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martedì, Giugno 17, 2025

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Al via la “Festa della birra Belga”: i 10 motivi per non mancare

Torna per la sua terza edizione la Festa della Birra Belga, appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di birra artigianale e cultura belga. L’evento inizia oggi, venerdì 30 e sabato 31 maggio 2025 negli spazi post-industriali di Spazio Fase ad Alzano Lombardo, a pochi chilometri da Bergamo e facilmente raggiungibile da Milano e dall’aeroporto di Orio al Serio. Ecco i 10 motivi per non mancare:

1. Finale di Champions League su maxischermo

Sabato 31 maggio alle ore 21, gli spazi interni ospiteranno la proiezione in diretta della finale della UEFA Champions League, per vivere il grande calcio con una birra belga in mano.

2. Inaugurazione ufficiale

Venerdì 30 maggio alle ore 17 si apre ufficialmente la Festa della Birra Belga, con il taglio del nastro alla presenza degli organizzatori e delle autorità locali. Apertura al pubblico dalle 18; per la giornata di sabato invece l’orario di apertura è alle 16.

3. Le birre presenti (e per la prima volta anche Bruxelles)

In degustazione un’accurata selezione di birre artigianali belghe, tra spine e bottiglie, provenienti da diversi birrifici del territorio. Grazie alla collaborazione con Brussels House, per la prima volta saranno presenti anche birre selezionate direttamente dalla capitale belga.

4. Degustazioni guidate con Lorenzo Dabove (Kuaska)

Un viaggio tra i profumi e i sapori delle birre belghe con Lorenzo Dabove, massimo esperto del settore. Due gli appuntamenti: venerdì 30 dalle 19.30 alle 21 e il sabato dalle 16 alle 17.30. Per entrambi gli appuntamenti, la formula è la stessa: cinque birre, una per birrificio. Posti limitati (30 per sessione), biglietti disponibili a questo link.

5. Il Sour Corner di Tripel B

Da Torino, Tripel B porta il suo stand dedicato alla birra acida: il Sour Corner. Una selezione curata delle migliori birre acide belghe tra Lambiek, Belgian sour sidri rari, frutto di una continua ricerca nei più prestigiosi birrifici del Belgio.

6. Area food

Un’ampia zona della Festa della Birra Belga sarà dedicata al cibo di qualità, tra proposte street food e piatti ispirati alla tradizione belga, come frites, carbonade flamande e i gaufres, gli iconici waffles. Il modo perfetto per accompagnare ogni birra.

7. Programma musicale

Musica live e dj-set accompagneranno entrambe le giornate della Festa della Birra Belga. In programma il dj set di DJ Felipe, direttamente dal Belgio, con un set esclusivo e un live canoro che unisce tradizione e contemporaneità a cura di Sofia Doremi, cantante belga.

8. Beer shop ufficiale

Non solo da bere in loco: sarà possibile acquistare birre e gadget da portare a casa, grazie al beer shop allestito all’interno della festa con prodotti dei birrifici partecipanti (e non soltanto).

9. Ingresso gratuito + saltafila

L’ingresso alla festa è completamente gratuito. Sono disponibili biglietti saltafila per velocizzare l’accesso: prenotabili a questo link. Tutti gli acquisti si effettuano esclusivamente tramite token, acquistabili in loco o online.

10. Una location unica

Spazio Fase, ex cartiera ottocentesca riqualificata, rappresenta uno dei centri culturali più suggestivi della bergamasca. Un ambiente perfetto per immergersi nella cultura belga, tra birra, musica e convivialità.

Ludovica Mandrone, stregati dalla sua bellezza

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Sguardo ipnotico e una bellezza fuori dal comune, in questo modo si può identificare l’affascinante Ludovica Mandrone. Lei è una ragazza di 25 anni proveniente da Benevento, famosa per essere la città delle streghe. Chiaramente questo, non ha nulla a che vedere con la giovane fotomodella ma chi la incrocia allora potrà affermare: “Mi ha stregato”. Ludovica è una ragazza con la testa sulle spalle, laureata in lettere moderne, che sogna, ma ha i piedi impuntati sulla realtà.

Quando ha iniziato a piacerti il mondo della moda e del fitness?

“La moda mi ha sempre affascinata, direi da quando ho memoria. Sin da piccola disegnavo abiti, immaginavo outfit, sfogliavo riviste come fossero libri di ispirazione, era il mio modo istintivo di esprimermi. Crescendo questa passione si è evoluta e trasformata in una piccola mania ben calibrata: lo ammetto, sono vittima del marketing..ma con metodo! Mi piace collezionare borse ed accessori dei designer più prestigiosi ma scelgo con attenzione pezzi che non perdono valore, perché la moda può essere anche investimento.
Il fitness, invece, è diventato col tempo una parte imprescindibile della mia vita, il mio rifugio, la mia forza, ciò che mi ha insegnato a resistere e a lavorare in silenzio, a credere nella forza dell’impegno costante. Corpo e mente viaggiano insieme: prendersi cura di uno significa fortificare anche l’altro”.

Cosa ti ha spinto poi a fare degli shooting?

