate perché viene a mancare il culto del loro onanismo.

Questo recupero di verginità morale (quello fisico la vedo un po’ dura) deve essere il volano di una riflessione profonda in merito alla possibilità di evoluzione del proprio io verso lidi più consoni a se stessi, ma che vengono rispediti al mittente, soprattutto se donna, in considerazione che gli italiani, bigotti per eccellenza, non perdonano chi si arrabatta a trovare una nuova via rispetto a quella già segnata.

E sono pochi i galli italici che accoglieranno con benevolo stupore questa conversione laica di Malena che, invece, merita non solo una seconda possibilità di vita trovando un uomo tutto suo che la ami per il suo cuore e testa e non per il sedere o le performance, ma anche avere la prospettiva di piombare nell’anonimato per dedicarsi ai veri affetti, in primo luogo verso se stessa.

Merita rispetto e non derisione perché – in buona sostanza – ha molto più coraggio di tanti uomini leoni da tastiera che osservano e si masturbano alla vista di video sostanzialmente di fantascienza.

La morte di Valentina Salamone

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Nel luglio 2010, per la precisione il 24, in una villa di Adrano, nel Catenese, viene ritrovato il corpo senza vita di una giovane donna. La vittima è la diciannovenne Valentina Salamone, che si trovava ad Adrano con gli amici. Il suo corpo, viene, quindi, ritrovato in questa villa legata al soffitto da una corda. Per gli investigatori si dall’inizio si prospetta l’ipotesi del suicidio.

La famiglia, però, non crede che Valentina potesse fare un gesto così estremo e decide di spingere affinché siano svolte le indagini. Si iniziano, quindi, a interrogare gli amici che si trovavano con la vittima quella sera. Emerge che la notte della morte la giovane aveva litigato con un uomo, Nicola Mancuso, con il quale aveva una relazione. In un primo momento proprio per questo litigio, descritto come molto violento, gli investigatori avevano pensato al suicidio come ripicca della donna nei confronti dell’uomo. Ipotesi che, però, non sembra reggere. L’uomo viene prima convocato in caserma e poi arrestato in quanto ritenuto l’autore materiale del fatto.

La situazione, infatti, per l’uomo, sposato con tre figli e disoccupato, si sarebbe fatta troppo pesante per la gelosia e le continue richieste di Valentina di lasciare la moglie per mettersi con lei. Dopo l’ultima litigata avrebbe deciso di farla finita, uccidendo l’amante e poi inscenando il suicidio. Depistaggio che venne smontato dal Ris, in quanto sarebbe stato impossibile per la ragazza fare i nodi alla corde, oltre che la presenza del sangue della vittima sotto le scarpe dell’uomo. Tutto ciò ha portato alla condannato all’ergastolo, condanna confermata in Cassazione nel 2022.

Le polemiche non finiscono con il processo. Mancuso, infatti, tutt’oggi continua a sostenere la sua innocenza e i suoi legali sostengono come la prova decisiva, il sangue sotto le scarpe, non dovesse essere ritenuta valida in quanto erano presenti anche le tracce ematiche dell’uomo, così come la presenza di un secondo Dna sulla scena del delitto mai identificato. Mentre per la famiglia della vitta si è chiuso un capitolo doloroso della loro vita.

Ritorno all’Epifania e alla Fede, lontani dalla politica

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Come lo scorso anno non poteva mancare un mio cenno alla Epifania, ma mentre lo scorso anno parlai di tale ricorrenza dal punto di vista solo teologico, con tutti i limiti del caso, oggi ne voglio parlare dal punto di vista laico dal momento che – mi accorgo – che di spiritualità e tante altre belle cose poco interessa il lettore, andando più sul pecoreccio.

Ma un accenno alla festività religiosa lo debbo pur fare per articolare il discorso che sto affrontando.

Epifania deriva dal greco antico ἐπιϕάνεια che significa manifestazione, in questo caso del divino.

