In Francia sono cominciati i mondiali di rugby e a parte un modesto articolo sui quotidiani sportivi tra cui il “Vangelo Rosa” che è la Gazzetta dello Sport, tutto sta entrando nel dimenticatoio nonostante sia il secondo evento sportivo più importante al mondo dopo i mondiali di calcio che, al pari del rugby, si svolgono ogni 4 anni.
Io ci ho giocato sino ai primi anni ‘90, come l’editore di questo magazine, e ne siamo rimasti segnati sia fisicamente sia emotivamente dal momento che si è rugbisti per sempre.
Uno sport bellissimo e di contatto fisico mostruoso che ha insegnato, a generazioni di sportivi, il valore della lealtà e dell’aiuto del compagno in sostegno quando ha la palla.
Sport inglese, o per meglio dire, anglosassone per eccellenza che ha una religione – quella protestante – che segna il vivere civile di ogni cosa come spiegherò dopo.
L’Mi5, il controspionaggio inglese, da una vita verifica se i suoi futuri agenti abbiano giocato al rugby e con che profitto in considerazione che tale sport è disciplina e coraggio e rimane come cicatrice nell’anima e ritenendoli idonei a servire lo Stato con medesima dedizione.
L’essenza di tale sport, al di là della atleticità dello stesso, è il rigore dei giocatori e il rispetto per l’arbitro e ogni partita è una festa tra opposte tifoserie che si mescolano senza che sia necessario che ci sia la polizia in assetto anti sommossa perché impensabile uno “scambio di vedute “ tra tifosi opposti.
Semmai il contrario, dove il tifoso avversario alla terza birra diventa il più caro amico della tua esistenza.
Forse perché la brutalità viene sfogata in campo da 30 colossi neanche fossero gladiatori, ma ha un senso che tale sport venga insegnato nel Regno Unito sino dall’età pre scolare con il risultato che ha altro bacino di utenza , altri risultati e anche altri sghei.
Uno sport che in Italia ha preso piede dopo l’ingresso della nostra Nazionale nel torneo a squadre più antico del mondo che è il 5 Nazioni diventato 6 Nazioni.
Uno sport che non può essere tarato sul nostro modo di vedere le cose proprio perché, secondo me, approdo di due rami del Cristianesimo diversi: il Cattolico e il Protestante.
Nel primo il concetto di peccato è mitigato fortemente dal perdono e la bugia diventa un best seller di un certo modo di essere cattolici perdonandoci da soli.
Nel protestantesimo la bugia – di conseguenza la mancanza di rigore morale – diventa un dramma e si viene puniti
Un esempio: Bill Clinton ebbe problemi non tanto per l’approccio che ebbe con la gommata Lewinsky, quanto perché disse che non era vero e rischiò grosso.
Ne consegue che nel protestantesimo luterano la durezza, al contrario del cattolicesimo dove ogni cosa finisce a tarallucci e vino, la fa da padrone unitamente al concetto di disonore.
Questo comporta che il rugby sia l’emblema di una durezza morale che noi piccoli italiani, al di là dei sporadici risultati, non abbiamo ed è un gran peccato perché se si vuole recuperare un po’ di rigore morale si dovrebbe guardare a questo bellissimo sport sin dall’età pre scolare anche per educare i bambini al sacrificio rimanendo silenti.
Invece sappiamo com’è e come regna imperante il calcio che fa personalmente orrore per una serie di considerazioni che non vi importa se le esplico o meno.
Non per nulla sui quotidiani a carattere locale, ci sono articoli che parlano anche di tornei parrocchiali per non parlare dei grandi quotidiani sportivi che hanno le prime 20 pagine invase solo da argomenti calcisti (anche del matrimonio del raccattapalle) e relegando gli altri sport, tutti, nelle ultime pagine e solo quando si vince in qualcosa come ad esempio nella pallavolo o atletica leggere o altro ancora.
Dopo questi sport viene il rugby – in genere un trafiletto – e mi viene in mente un passo bellissimo di Ignazio Silone tratto da Fontamara: “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito”.
Ne consegue che è uno sport che non avrà mai sviluppi in Italia per l’indole di noantri che siamo disposti al sacrificio, ma sino ad un certo punto a motivo del quale, se lo facciamo, vogliamo essere lautamente essere pagati come ricompensa al nostro dovere morale di essere all’altezza.
Con la conseguenza che i rugbisti di oggi, sentendosi di appartenere o essere appartenuti ad una elite sportiva gratis, hanno maturato lo stesso atteggiamento di chi ha fatto il liceo classico: lo snobismo, ma in questo caso di giocare un sport bellissimo simbolo delle lotta per la vita e sintetizzato da una frase di Flavio Pagano: “La vita è come una palla da rugby, non puoi mai sapere come sarà il suo prossimo rimbalzo”.