“Il mio primo approccio agli shooting è avvenuto totalmente per gioco, intorno ai 17-18 anni, quando, passeggiando, sono stata notata da un’agenzia di moda; da subito ho percepito quanto mi piacesse comunicare attraverso l’obiettivo. Nonostante questo, però, ho scelto di non investire totalmente in quella direzione perché per me lo studio è sempre stato prioritario. Ho portato difatti avanti con costanza il mio percorso universitario, laureandomi in Lettere moderne e poi in Filologia moderna a soli 24 anni.
Sentivo che dovevo costruire una base solida, prima di tutto per me stessa”.

Quanto è importante per te il fitness e quanto lo pratichi?

“Il fitness è il mio pilastro. Ho iniziato ad allenarmi per vanità, perché la mia immagine era parte del mio lavoro, ma presto il fitness ha smesso di essere solo una questione estetica. È diventato la mia ancora, il mio spazio mentale, il mio modo di sfogarmi oltre che una forma di disciplina e rispetto per me stessa, motivo per il quale ho deciso poi di andare oltre la pratica personale conseguendo anche un diploma da personal trainer. Ad oggi non potrei immaginare la mia vita senza allenamenti, non per come voglio vedermi, ma per come voglio sentirmi: forte, lucida, libera”.

Il tuo vecchio profilo social aveva raggiunto un alto numero di follower, poi sei sparita, come mai? Quanta importanza dai oggi ai social e purché?

“Dopo aver raggiunto numeri importanti con il mio primo profilo, mi è stato hackerato, perdendo tutto; lì ho capito quanto fosse importante non identificarsi con quei numeri. Mi sono presa una lunga pausa, poi, tra ottobre e novembre, ho deciso di ricominciare, a modo mio anche in maniera più sicura, verificata e protetta. Oggi i social per me rappresentano sì una vetrina potente ma anche un mezzo per raccontare il proprio mondo, le proprie passioni, senza filtri ma con misura”.

Oggi con chi  e che tipo di collaborazioni instauri?

“Collaboro con brand che rispecchiano, in linea con il mio stile, quindi brand legati, naturalmente, alla moda ma anche all’activewear, all’integrazione, al fitness”.

Ti sei classificata tra le finaliste per la regione Campania di Miss Italia, perché non hai continuato con le selezioni? In futuro farai altri concorsi di bellezza?

“Miss Italia è stata una bellissima esperienza, il primo ed unico concorso al quale ho partecipato, in modo casuale, senza grandi aspettative. In quel momento però ero a poche settimane dalla mia laurea magistrale, non ho proseguito perché avevo bisogno di concentrazione e volevo chiudere quel capitolo della mia vita nel migliore dei modi. In futuro? Non escludo nulla ma non è una mia priorità al momento”.

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

“Il futuro per me è sempre un intreccio tra sogni e concretezza. C’è un progetto importante in arrivo del quale, da buona superstiziosa, preferisco non svelare troppo.. quando sarà il momento, parlerà da sé. D’altro canto, parallelamente, sto continuando a formarmi per l’insegnamento ed accumulare punti per le graduatorie: è un ambito che mi appassiona, che richiede impegno ed in cui credo profondamente”.

Chi è Ludovica nella vita di tutti i giorni?

“Una ragazza molto determinata, a volte un po’ pazza – nel senso che non ha paura di osare, di cambiare strada, di rimettersi in gioco – e soprattutto, una a cui non interessa il giudizio degli altri, se non quello delle poche persone che ama davvero. Appassionata, costante e curiosa, sensibile ma con quella dose di grinta che serve per non farsi mettere i piedi in testa; testarda, disciplinata, ma non rigida. Una persona che ama il silenzio tanto quanto la scena e con la testa che corre sempre un po’ più avanti. Alla fine, molto più semplice di quanto si possa immaginare: quella che non si prende mai troppo sul serio, ma prende sul serio tutto ciò che fa”.

“Sfida ai fornelli”, il contest per gli istituti professionali campani

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La Regione Campania punta sui prodotti dell’agroalimentare campano per promuovere la sana alimentazione a partire dalle giovani generazioni

“Cucchiarella” d’oro per il primo classificato  Istituto Alberghiero Pantaleo di Torre del Greco (NA) con “Pacchero di Gragnano all’Augenio”, secondo classificato – “cucchiarella” d’argento – ISIS G. Ferraris di Caserta con “Armonie di Stagione”, terzo posto – “cucchiarella” di bronzo – IPSEOA Cavalcanti di Napoli con “Gnocco al cuore di bufala e variazione di Pomodorino del Piennolo del Vesuvio”.

Questa, la classifica dei piatti più apprezzati al termine del contest ‘Sfida ai fornelli’ terza e ultima fase di “CrescereBIO”, il progetto promosso dalla Regione Campania con le somme derivanti dal riparto del “Fondo mense scolastiche biologiche”, e messo a punto da A.S.A.Q.A.-azienda operante dal 2006 nel settore agroalimentare per le analisi microbiologiche e chimiche.