Ma ha perso di significato per una serie di circostanze che trovano nella Chiesa la principale artefice di questa debacle spirituale perché non sa più trasmettere il valore della parola evangelica e tramutando tutto in una questione non di fede, ma politica perché anche tale organizzazione si sta appiattendo sul politicamente corretto.

Avvenire è il quotidiano della Conferenza episcopale italiana e di certo non possono collaborare persone che non siano in odore di Cristo (e di Marx aggiungo io) a motivo del quale non potrò mai essere ospite di tale quotidiano.

In linea astratta tale quotidiano dovrebbe essere equidistante e incarnare al meglio il credo del mio amato don Primo Mazzolari: Non guardo a destra non guardo a sinistra, ma guardo in alto.

Una frase che, all’esito degli articoli di tale giornale, fa sbellicare dalle risate anche i miscredenti, figuriamoci il sottoscritto che si atteggia a crociato della parola.

Ebbene, Simona Segoloni Ruta, docente all’Istituto Pontificio Teologico Giovanni Paolo II (mica pizza e fichi), in una intervista sul tale quotidiano ha affermato che la Sacra Famiglia è solo un quadretto devozionale e mettendo sostanzialmente in dubbio la verginità della Madonna con vaghi accenni al patriarcato che fa tanto tendenza.

Ora, seppur vero che tanti simboli del Cristianesimo sono stati tramandati dagli antichi romani e sul punto basti leggere Plinio il Vecchio e il suo Naturalis Historia o soprattutto Columella con il suo De re rustica, dall’altra significa che si è voluta preservare la tradizione tramutandola in devozione per mantenerla viva.

Ora invece la stessa Chiesa, per tamponare l’emorragia di fedeli la domenica e nelle feste comandate, ha spostato il suo centro di interesse dal divino al sociale al punto che – per fare un esempio – i vescovi umbri sono intervenuti pesantemente per appoggiare alcuni candidati di centro sinistra sia a Foligno sia alla Regione perché secondo loro più vicini alla parola del Signore quando in realtà è solo una furbizia spaventosa dei candidati stessi.

Con il risultato che la Proietti ha vinto, ma hanno perso i veri fedeli in Cristo.

E adesso si attacca la Sacra Famiglia che l’epiteto di quadretto devozionale suscitando l’ ira tra chi ha fede e chi – da destra – la vede come un attacco alla tradizione.

In realtà a me assale lo sconforto nel vedere una Chiesa alla deriva e che non si spende per far recuperare la fede a chi naviga spiritualmente a vista e demonizzando secoli di teologia che mortificherebbe un sant’Agostino o un san Tommaso d’Aquino per non parlare del compianto papa Ratzinger.

Una deriva mortificante della nostra società che è passata da un Berlinguer ad una Schlein e da Almirante alla Meloni.

Non una parola di spiegazione sul significato della Epifania e il valore dei tre Re Magi e dei tre doni magici, della Cometa simbolo di un cammino verso la salvezza in Cristo, sui contadini che si fermarono davanti alla mangiatoia, nulla di nulla se non qualche bel presepe in Chiesa che il più delle volte è sintetizzato dalla sola Natività.

Mi domando che gusto trovi la Chiesa a svilire secoli di tradizione teologica – seppur con i suoi limiti e contraddizioni – per seguire il politicamente corretto che non fa bene alla Chiesa stessa e che trova nell’attuale Papa la punta di diamante di un riformismo gesuitico e quasi agnostico che ha poco di fede e tanto di politica sociale.

La Chiesa deve ritrovare, se vuole salvarsi, la fede pura per dare significato alle feste dal punto di vista evangelico altrimenti ce la perdiamo definitivamente e siamo già a buon punto dal momento che se Epifania (ἐπιϕάνεια) significa manifestazione, in realtà oggi è la manifestazione di teorie marxiste, meritandoci l’estinzione.

“Una poltrona per due”, del Natale e della scelta tra bene e male

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Titolo di film che dalla seconda guerra punica viene trasmesso alla vigilia di Natale in TV diventato un caposaldo della nostra esistenza come punto di riferimento.

