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L’amore tra disagio sociale e follia

Indignazione del popolo italiano, se non vera e propria rabbia, alla notizia che una donna incinta al settimo mese di gravidanza sia stata uccisa dal suo ex uomo e il giorno dopo cosa analogo a Roma.

Per tali fatti viene usata una parola che io ritengo bruttissima e sessista: femminicidio.

Intanto e per cominciare il problema nasce da qui, dalla parola che è in contrapposizione a maschio con una distinzione sociale paurosa e sessista in danno alle donne stesse che si dovrebbero ribellare perché lo chiamerei solo omicidio.

E lo dico per deformazione professionale potendo dire la mia con un certo criterio autoreferenziale.

Sul punto si sono sbizzarriti tutti con una costernazione emotiva che ha un fondamento, ma poi si perde nelle stronzate fonetiche degli specialisti del settore con particolare vigore in cui tutti dicono la loro e auspicano, per l’omicida, la pena di morte, cosa per me inaccettabile sotto ogni punto di vista.

I commenti si sono susseguiti lasciando chi, del mestiere, vede le cose sotto altra angolazione che non sfocia nel perdono a cui spesso faccio riferimento e nemmeno nella vendetta, ma nella Giustizia – anche divina se vogliamo dirla tutta.

Qualche sociologo schierato a sinistra ritiene che il movente di tale efferatezza sia la famiglia tradizionale, altri patriarcale.

Altri imputano tale debacle alla carenza di educazione emotiva da parte o del padre o della madre e via dicendo laddove il depresso Galimberti sostiene che spesso il movente di tale scelleratezza sia un narcisismo patologico gestito da schifo e che nasce – appunto – dal trauma di non avere avuto affettività dalla propria madre a motivo del quale si cresce cercando la sponda di sicurezza nel proprio io sino ad estremizzarlo.

Per certi aspetti non fa una piega l’affermazione del Galimberti, non tanto perché lo dice lui, quanto per analisi empirica e psicologica su cui si fa riferimento quando si ha una madre sui generis e che è spesso fonte di guadagno degli psicoterapeuti per i danni involontari che fanno nel silenzio di padri distrattissimi che non sanno minimamente cosa significhi essere padre.

Il problema nasce a monte laddove la donna è sempre stata considerata un essere inferiore sotto ogni punto di vista anche biologico – perfino da Aristotele – e con l’avvento del Cristianesimo le cose non sono cambiate e – anzi – hanno avuto un impulso verso il baratro della condizione femminile con il misogino San Paolo con le sue innumerevoli lettere ai Corinti.

Quindi donna come angelo del focolare, cuoca, colf, badante, sollazzo e incubatrice nel corso dei secoli salvo qualche rarissima eccezione con una strage di donne mostruosa che ha poi trovato uno stop parziale in Italia solo quando nel 1981 è stato abrogato il delitto d’onore, promulgato quasi durante la seconda guerra punica, vista l’arretratezza della norma.

Dell’omicida si è scritto già tutto e il Tribunale di Facebook ha già emesso il verdetto, trovato il movente e insultato in maniera preventiva sia il legale che lo difende sia i magistrati che lo avranno a giudizio con un nuovo clima di caccia alle streghe.

Qualcuno poi, in maniera scellerata, ha addossato la colpa alla vittima di essere andata all’ultimo appuntamento (dove poi è stata uccisa) chiarificatore laddove una mente normale invece non va a pensare minimamente io vado, mica mi ammazzerà, ho il suo bimbo.

Questo per capire le dinamiche intime di vittima e carnefice in cui la vittima lo è doppiamente anche per l’illusione di incontrare un uomo migliore o redento anziché un brutale assassino.

Illusione pagata con la morte.

In molti fanno riferimento al narcisismo, nuova malattia del secolo unitamente alla depressione, quando tale patologia è abusata nella diagnosi tardiva in maniera drammatica etichettando ogni cosa in capo all’uomo con tale parola dimenticando che nel mito greco Narciso non era pericoloso se non per lui.

Emblematico è un celebre dipinto di Caravaggio.

Quindi si deve andare un po’ più in là e non rimanere ancorati ad un parlato senza senso liquidando la follia con una parola così sbrigativa ma ammaliante per una patologia come il narcisismo.

Troppo comodo.

Perché qui si parla di follia non riconosciuta e che cova nell’animo di tanti e che viene repressa da un minimo di educazione sociale sino al momento della Sua drammatica esternazione.

Mi viene in mente il film – americano per carità – Un giorno di ordinaria follia con Michael Douglas in cui il protagonista sbotta e ammazza tutti dopo un episodio insignificante.

Il problema quindi nasce qui, dalla follia non riconosciuta perché – spesso – non ci sono strumenti per la verifica di tale status e non si possono mandare dall’analista tutti gli uomini italiani o almeno quelli che considerano la donna come oggetto di proprietà o rottura di palle perché improponibile, in considerazione che – dipendesse da me e sulla falsa riga dei monologhi sul punto di Woody Allen con la sua ironia yiddish – lo psicoterapeuta dovrebbe essere presente come il medico della mutua.

Ed è fantascienza per la sanità pubblica demolita in favore di quella privata.

Purtroppo però, al di là delle esemplare condanna o meno del brutale omicida, non c’è rimedio a questa strage a volte imprevedibile e a volte no perché la violenza verso le donne sembra quasi connaturata nell’uomo stesso.

Molti ritengono che le eventuali responsabilità siano in seno alla famiglia che non mette i paletti educativi sulla falsa riga di ciò che affermava Pitagora: educa il bambino e non punirai l’adulto.

Ma qui la famiglia non ha responsabilità esclusive, ma concorrenziali con la società fin troppo gaudente e sovraesposta mediaticamente.

Cominciamo infatti a fare un repulisti morale e giornalistico della questione, cercando di non dare risalto – per evitare l’emulazione – a tali fatti di cronaca drammatica o a chiudere programmi come “Uomini e Donne” e simili che pescano nel torbido, a chiudere profili di donne in abiti succinti e tette all’aria per evocare arrapamenti nel maschio allupato e becero con un mercimonio del corpo che svilisce tutti.

Si chiudano quei profili in cui si vede che la donna è merce e non persona perché se non si inizia questo repulisti come sopra evidenziato la famiglia può ben poco di fronte alle sollecitazioni esterne verso questi soggetti fragili (che sia vittima o carnefice).

Perché il discorso si perde nella notte dei tempi ed è il prurito sessuale che va di pari passo con il controllo dell’orgasmo altrui, ma non come piacere fisico procurato, ma come controllo indotto e mortificante della sessualità altrui.

L’essere donna è sempre stato un martirio sotto ogni punto di vista e forse solo Sofocle nell’Antigone ne aveva colto il segno affermando in capo alla stessa: “Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”.

Il contrario dell’uomo e delle sua indole violenta.

Prospettive di cambiamento non ci sono e sarà – putroppo – sempre così al di là degli ergastoli elargiti perché tale prevedibile condanna – in una mente malata – non è mai ostacolo preventivo al disegno criminoso.

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