L’attività, riservata agli studenti del IV anno degli Istituti Professionali per i Servizi dell’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera (IPSSOA) e degli Istituti Professionali di Stato per i servizi Alberghieri e della Ristorazione (IPSAR), ha visto protagonisti gli allievi di 9 scuole provenienti da tutta la regione che hanno aderito al bando pubblicato a marzo scorso dalla Regione Campania.

Obiettivo del contest promuovere la formazione di chef del futuro attenti all’utilizzo di prodotti del territorio capaci di farsi interpreti e garanti della valorizzazione dei prodotti biologici certificati di provenienza campana, preferibilmente tipici, DOP, IGP, STG e da filiera corta, da impiegare per la creazione originale di un piatto a scelta che, come richiesto dal regolamento, avesse caratteristiche idonee per l’inserimento nei menu delle refezioni scolastiche. 

<<L’iniziativa -come dichiarato dall’Assessore all’Agricoltura della Regione Campania Nicola Caputo rientra in un piano di azioni incisive e concrete, in grado di creare un reale cambiamento nelle abitudini alimentari della popolazione>>. Come ha sottolineato Caputo – «si tratta di una strategia sistemica per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari campani quale fonte di salute, che include interventi formativi nelle scuole e nelle università.

Il progetto ‘CrescereBIO’ accresce il livello di informazione relativamente al consumo dei prodotti biologici e certificati dell’agroalimentare campano all’interno delle mense scolastiche, incrementa la consapevolezza del legame cibo/salute e valorizza le nostre produzioni regionali, molte delle quali vantano spiccate proprietà benefiche».

L’evento finale si è tenuto presso la Scuola di alta formazione ‘Dolce&Salato’ di Maddaloni (CE). I lavori sono stati introdotti da Mariano Scuotri –che ha poi accompagnato la sfida. In apertura i saluti istituzionali di Andrea De Filippo – Sindaco di Maddaloni, il benvenuto di Giuseppe Daddio – padrone di casa della scuola “Dolce&Salato” e di Simona Pelliccia – referente “CrescereBIO” per ASAQA che ha sottolineato <<Il progetto ha visto l’intera squadra di lavoro gettare dei semi per le nuove generazioni e raccogliere, in questi mesi, i primissimi frutti attraverso il coinvolgimento di circa 2000 studenti, tra primarie e superiori, che si sono avvicinati ai principi di sana alimentazione e di tutela dell’ambiente,  conoscenza del prodotto agroalimentare campano, biologico e certificato della filiera corta>>. E così ha concluso Pelliccia<<Un primo passo consapevoli che c’è ancora tanto da fare e seminar>>.

Durante lo showcooking di un’ora tre allievi per istituto, individuati attraverso un processo di selezione interno a ciascuna scuola partecipante, accompagnati dai docenti, hanno realizzato il piatto precedentemente studiato e ideato nelle aule scolastiche. A valutare il loro operato, alla presenza della stampa, la giuria presieduta da Nicola Caputo – Assessore all’Agricoltura Regione Campania, composta da Giovanni Feola – Specialista in malattie del metabolismo ed endocrinologia, responsabile della nutrzione ASL di Caserta distretto 17/19 – i giornalisti Maria Michela Formisano e Floriana Schiano Moriello e inoltre lo chef resident della Scuola “Dolce&Salato” Michele Baratonia.

Dopo accurata valutazione la giuriaha individuato gli allievi che hanno realizzato i piatti meglio replicabili e compatibili per la ristorazione scolastica, attenti alla stagionalità, esteticamente appetibili e cromaticamente di impatto, realizzati privilegiando la sostenibilità e la filiera corta quindi a base di prodotti campani biologici, IGP, DOP e STG. I piatti vincitori del contest sono stati premiati dall’Assessore Nicola Caputo con le ‘cucchiarelle’, simbolo della cucina tradizionale, in oro, argento e bronzo.

Si è chiusa così la prima edizione di “CrescereBIO” e al di là del contest “Sfida ai fornelli”, ha già visto, nei mesi scorsi, il coinvolgimento dei piccoli alunni delle IV e V classi di 14 istituti di scuola primaria con “A tu per tu con i prodotti tipici campani”, una attività ludico-formativa sul tema dell’educazione alimentare, della sostenibilità ambientale e del cibo di qualità del territorio.

Si tratta di un primo passo per accrescere concretamente la conoscenza e il consumo dei prodotti biologici e di qualità dell’agroalimentare campano, soprattutto grazie ad una volontà condivisa da istituzioni locali e produttori di creare un continuum all’interno della filiera di produzione e trasformazione dalla terra alla tavola. Nel solco di questa scelta e a testimonianza di questo impegno Coldiretti e Copagri hanno messo a disposizione di ogni scuola partecipante al contest ‘Sfida ai fornelli’ un cesto di prodotti locali di eccellenza, con l’intento di favorire la conoscenza dei prodotti biologici e di qualità dell’agroalimentare campano.

Il complesso caso del delitto di Garlasco

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Il delitto di Chiara Poggi a Garlasco è uno dei casi giudiziari più discussi e controversi della cronaca nera e giudiziaria italiana. Avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco, in provincia di Pavia, l’omicidio di Chiara Poggi ha suscitato un ampio dibattito pubblico e mediatico, sollevando interrogativi sulla giustizia e sulle dinamiche processuali.