La storia la conosciamo tutti: due squali della finanza che per scommessa di un dollaro decidono i destini di due persone sulla base di un vecchio concetto marxista che è l’ambiente che condiziona l’uomo.

E con i due sventurati che si vendicano con gli stessi mezzi decretando la fine del sistema ultra capitalistico a favore dei soliti noti.

È indubbiamente un film piacevole che finisce bene dove il cattivo di turno fa una finaccia e tutti vissero felici e contenti in un perfetto spirito natalizio di buoni propositi.

Ma a ben vedere o osservare – vedete voi – sono tanti i film che possono emanare buone intenzioni come ad esempio il delizioso Quasi amici francese che, a mio modesto avviso, è superiore a qualsiasi altri film buonista da trasmettere in un periodo particolare come il Natale.

Ma appartenendo ad una generazione che oggi viene definita di boomer, perché dire vecchio non è elegante, le mie scelte cinematografiche nascono da molto lontano.

Ora, non sono un nostalgico dei tempi che furono sotto ogni punto di vista dal momento che se si guarda verso il passato non si hanno prospettive per il futuro in considerazione che ognuno di noi spera di essere immortale, ma rimane però un punto fermo che – guardando appunto il passato – le cose non erano così male.

Almeno per ciò che concerne la programmazione televisiva.

Giurando che anche io sono stato un bambino cresciuto a pane e Carosello, non posso dimenticare la TV dei Ragazzi o programmi come A come avventura di Mino Damato e Bruno Vailati per non parlare del meraviglioso programma de L’Italia vista dall’alto di Folco Quilici.

Programmi educativi da paura.

Poi l’avvento delle TV berlusconiane basate sull’indole del capo per cui a base di tette e sederi (spettacolari per carità) ha mortificato il servizio pubblico che ebbe una conversione sulla via di Damasco in senso negativo e adeguandosi a new deal televisivo pecoreccio.

D’altronde i Romani dicevano panem et circenses e sostanzialmente indovinando cose esigesse il popolo, cioè leggerezza e divertimento ma a stomaco pieno.

I buoni propositi, sul punto, della TV, si riaffacciano quindi prepotentemente durante le festività natalizie con una programmazione mirata a far suscitare sentimenti buoni perché forse c’è il desiderio di sentimenti belli almeno in questo periodo.

Mi vengono quindi in mente altri film bellissimi, tutti di Frank Capra come La vita è meravigliosa o Angeli con la pistola su cui, i più sensibili e temerari, hanno versato lacrime con benevolo stupore.

Sostanzialmente è la necessità, mai sopita, di ogni persona di essere votata al bene e non al male altrimenti non si spiega tale tipo di programmazione inebriante di buono.

La vita quindi scadenzata da punti inamovibili come i film di Natale dove si cerca malamente di fornire all’uomo una sospensione spazio temporale per riflettere sul divino che cova dentro di noi e suscitare quel moto perpetuo verso il bene a mezzo di immagini strappalacrime mirate.

Ne consegue la caducità del sentimento buono dal momento che, terminate le feste con relativa programmazione televisiva che culmina nel cartone animato della Disney Canto di Natale di Dickens, tutto torna come prima tra mille imprecazioni e mille rimbrotti.

Dickens era il cantore di un verismo anglosassone che cantava le classi più umili e sfruttate sulla scia delle prime avvisaglie di rivoluzione industriale, lanciando un grido di dolore per le classi disagiate affinché si affrancassero dalla brutalità economica della nascente borghesia.

Un po’ come il nostro Renato Fucini, narratore a veglia toscano di fine ottocento di due secoli fa che applicava, primo fra tutti, quell’empatia verso il dolore altrui, ma contestualmente fornendo una via di uscita a tanto dolore con l’emergere dei caratteri buoni dei personaggi che descriveva.

Quindi il bene come rivincita sopra tutte le cose a una vita di stenti.