Chiara Poggi, una giovane studentessa di 26 anni, fu trovata senza vita nella sua abitazione. La causa della morte fu un colpo inferto con un oggetto contundente, probabilmente un martello. Il fidanzato della vittima, Alberto Stasi, fu il primo a scoprire il corpo e a lanciare l’allarme. La scena del crimine, tuttavia, presentava elementi che destarono sospetti: la porta d’ingresso non era forzata, e non furono trovati segni di effrazione. Stasi appariva, inoltre, visibilmente scosso, ma alcuni dettagli del suo racconto non convinsero gli inquirenti.

Inizialmente, Stasi fu assolto in primo e secondo grado. Tuttavia, nel 2013, la Corte di Cassazione annullò le assoluzioni, ordinando nuovi accertamenti, tra cui l’analisi di un capello trovato tra le mani di Chiara e di residui di DNA sotto le sue unghie. Nonostante l’assenza di riscontri decisivi, nel 2015, al termine di un nuovo processo d’appello, Stasi fu condannato a 24 anni di reclusione per omicidio volontario, pena poi ridotta a 16 anni grazie al rito abbreviato.

La condanna a 16 anni fu confermata dalla Corte di Cassazione nel 2017, rendendo definitiva la sentenza. Dopo aver scontato parte della pena, nel 2025, Stasi ottenne la semilibertà, potendo lavorare all’esterno del carcere durante il giorno e rientrare la sera.

Nel 2025, il caso ha subito nuovi sviluppi. Andrea Sempio, un uomo con precedenti penali, è stato nuovamente indagato per l’omicidio, dopo che il DNA trovato sotto le unghie di Chiara è risultato compatibile con il suo. Questo ha riacceso il dibattito sull’effettiva responsabilità di Stasi e sulla possibilità che l’omicidio fosse stato commesso da una terza persona.

Il delitto di Garlasco rimane un caso emblematico di come la giustizia possa essere influenzata da fattori esterni, come la pressione mediatica, e di come le indagini possano evolversi nel tempo, portando a nuove ipotesi e a revisioni delle sentenze. La vicenda continua a sollevare interrogativi sulla verità e sulla responsabilità, lasciando aperti molti interrogativi sulla reale dinamica dell’omicidio.

Fra’ Girolamo Savonarola e la critica alla Chiesa

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Ricorre in questi giorni l’anniversario della morte, avvenuta nel 1498, di Girolamo Savonarola, bruciato in piazza della Signoria in Firenze senza tanti complimenti perché in odore di eresia.

La questione che interessa questo scritto non è di spiegare la figura di questo frate domenicano perché già è stato scritto di tutto, ma cercare di attualizzare il suo pensiero in relazione alla deriva della Chiesa attuale.

Innegabile che la morte di questo sostanziale eroe moderno sia stata lo spartiacque e al contempo un segnale evidente di una Chiesa che si proclamava evangelicamente misericordiosa salvo poi reprimere il dissenso all’interno di essa con l’Inquisizione.

Senza stare a ripercorrere gli orrori di tale periodo che hanno segnato la storia delle Chiesa per un periodo importante e lasciando basiti – agli occhi attuali – chi ha studiato tale fase, rimane innegabile che la Chiesa stessa abbia – nel corso del tempo – inanellato una serie di nefandezze che ancor oggi avere fede in essa diventa un martirio emotivo.

Se l’Inquisizione è stata anche il volano della visione di insieme che si aveva della follia per eliminare voci dissonanti al mainstream religioso affibbiando la patente di matto o di indemoniato, risulta evidente che tale macchia operativa rimane un ricordo indelebile della non infallibilità della Chiesa stessa e svilendo il mistero petrino.

Spesso mi sono accorto, da profondo credente in Cristo, che il sistema religioso si sia auto alimentato per la conservazione del potere temporale e traducendo le Sacre Scritture nel modo che servisse di più allo scopo prefissato plasmandole all’esercizio del potere stesso con errori di fondo difficilmente superabili se non con una profonda fede.

Non per nulla, tanti anni fa, incontrai sul mio cammino un frate cappuccino veneto che ebbe a sentenziare che più conosco i preti e penso che più devo avere fede in Cristo.

Questo per far intendere che è il sistema ecclesiastico ha sempre fatto acqua da tutte le parti e Savonarola è stato un precursore visionario, se non addirittura un veggente, di quello che sarebbe stato un errore di fondo nella interpretazione delle Sacre Scritture.

E come tutti i veggenti additato come matto o rifiutato dal sistema e agendo la Chiesa di conseguenza.

Indubbiamente la quest’ultima è un apparato che resiste da millenni e non è mai stata quel fulcro di democrazia e di dibattito interno come ha sempre cercato di far apparire, perché ha sempre prevalso il dogma papale – il più delle volte umorale – ma certo è che comunque sta resistendo ai vari tentativi di rivoluzione teologica che sfocia, il più delle volte, in una confusione che lede il diritto del fedele ad avere risposte adeguate ai misteri divini.

La corsa verso il baratro dei dogmi della Chiesa hanno avuto in Leone XIII e San Pio X un argine importante per rimettere al centro della questione Cristo per cercare di ridare nuova linfa alla dottrina della Chiesa che con il Concilio Vaticano II aveva dato segni di prime vistose crepe.

Soprattutto San Pio X con la enciclica Pascendi Dominici gregis tuonò contro la deriva modernista della Chiesa, ma nei primi anni del 1900, quindi figuriamoci se vivesse oggi cosa direbbe.

Forse la prima cosa che farebbe è fare un portentoso mea culpa nei confronti del Savonarola e verso tutte quelle persone di Chiesa o meno che sono arse vive perché voci discordanti al pensiero ecclesiastico-imperiale.

Il problema, infatti, nasce dalla diversa concezione filosofica della società per la prorompente esternazione dei grandi filosofi dell’800 di due secoli fa e l’affacciarsi dei primi rudimenti del pensiero socialista e poi marxista e successivamente le derive “nere” e il grande orrore della massoneria che ha comportato che la Chiesa stessa, per far fronte a questi “nemici”, si e’ dovuta plasmare sul sociale e assurgendo a holding del volontariato ecumenico.

Ma rimane indubbio che Savonarola sia stato il precursore delle tante criticità della Chiesa a motivo del quale è assurto all’Olimpo degli involontari critici riformatori che hanno nella trascendenza il valore fondante della dottrina di Sant’Agostino e di San Tommaso d’Aquino con il suo “tomismo”.

Ne consegue che oggi la Chiesa deve recuperare il suo spazio e fornire le adeguate indicazioni per essere fedeli per Cristo e in Cristo altrimenti rischia di scomparire e, per ovviare a ciò, fare proprio il pensiero critico del Savonarola e alla voglia di trascendenza del popolo.

I primi segnali di questo recupero stanno emergendo con l’attuale apa Leone XIV.

La preghiera laica del maggio appenninico

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Non posso di certo sempre discettare sui massimi sistemi e anche io ho la necessità primordiale di avere leggerezza anche se poi mi perdo per strada e torno sempre sui massimi sistemi da me citati.

Nel mondo occidentale la vita è tarata solo sul profitto e sul lavoro e si è perso quel sentimento romantico di assaporare la vita nella sua semplicità che spesso è di facciata.

Parafrasando Massimo D’Azeglio il romanticismo è l’educazione al bello attraverso il sentimento.

Ora, se da una parte gli antichi cinici greci che avevano in Diogene di Alicarnasso il massimo cultore di un modo di vivere evitando le cose inutili, dall’altra i grandi mistici Sufi dell’Islam hanno sempre auspicato che per vivere bene bisognava eliminare il superfluo.

Missione impossibile in un mondo che va di fretta e dove si vive di apparenze.

Ma se si ha la forza e il coraggio di riflettere su cosa ci attende tra la vita e la morte cercando di riempire al meglio lo spazio intermedio tra questi due eventi, ci si accorge che forse è necessario anche un momento di riflessione per riscoprire i valori certi di una vita terrena che vale la pena di vivere.

Sarà forse che in questi giorni ho perso un caro e conosciutissimo amico e collega di 57 anni in modo inaspettato e – al di là del dolore mal digerito e che ancora si dovrà perfezionare con il tempo – ho riflettuto sulla mia data di scadenza cercando di vedere la vita con occhi rinnovati e pensando a lui che non c’è più nel dolore dignitoso dei stretti congiunti che hanno fatto loro il detto di Seneca che lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto.

Ora, se Schopenhauer ebbe ad affermare che la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia esaltando il suo lato auto distruttivo, ciò non significa che per certi aspetti non avesse ragione.

Rimane, quindi, il problema centrale di tarare la vita stessa al meglio senza tanti scombussolamenti perché dalla mattina alla sera possiamo non esserci più e nessuno ne tiene a mente.

In pratica vivere senza tante rotture di scatole, per non usare altro termine più volgare.

Allora come si fa?

Ognuno riempie la sua vita come meglio gli aggrada dando valore a cose che per altre persone posso essere vacue e viceversa, ma rimane indubbio che osservare il bello sia il minimo comun denominatore di tutti.

Come, ad esempio, il maggio nei nostri appennini e nelle nostre meravigliose campagne umbre.

Chi ha avuto modo e, contestualmente, la sventura di leggermi in questi rocamboleschi editoriali che mi hanno permesso di diventare giornalista pubblicista, si sarà accorto della mia passione di fuggire nel nostro appennino alla ricerca di prati, di visuali sconfinate e di pievi appena ho tempo.

Maggio ha un suo valore tutto particolare ed è il mese dedicato alla Madonna laddove, sino a poco tempo fa, accadeva che nelle maestà rurali che hanno in due cipressi posti a lato delle stesse le sentinelle silenti dell’ascesi, si poteva incorrere in gruppi di donne avanti con l’età – gli uomini sono un po’ più sfuggenti e quindi meno riflessivi – che sgranavano il santo rosario il cui nome deriva dal fatto che si offrivano le rose appena sbocciate alla Madonna stessa.