Mi domando se questa programmazione televisiva abbia valore pedagogico verso noi tutti o dura come la neve tardiva di maggio dal momento che poi si ritorna al vecchio che sembra nuovo e decretando il fallimento dello spirito natalizio che può non essere per forza di un credente, ma di qualsiasi persona che abbia la forza di perseguire il bene a cui dovrebbe essere naturalmente teso.

Il problema è che per gli uomini è più intrigante il male.

Contenti loro.

Roberto Baggio, la stella più luminosa del calcio italiano

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“Dio c’è ed ha il codino” recitava uno degli striscioni più famosi visti allo stadio. L’astrologia può spiegare la mitizzazione del ricciolino che trentuno anni fa conquistava il Pallone d’oro

Il tempo non sembra mai passare per un calciatore tanto amato e divinizzato. Nulla è a caso. Nella consueta iconografia l’Acquario, segno zodiacale di Roby, è rappresentato da un uomo che porta due anfore inclinate (che indicano benedizione e protezione) dalle quali scende verso la terra un fiotto d’acqua. Per alcuni è la raffigurazione dello stesso Zeus, che versa l’acqua dalla giara per rendere fecondi i semi della vita sepolti nel grembo terrestre. Il nostro giocatore più celebre nasce da Florindo e Matilde a Caldogno, in provincia di Vicenza, sabato 18 febbraio 1967 (presumibilmente) alle ore 18.15. Sesto di otto fratelli, inizia a tirare i primi i calci in casa, con la smania di crescere in fretta per poterlo fare in un campo vero, davanti ai propri tifosi. Viene dipinto da uno dei suoi primi allenatori come “il più piccolo, silenzioso, appartato, ma anche il più grintoso e il più furbo”. Le note di fondo del suo tema astrale – Sole in Acquario e Luna in Gemelli – parlano di slancio umanitario e doti oratorie, benché la sua natura sia piuttosto schiva e riservata. I pensieri sono ordinati ed organizzati, con uno sforzo costante nel lavoro. È gentile, buono e mite nell’animo. Anche i modi e i gesti sono pervasi da un afflato spirituale. È un idealista ma dall’atteggiamento concreto. Essendo la Luna in decima casa (carriera) è particolarmente flessibile agli spostamenti. La parola chiave è “novità”. Nonostante la profondità e la serietà dei suoi interessi, si annoia se deve lavorare continuamente nelle stesse condizioni. Urano, il pianeta del segno, è legato ai cambiamenti fisici ma anche a tutto ciò che è fuori dagli schemi mentali e fonte d’ispirazione per gli altri.

Fonte foto: Astro.com

L’ascendente in Vergine ed il suo governatore, Mercurio, in settima casa, completano il quadro di un atteggiamento calmo, analitico e critico, con una grande capacità di perseverare per raggiungere gli obiettivi prefissati. Quando viene ingaggiato dalla Fiorentina dice: “Continuerò la mia vita, calcio e fabbrica. Spero solo che mio padre mi conceda qualche ora di riposo in più”. In questa frase c’è tutta l’umiltà e lo stacanovismo tipico della Vergine. A queste due cose se ne aggiunge una terza, la riservatezza. Benché non gli dispiaccia avere rapporti con gli altri, c’è qualcosa infatti che detesta: una continua intrusione nella sua privacy. Il Sole in sesta casa da una parte accentua la vocazione professionale, dall’altra pone l’accento su problematiche fisiche che si ripercuotono proprio nel settore lavorativo. “Da bambino piangevo quando sentivo passare le ambulanze”: una frase che fa rabbrividire perché sa di predestinazione, di destino annunciato. Tutta la carriera di Baggio è stata pesantemente condizionata da gravi infortuni. Il pianeta è in opposizione all’ascendente dove è collocato Plutone (il Dio della potenza psichica): attrae cioè persone autorevoli con forte ego (gli allenatori) che entrano in contrasto perché cercano sempre di ottenere il dominio su di lui. Nei suoi rapporti con i compagni mostra un atteggiamento dignitoso, forte ma generoso (il bellissimo trigono Mercurio-Nettuno-Giove). Marte in Scorpione inoltre è pungente ed energico come lo era lui sotto porta: è una posizione tipica negli sportivi. Il fatto che risiede in terza casa (mass media) rende popolari le sue performances di artista del calcio.

Fonte foto: PrimaBrescia.it

La sfera privata è baciata dalla buona sorte. Venere in Pesci in settima casa non solo è indice di un animo romantico alla ricerca dell’anima gemella, ma anche di un matrimonio fortunato (nel 1989 convola a nozze con Andreina Fabbi). Vi è inoltre la presenza di Saturno, il pianeta della responsabilità, della maturità, della durata nel tempo, collegato anche alla buona educazione ricevuta in famiglia che lo rendono incline ai valori tradizionali, spingendolo ad essere un ottimo padre (la coppia ha tre figli: Valentina, Mattia e Leonardo). Al di là della sfera emotiva, lavorativa e privata Baggio nel suo campo è un autentico genio proprio come lo era Raffaello, da cui prende il soprannome. Negli ultimi anni della sua carriera comparve sugli spalti la scritta: “Dio c’è ed ha il codino”. Pochi campioni hanno saputo, come lui, rappresentare in maniera così totalizzante i valori più nobili dello sport, rimanendo indelebilmente nel ricordo di tutti. La carta dei tarocchi collegata all’Acquario è infatti una delle più belle, quella delle Stelle, indicante profondità e ascesa verso i vertici della consapevolezza e della propria natura immortale.

Riflessioni sul Natale e sul presepe

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Lo scorso anno scrissi in questo periodo un articolo sul Natale dal titolo Natale del Redentore per riagganciarmi ad un opera del maestro musicista Lorenzo Perosi.

È passato quindi un anno e si deve svolgere un bilancio di ciò che è stato quest’anno tra progetti falliti e intenzioni rinnovate.

Rimane indubbio che nella storia dell’umanità la nascita di Cristo assurge a cambiamento epocale del modo di pensare del nostro piccolo pianeta perché è stato introdotto un nuovo concetto di socialità che si basa da un lato sulla speranza di Resurrezione, ma dall’altra sul concetto ben più innovativo di misericordia.

Il sopravvenire delle Sacre Scritture ha di fatto rotto quel file ruoge che univa la filosofia pre socratica alla società civile dal punto di vista spirituale e che per me almeno trovò in Parmenide (V secolo a. C.) di Elea, l’attuale Velia sotto Salerno e quindi Magna Grecia, il primo pensatore che distinse la società in due dimensioni: la verità e l’opinione.

Se per Parmenide la verità consisteva in una via iniziatica propria degli dei, l’opinione appartiene al popolo non iniziato con il risultato della fallacità di quest’ultima rispetto alla prima.

Il problema nasce dal concetto di via iniziatica laddove i più sprovveduti, che la agganciano all’esoterismo che sfocia nella massoneria, risultano in malafede proprio per questo maldestro riferimento laddove la via iniziatica alla Verità è un valore che riguarda lo spirito per arrivare al divino e non al grande architetto tanto caro ai grembiulini.

Il viaggio verso il proprio io interiore è stato sempre auspicato da tanti che trovano nella considerazione di Platone che il maggior nemico di noi stessi è il nostro pensiero perché dire che ci facciamo le fantasie mentali per brutto e non risulta politicamente corretto se non addirittura volgare, figuriamoci per me in odore di giornalista pubblicista.

Ma scevra da questa digressione al limite dello scrivibile, ritengo che Platone abbia sempre avuto ragione, ma rimane indubbio che con le Sacre Scritture il baricentro attenzionale si è spostato dal miglioramento dell’io in funzione di una pace interiore al miglioramento dell’io in funzione di arrivare e compiacere a Dio.

E a seguire tutte le altre religioni monoteistiche abramitiche che si somigliano sul punto, segno inequivocabile che da spunto di riflessione si sono trasformate in strumento di controllo psichico per far sentire l’uomo inadeguato al cospetto del Dio di Abramo.