Il trionfo è nel verde e dei fiori di montagna e si ricominciano a vedere armenti di bovini e rari di ovini governati da cani maremmani e pastori lenti.

In quest’ultimo caso poi, brucando prati freschi e fiori, i casari affermano che i pecorini di maggio hanno un sapore diverso e sono più profumati.

Si rivedono le processioni del santo del luogo portato a spalla da qualche confraternita in un perfetto mix di culti quasi pagani attualizzati alla religione cristiana, ma tutti tesi alla salvaguardia del raccolto sperando che non arrivi la grandine che distrugga tutto al pari dei numerosissimi cinghiali e il pericolo delle pale eoliche.

Il tutto condito da preti d’oltre mare che si sono dovuti adeguare alla tradizioni pastorizie de noantri studiando la vita del santo omaggiato.

I profumi sono di terra bagnata, di erba medica e del risveglio da inverni che sono lunghi, ma ahimè meno nevosi della mia infanzia e su tutto gioca un ruolo importante la luce che cambia di luminosità e che culmina nel solstizio d’estate e l’acqua odorosa di San Giovanni.

In sostanza maggio segna la fine del tempo brutto e il tempo dell’attesa al raccolto.

Il mese della speranza.

Così accade che si vedano persone camminare calme e lenti lungo strade non asfaltate o sedute sugli orli dei prati e scrutando l’infinito riappropriandosi del tempo della riflessione e ritrovare la sintonia con Dio per ringraziarlo della vita che ci è concessa.

Perché è questo che serve per superare le difficoltà quotidiane: la riflessione sulla caducità della vita per ammirare il Creato, sperando di vedere il mio amico vagare ridente lungo i prati del nostro appennino per esaltare la madre terra a cui si è ricongiunto sorridente.

Maggio è una preghiera laica.

L’elezione di Leone XIV, il Papato tra nuove sfide e continuità

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Avendo frequentato per tanti anni gli apparati ecclesiastici per motivi di fede e non di hobby, ho sempre avuto un occhio di riguardo a ciò che accedeva oltre Tevere e accompagnando il tutto con letture e riflessioni adeguate anche dal punto di vista teologico e ovviamente non capendoci nulla.

Prima che venisse eletto il Papa Statunitense ho avuto modo di interfacciarmi con persone di calibro mostruoso sia per preparazione storica – evangelica sia per la fede incrollabile e, quindi, invidiandoli per il loro sapere come ad esempio l’insigne costituzionalista professor Trabucco del Veneto che riesce a coniugare al meglio l’aspetto didattico con un sapere delle sacre scritture mostruoso.

Ed è logico che se dovessi prendere a parametro la sua scienza, non dovrei scrivere nemmeno una recensione su la Settimana Enigmistica per non fare una figura barbina a motivo del quale mi attengo a pochi ed empirici fatti che sembrano sotto gli occhi di tutti.

Le considerazioni da svolgere sono molteplici e hanno vari risvolti, ma non mi avventuro ad essere vaticanista perché da una parte non sono in grado e dall’altra perché i grandi specialisti della materia hanno anche questa volta toppato sul nome del nuovo Pontefice.

Innegabile che la grande stampa italiana abbia sponsorizzato principalmente il cardinale Zuppi affibbiandogli l’ipotesi di discepolo prediletto di papa Bergoglio e, dall’altra, l’ammirazione per quel suo modo spiccio di trattare le cose perché bolognese, diventando il totem di una sinistra cattolica che risulta un ossimoro.

Tutti hanno sponsorizzato la grande battaglia tra chi voleva un ritorno alla tradizione e chi un rinnovamento della Chiesa in chiave progressista e andando a ricalcare malamente la eterna diatriba conflittuale tra destra e sinistra e non parlando nessuno di fede se non il professor Trabucco citato e altri pochi eletti.

Bizzarre sono le ipotesi che si sono succedute ante conclave e post conclave dove i grandi giornalisti si stanno divertendo a dare interpretazioni e previsioni che ricalcano il flop previsionale sul nome del nuovo Papa dimenticando che non si saprà mai cosa sia accaduto all’interno della Cappella Sistina perché i cardinali hanno prestato giuramento di segretezza.

Ed è giusto così.

Personalmente facevo il tifo per un Papa restauratore, quasi da ancièn regime, per rifondare quella Chiesa che ha avuto in Bergoglio la summa di una laicizzazione devastante della Chiesa stessa con il nulla teologico e tanto di politico a motivo del quale adorato dalla sinistra che non sa neanche cosa siano i Vangeli apocrifi.

Eletto invece uno Statunitense spiazzando – come giusto – tutti.

Già dal giorno dopo i giornali hanno cominciato a parlare di continuità con il papato bergogliano, ma io non ne sono tanto sicuro dal momento che – da piccoli fatti che sembrano insignificanti e invece sono portanti – già la scelta del nome di Leone XIV significa tante cose.

Il nuovo Papa è un agostiniano, cioè appartenente ad un ordine che si rifà al forse più grande teologo della Chiesa che è sant’Agostino e seguito a brevissima distanza da san Tommaso d’Aquino, quest’ultimo portavoce del coniugare aristotelismo con il Vangelo e sfociando – appunto – nel tomismo che di fatto regna attualmente la Chiesa anche se appare – soprattutto dopo lo scellerato Concilio Vaticano II – che l’aristotelismo sia stato sostituito con il marxismo, sfociando tutto nel ridicolo teologico.

Per certi aspetti mi sono sbellicato dalla risate quando leggevo che i cardinali dovessero essere illuminati dallo Spirito Santo per effettuare la scelta migliore quando in realtà anche in Conclave si presume che ci sia stato un ruolo solo politico di alleanze e contro alleanze per la divisione del potere.

Ed è venuto fuori questo qui che vedremo se riporterà Cristo al centro della Fede.

Questo perché papa Bergoglio si è rivolto più ai laici – se non addirittura agli atei – lasciando indietro i credenti che hanno aspettato inutilmente risposte evangeliche che sono mancate clamorosamente, venendo quindi definito l’anti papa per eccellenza da quest’ultimi e non frequentando quindi più le parrocchie gestite – di fatto – da preti tramutati in assistenti sociali.

Ho personalmente il sentore che questo nuovo Papa ci potrà sorprendere per rinnovare la Chiesa nel segno della tradizione e ciò lo si desume dalla scelta del nome che si rifà a Leone XIII che promulgò due encicliche formidabili: Aeterni Patris, squisitamente teologica e la formidabile Rerum Novarum, in assoluto la prima enciclica sociale di un Papa.

La potenza di quest’ultima consiste che papa Leone XIII nel 1891 analizzò l’ideologia marxista e socialista e il capitalismo sfrenato, demolendole entrambi come è giusto che fosse per rimettere al centro della questione Cristo, non le teorie simil economiche come ha fatto il Papa delle pampas.

Come affermava Ratzinger, che si è rivelato un profeta, la Chiesa sarebbe stata destinata ad essere per pochi iniziati e catacombale ma molto più solida e per pochi eletti in Cristo, augurandosi in cuor suo che ci fosse sul soglio di Pietro un Papa che continuasse, nel solco della tradizione, la costruzione della Chiesa sulla pietra d’angolo anziché a Santa Marta che è simbolo di una semplicità di facciata per gli stolti dato che la Chiesa non paga tasse governative italiane.

Ne emerge che forse, con il Papa statunitense, ci sia questa indicazione di riportare la riflessione teologica al centro del papato per dare risposte ai veri fedeli che si sono sentiti smarriti con il pontificato di Bergoglio interrompendo quell’opera di demolizione cominciata da quest’ultimo a facendola assurgere – speriamo temporaneamente – ad organismo laico per la gioia dei sinistri de noantri.

Di converso, la auspicata restaurazione, potrebbe comportare il distacco da politiche sociali italiane e per tale motivo invisa alla sinistra che si è scoperta teologica solo quando si parla di immigrazione non per il dolore del distacco dalla loro terra di questo derelitti, quanto per avere un bacino elettorale più grande.

Le energie di maggio 2025 con i tarocchi astrologici di Astrid

Con i tarocchi della strega Astrid vedremo le previsioni e le energie di maggio 2025.

La fine del regime, Alexander Baunov e la Russia di Putin

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In Italia è recentemente uscito il caso editorale dell’anno in Russia. Libro che ha cambiato, tanto all’estero quanto in patria, la concezione e la vita di tante persone, autore compreso. Il libro in questione è “La fine del regime. La caduta di tre dittature europee e il destino della Russia di Putin” di Alexander Baunov, edito in Italia dalla Silvio Berlusconi editore.

L’autore, russo di Yaroslav, una delle città della Russia storica, è filologo dell’antichità di formazione, ma specialista di politica internazionale ed ex diplomatico russo di professione, avendo prestato servizio all’ambasciata russa di Atene. Giornalista apprezzato in patria, fino al 2022, e all’estero, dove vanta collaborazioni con The New York Times, il Financial Times e The Wall Street Journal. Mosso dall’interesse verso la politica dal 2019, come riporta l’autore stesso nella premessa, inizia a lavorare all’idea di un libro sulle dittature nell’Europa del secondo dopoguerra. La ricerca si concentra, ovviamente, sulla Spagna e Francisco Franco, sul Portogallo e Salazar e sulla Grecia dei colonnelli. Dei regimi vengono illustrate le origini, le contraddizioni derivanti dai caratteri e dalle azioni dei vari leader.

A un certo punto, però, compare una quarta autocrazia, la Russia putiniana, che viene letta in parallelo ai vari regimi europei, evidenziando le differenze e le similitudini e prospettando, sulla base degli esempi spagnoli e portoghesi, i possibili sviluppi della Russia dopo Putin. Proprio questo elemento ha portato il libro, pubblicato in Russia nel gennaio 2023, ad essere il più venduto, ma anche il più osteggiato dalle autorità locali, con confische e chiusure delle librerie, fino a far diventare l’autore persona non gradita e costringerlo all’esilio. Il libro, quindi, non tratta solo argomenti di politica e storia, ma è anche testimone vivo di cosa voglia dire abitare, lavorare ed essere un intellettuale in un’autocrazia. Non a caso è stato pubblicato, come già riportato sopra, dalla casa editrice che si fa portatrice di valori liberali e che ha creato una collana dedicata al pensiero e ai valori liberali.