Il galoppare verso l’abisso nel corso dei secoli proprio perché la società si è sempre evoluta in maniera materialistica, ha comportato la perdita del valore iniziatico di ricerca della verità come auspicava Parmenide e a favore dell’opinione del popolo.

Questo si riverbera sullo stato attuale ultra consumistico e iper liberista di origine calvinista laddove la verità consiste in una riflessione mentre l’opinione, riguardo il Natale, è ciò che rimane in superficie della nostra anima e che trova nel Presepe la massima espressione di pacificazione interiore basata sul nulla e trasformando il presepe stesso in un simbolo che ha perso significato se non per mantenere una tradizione che si tramanda di padre in figlio e che assurge a totem di una spiritualità mancata.

Questo perché ritengo che pochi ragionino sulla svolta epocale derivante dalla nascita di Cristo e ritenendosi manlevati da qualsiasi comportamento non consono a se stessi proprio per l’applicazione della Misericordia non tanto verso gli altri come dovrebbe essere, ma verso se stessi in un percorso di auto assoluzione che trova nella psichiatria elementi su cui lavorare.

Il Natale, quindi, come un vistoso flop di intenzioni che sanciscono il decadimento della riflessione nel momento in cui, finite le feste, si smonta il presepe e si ritorna al tran tran quotidiano basato sulla logica del profitto.

Il recupero della spiritualità è per pochi eletti e di altri – ancorché atei- che cercano la loro verità verso se stessi senza che se ne rendano conto perché la velocità di pensiero e di ottimizzare i tempi di produzione sviliscono la riflessione stessa.

Ne consegue che non ci si ferma un attimo e non ci si inginocchia avanti al proprio cuore per cercare quella via dello spirito per migliorare se stessi avanti anche alla società che ne trarrebbe benefici se ognuno riflettesse sulla congruità di alcune azioni che invece risultano non adeguate.

E con Cristo che dalla sua croce – guardando verso noi – che ragiona sul suo fallimento verso l’uomo scuotendo la testa e maledendo il dono del libero arbitrio datoci non avendo considerato l’evolversi della società in senso plutocratico.

Questo perché l’uomo del ventunesimo secolo ha accantonato l’idea del Sacro e della mistica con il risultato che il suo passaggio terreno più o meno importante è sintetizzato dalla consistenza dell’estratto conto, salvo poi pentirsi nel momento in cui si avvicina la data di scadenza terrena e ritrovare in Dio quella sponda alle domande sul perché si deve nascere per poi morire.

Un’ascesi derivante dalla paura della morte che è in tutti noi come era in Cristo al momento della Crocefissione con la frase Padre perché mi hai fatto questo?

Ma se ci si ferma e si contempla il presepio con rinnovare vigore evangelico o con la poetica decadentista del Pascoli con il suo fanciullino, ci si accorge che la via iniziatica per migliorare se stessi diventa il fulcro della santificazione spirituale di noi , ma non per compiacere a Dio che tanto quale essere supremo applica ogni giorno la sua misericordia, quanto per giustificare l’esistenza terrena.

Non per nulla Sant’Agostino ebbe a affermare: “E gli uomini se ne vanno a contemplare le vette delle montagne, e i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi”.

Valeria Ruggeri, fascino e classe dalla Sicilia

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Ha 17 anni ed ha le carte in regola per sfondare. La siciliana Valeria Ruggeri ha già un curriculum da far invidia considerando i concorsi di bellezza in cui ha partecipato. Lo stesso vale per i premi, uno degli ultimi è proprio quello della “Venere dell’Etna” in cui ha conquistato la fascia di “Perla dello Ionio”.

Come è nata la tua passione per  la moda?

“La mia passione per la moda è nata fin da piccola, quando iniziavo a sperimentare con l’abbigliamento e a scoprire vari stili”.

E poi cosa ti ha spinto a far parte di questo modo, quale è stata la scintilla che ha acceso tutto?

“L’ispirazione è arrivata da riviste, sfilate e artisti che ammiro; è stata la creatività e la possibilità di esprimere la propria personalità attraverso i vestiti a catturare il mio interesse. Possiamo dire che la scintilla che mi ha spinto a entrare nel mondo della moda è stato un evento locale di moda a cui ho partecipato. L’energia e l’emozione che si respiravano erano contagiose, e ho capito che volevo far parte di quel mondo”.

Che tipo di esperienze hai avuto fino ad oggi?

“Dal mio inizio fino ad oggi ho fatto diverse esperienze, ho partecipato a molti eventi di moda e concorsi nazionali come: The Look of the Year, classificandomi prima per le regionali; La Venere dell’Etna, acquisendo la fascia La Perla dello Ionio 2024; e La Perla d’Italia. Inoltre, quest’anno sono Miss Bellezza 2024 per la New Star. Ma oltre ai concorsi, ho partecipato anche a molti eventi di moda organizzati dalla stilista Cinzia Dori e dall’associazione Il Sogno di Morgan. Tuttavia, l’esperienza più significativa è stata partecipare alla Milano Fashion Week, dove ho sfilato per gli Orafi Officina 73 di Palermo e ho indossato abiti della stilista Carla Rubino. Grazie al mio Comune, sono riuscita a partecipare al G7 a Siracusa indossando gli abiti della Corte Principesca del Comune. E poi c’è Agata Maria Cosentino della AMC Couture in cui sono testimonial dei suoi abiti. Sono inoltre fiera di rappresentare la Bd Cosmetiques Hairstylist Giusy come testimonial 2024, una realtà, questa, davvero importante. E’ conosciuta e apprezzata a Milazzo, a loro va un grazie speciale per avermi scelta”.

E poi c’è Laura Campanozzi della “New Star” che ti ha seguito molto…

“Un ringraziamento speciale va a Laura Campanozzi, che fin dall’inizio ha creduto in me e mi ha spronato sempre a fare meglio. Inoltre, grazie a lei, ho avuto l’opportunità di fare moltissime esperienze e di crescere in questo mondo”. 

In ambito moda la Sicilia cosa offre? E’ soddisfacente per te?

“La Sicilia offre una ricchezza culturale e una varietà di materiali che la rendono unica nel panorama della moda. Ci sono molti artigiani talentuosi, ma credo che Milano sia la città perfetta per continuare questo cammino”.

Mentre a cosa aspiri e quali sono i tuoi obiettivi in futuro?

“Per il futuro, aspiro a continuare a esplorare il mondo della moda, ma mi vorrei anche realizzare negli studi e nel lavoro”.

La Sicilia e il rito del barbiere

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Per motivi professionali che poco interessano al lettore, sono stato in Sicilia per cinque meravigliosi giorni e più precisamente in quel di Palermo e zone limitrofe.

Mancavo da tanti anni dall’isola e sinceramente, una volta atterrato a Palermo all’aeroporto Falcone- Borsellino che ha un nome che evoca la storia recente, mi sono subito sentito un cretino ad essere mancato per tanti anni.

Non voglio raccontarvi le bellezze di quella meravigliosa terra perché non sono in grado e perché ci sono stati tantissimi personaggi che hanno dipinto al meglio la Sicilia con tutte le contraddizioni possibili immanginabili, ma voglio raccontarvi in cosa consiste la socialità nel sud e soprattutto in Sicilia.

Ho sempre avuto un debole per la gente del sud, vuoi per i diversi paesaggi, vuoi per il sole, il caldo, le cicale e quel sentimento in cui il tempo sembra scorrere più lentamente ma certo è che ogni volta che scendo sotto Napoli il cuore si gonfia di amore verso terre ora martoriate da tanti fattori che hanno plasmato il carattere dell’uomo del Sud nella compiaciuta attesa del nulla come affermava Sciascia.