Il libro è imponente, 626 pagine, ed è pesante nel vero senso della parola, per leggerlo agevolmente serve un supporto, altrimenti il polso fatica. Al netto di questo, però, è una lettura piacevole, certamente aiuta lo stile vivace dell’autore, e che riporta tanti aneddoti e analizza processi e momenti storici che difficilmente si conoscono. Se siete interessati all’argomenti il consiglio è, quindi, quello di recuperare questo testo fresco di stampa.

Quale Papa e quale Chiesa dopo Francesco

Con la morte di papa Francesco si aprirà il conclave il prossimo 7 maggio e tutta l’opinione pubblica è ovviamente in fermento per sapere chi sarà colui che siederà sul trono di Pietro.

Appartengo a quella nutrita schiera di persone che non ha amato papa Francesco, che mi è sembrato più un amministratore delegato di una organizzazione di beneficenza prezzolata che colui che ha sviscerato il mistero petrino dal momento che non ha assolutamente affrontato il pontificato con gli aspetti teologici che, invece, gli sarebbero stati propri.

Ha nominato ben 108 cardinali su 135 (i restanti nominati da Ratzinger) e questo non depone a favore di un cambiamento di rotta di politica vaticana che sarà tarata solo sull’aspetto sociale, andando a ricalcare la via maestra che ha nella ideologia quasi marxista quell’humus ritenuto necessario per la sopravvivenza della Chiesa stessa.

Non per nulla questo Papa (pace all’anima sua) è stato adorato dai sinistri in maniera incondizionata al punto di andare a perdonargli anche uscite del cavolo come quella della troppa frociaggine nei seminari.

Ratzinger, per molto meno e dopo il discorso di Ratisbona, è stato crocefisso e quasi costretto alla rinuncia al soglio petrino ma tant’è.

Quindi partendo da questo assunto che la stragrande maggioranza dei cardinali è di nomina di papa Francesco, non credo che ci sia la possibilità che venga eletto Papa un “restauratore” perché non ci sono i numeri.

Ma spero di sbagliarmi.

I devoti, quelli non politicizzati sia di destra che di sinistra per opposti e ovvi motivi, si stanno ritrovando senza una guida vera spirituale di un apparato complesso che non deve andarsi a sovrapporre al potere statale, mentre è stato così, spiazzando tutti quelli che volevano uno Stato laico con due poteri ben distinti.

In realtà la richiesta sempre cercata della sinistra di avere due poteri divisi è naufragata amaramente con papa Francesco che ha attuato una politica sociale e non evangelica autoreferenziale e scambiata di sinistra solo perché parlava – almeno quello – in modo schietto, ma è altrettanto vero che non ha trasmesso nessun massaggio di fede come, invece, doveva essere.

Il male che attanaglia la Chiesa nasce dal Concilio Vaticano II in cui la Chiesa stessa si rinnovò e affacciandosi alla politica sociale con relativo sdoganamento delle teologia della liberazione, da cosa ancora non si e’è capito.

San Pio X nel 1907 emanò la Enciclica “Pascendi Dominici Gregis” contro il modernismo della Chiesa (nel 1907!), risultando un profeta inascoltato al pari e per altri motivi di Pier Paolo Pasolini, entrambi visionari.

Questo significa ciò che il magnifico papa Benedetto XVI Ratzinger aveva previsto tra le tante cose poi rivelatesi esatte e cioè da una parte la trasformazione dei preti in assistenti sociali e dall’altra il destino delle Chiesa stessa di ritornare alla fase iniziale di pochi fedeli riuniti nelle catacombe.

E la strada sembra segnata perché Bergoglio di fatto ha smantellato l’intero sistema basato sulla fede in Cristo e per Cristo a favore di una politica sociale simil marxista che, invece, è una teoria economica disastrosa.

In tanti sognano la restaurazione di una Chiesa per pochi fedeli eletti con la nomina di un Papa conservatore, ma ho il legittimo sospetto che ciò non accadrà perché – come detto – i numeri non depongo a favore e i giornali italiani più blasonati augurano la elezione di un Papa che segni la continuità con quello morto da pochi giorni.

E sul punto sembra che un Parolin o Zuppi siano i favoriti rispetto all’ultraconservatore cardinale Sarah della Guinea che in confronto Ratzinger sembra Fabrizio Corona.

Per quanto mi riguarda e per provocazione, spero che vinca il fronte progressista per continuare quell’opera di demolizione iniziata da Bergoglio e che non ha saputo fare argine all’avanzare dell’Islam anche in casa nostra e vi dico anche perché.

Perché l’idea di Dio non può essere oggetto di trattative di mercanti indegni, ma per i pochi eletti che hanno Cristo nel cuore e quindi al di fuori della politica sia di destra che di sinistra.

Rimarrebbero pochi fedeli, ma forti nel loro Credo e da lì partirebbe il vero rinnovamento della Chiesa, dopo la sua demolizione.

Aveva quindi ragione Julius Evola: rimanere in piedi in un mondo di rovine.