Una frase che racchiude al meglio lo spirito dei siciliani quasi fossero dei novelli don Chisciotte di Cervantes o il tenente Drogo ne il Deserto dei Tartari di Buzzati laddove l’attesa del nulla, se non la bellezza struggente del mare e dei fichi d’India, la fanno da padrone.

In questa sorta di nichilismo primordiale che si sovrappone alle tradizioni cattoliche, più temute che rispettate in un fatalismo pagano duro a morire, il siciliano rimane diffidente verso chi scende dal nord anche se io sono umbro che viene visto come novello garibaldino che porta però denaro quale turista mordi e fuggi ma di cui non ce ne si approfitta.

Ma una volta scardinata, con qualche difficoltà, questa iniziale diffidenza, ci si accorge che i siciliani sono passionali e ti fanno sentire a casa propria suscitando in noi il legittimo sospetto di aver avuto – in passato – un avo arabo normanno.

Affinità che si manifesta soprattutto a tavola, dove il fegato e lo stomaco assurgono all’olimpo del martirio culinario in una perenne battaglia tra arancine, caponate in mille modi e cannoli con mezzo chilo di ricotta che sembra seta al palato anche dei più distratti.

La socialità quindi viene fuori prepotentemente e se si fa (in fondo) l’errore di entrare in confidenza con un siciliano, non se ne esce più fuori e si torna a casa con l’acquisto di un parente recuperato dopo anni di oblio.

Il punto nodale della socialità è il barbiere.

Avevo necessità di radermi la barba perché in aereo non si può portare nulla e su Ryanair anche un fazzoletto lo paghi un mutuo a parte.

Così a Bagheria mi sono fermato in un barbiere di nome Agostino a farmi coccolare il viso e spendendo il nulla più volte citato.

Il negozio del barbiere è il punto nevralgico di una comunità nel sud soprattutto in Sicilia, un luogo in cui si vanno a trovare gli amici mentre si fanno radere quasi ogni mattina perché hanno più tempo rispetto ad un milanese in cui il tempo è volgare denaro.

Sostituisce egregiamente il bar-alimentari dei nostri appennini, ma con meno bestemmie .

È il luogo magico per eccellenza frequentato da soli uomini in una sorta di maldestra imitazione islamica dove ci sono luoghi inaccessibili alle donne e segno inequivocabile che su alcune cose i siciliani sono rimasti alla seconda guerra punica ma con la laconica differenza che le siciliane pettorute non sono coperte per motivi religiosi a meno che stiano partecipando a qualche processione.

Si parla dei massimi sistemi, niente di donne e sesso,molto di sport e di politica tra un sorriso e un sollazzo mentre si legge il Giornale di Sicilia e si viene interrotti solo perché qualche altro avventore porta il caffè per tutti anche alle 19 di sera.

Così chiacchierando del più e del meno, farsi radere diventa una piacevole odissea sensoriale per il tempo impiegato a radere il minchione di turno mentre gli altri seduti dietro continuano nel loro allegro vociare con tono alti per dimostrare che si è più masculo dell’interlocutore che si ha di fronte.

Nel film che riguardano la mafia come il Padrino o gli Intoccabili, c’è sempre un riferimento al barbiere.

In quest’ultimo film Robert De Niro (Al Capone) discetta sui massimi sistemi con i suoi scudieri mentre si fa radere la barba mentre nei film di mafia le uccisioni avvengono quasi sempre mentre si è dal barbiere.

Ne consegue che si ha contezza che il negozio del barbiere diventa il focolaio ruspante di amicizia e scambio di opinioni al punto che le mogli che vanno a cercare il marito lo trovano sempre lì a scambiare due chiacchiere.

Le notizie paesane diventano quasi la cartina di tornasole di una città con un pettegolezzo che se fosse chirurgico sarebbe da 007, con il risultato che tutti sanno di tutti.

E il barbiere diventa la valvola di sfogo lecita in un mondo che – al Sud- non morirà mai.

Meglio che una seduta dell’analista, costa meno e si esce in ordine.

In Sicilia.

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