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Tra Orfeo e Prometeo, il risveglio dell’Europa: Intervista al professore Giovanni Sessa

“Sotto il profilo storico-politico l’Europa non è più il centro del mondo da molto tempo, almeno dalla fine del Primo conflitto mondiale. I fascismi furono un tentativo di risposta alla decadenza europea, fallito tra le macerie della Seconda guerra mondiale”

Salve professore, dove affondano le radici del suo pensiero? Definirlo ‘’evoliano’’ mi sembra alquanto riduttivo.

“Ha ragione. Il mio percorso muove da Evola, che resta per me pensatore molto importante (non casualmente ricopro l’incarico di Segretario della Fondazione che porta il suo nome) in particolare l’Evola filosofo, ma non mi sono fermato di certo alla sola sua lezione. Centrali per la mia formazione sono risultati gli incontri con Carlo Michelstaedter, Andrea Emo, Ludwig Klages e J. J. Bachofen, per citare alcuni nomi di rilievo. Un ruolo altrettanto rilevante hanno svolto nei miei confronti anche alcuni filosofi contemporanei, tra gli italiani Massimo Donà e Romano Gasparotti, allievi di Severino ‘non fedeli’ al Maestro, nonché Gian Franco lami, con il quale ho collaborato all’università ‘La Sapienza’ di Roma, tra i francesi Alain de Benoist. Nella fase attuale il mio pensiero può essere definito come un modesto tentativo di portare alla luce una tendenza speculativa ed esistenziale, il lógos physikós o pensiero incentrato attorno alla physis, natura, tacitato in Europa dal trionfo dell’affermazione della filosofia classica platonico-aristotelica e poi della visione monocasuale e dualista del cristianesimo, distinguente in modo radicale e dicotomico il mondo dal sovramondo. Nel Novecento, sulla scorta del precedente spinoziano e bruniano, Heidegger si spinse lungo tale Via. I ‘sentieri’ che avrebbero potuto condurlo al recupero della physis, rimasero per il pensatore di Friburgo ‘interrotti’, in quanto il suo sistema era fortemente impregnato, oltre che di pensiero greco, di un invalicabile dualismo (autentico/inautentico, essere/ente ecc.), estraneo all’Ellade e discendente dalla teologia ebraica, il debito ’inconfessato’ del sistema heideggeriano (Marlène Zarader). Lo scacco cui il filosofo dell’Essere andò incontro, fu perfettamente inteso nei ‘Saggi su Heidegger’ dal suo allievo di origini ebraiche e antinazista Karl Löwith che, correttamente, sia sotto il profilo filologico che speculativo, vide la physis quale unica trascendenza presente nell’orizzonte umano. Ecco, ritengo che alla proposta löwithiana debba essere dato seguito, in particolare in un momento come l’attuale in cui il dissesto ambientale, pare aver indotto molti a pensare che, per superare l’estremismo antropocentrico, responsabile dello stato attuale delle cose, si debba guardare al cosmo attraverso un altro universalismo, quello biocentrico. Per noi, la relazione uomo-cosmo deve essere impostata sull’integrazione di Orfeo e Prometeo. Abbiamo cercato di dimostrarlo in, L’Eco della Germania segreta. ‘Si fa di nuovo primavera’ (Oaks, 2021) e soprattutto nel volume, la cui uscita è prevista per il 31 maggio prossimo, Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna (Oaks, 2023), nelle cui pagine presentiamo la physis quale luogo del darsi, nelle forme metamorfiche degli enti, della dynamis, la potenza-possibilità-libertà, principio infondato e nulla di ente, ni-ente mai definitivamente normabile in alcun atto, su cui Evola ed Emo costruirono i loro sistemi”.

Secondo lei è possibile una sintesi tra pensiero filosofico e pensiero ermetico? Alcuni parlano di inconciliabilità altri di possibile sintesi.

“La filosofia aurorale greca, fin dalle sue più lontane origini, aveva tratto museale. Era strettamente connessa alla Muse, quindi non poteva trattarsi di un sapere meramente astratto e, stante la lezione di Giorgio Colli, essa era Sapienza, una gnosi che, per esser tale, avrebbe dovuto dar luogo a un poiein, a un ’fare’. In tale fase, almeno prima di Parmenide, il Sapiente non si interrogava sul mondo, sulla physis, ponendosi la domanda ’Che cos’è?’, in quanto non si avvaleva del concetto, prodotto dal principio d’identità e dal suo correlato, il principio di non contraddizione. La Sapienza greca, pertanto, non conosceva dualismi. Essi sono il portato del logocentrismo e dell’onto-teo-logia della metafisica classica, centrata sulla fondamentale distinzione di essere e nulla, la Grundfrage leibniziana che irretirà lo stesso Heidegger. In realtà essere e nulla dicono il medesimo. Il pensiero ermetico e la filosofia dell’origine si muovono, in via essenziale, in una dimensione antidualista, ogni pratica ermetica diviene trascrizione della logica del terzo incluso, messa in scacco delle dicotomie escludenti proprie del principio d’identità. Perfino l’antidualismo di Deleuze, lo ha chiarito, con pertinenza argomentativa, Moreno Neri, curatore della monumentale opera in quattro volumi per Mimesis de la ‘Rivelazione di Ermete’, ha tratto ‘ermetico’. In questo senso, la filosofia, come rilevato con dovizia di particolari da Massimo Donà, quando è autenticamente tale, è ermetica e ‘magica’”.

Perché l’Europa, almeno apparentemente, non rappresenta più il centro del mondo?

“Sotto il profilo storico-politico l’Europa non è più il centro del mondo da molto tempo, almeno dalla fine del Primo conflitto mondiale. I fascismi furono un tentativo di risposta alla decadenza europea, fallito tra le macerie della Seconda guerra mondiale. L’Europa non è più tale in quanto ha perso, da tempo immemorabile, la propria ‘anima’, il rispetto per se stessa, per la propria kultur. Non si tratta affatto di superare l’Europa dei ‘mercanti’, riproponendo un ritorno al passato, a un’Europa dei ‘valori’, aborrita tanto da Heidegger quanto da Schmitt e da Emo. L’Europa ‘possibile’ passa dalla necessaria presa di coscienza che il Vecchio continente è un laboratorio, sempre in corso di sperimentazione, sempre all’opera, in cui al ‘tramonto’, segue, qualora gli europei corrispondessero alla chiamata dell’origine, un ‘nuovo inizio’”.

Germania compare spesso nei suoi studi. I tedeschi, fin dal 1800, si sono sentiti i portatori ultimi dei valori europei. Secondo lei ancora tutt’ora la Germania rappresenta un faro per il nostro continente?

“I grandi autori del passato, i classici, a qualunque nazione europea appartengono, sono in grado, in qualsivoglia momento, anche nella fasi di crisi acuta, di apportare ristoro spirituale, in particolare a chi, come noi, ha avuto in sorte di vivere in un’epoca di indigenza spirituale e di pauperismo culturale. Non mi pare, però, che oggi la Germania si distingua in particolar modo in tale ambito. Al contrario, mi sembra che il ‘pensiero italiano’ stia dando significativi segnali di ripresa. Ma attualmente, sia sotto il profilo storico-politico che speculativo, viviamo in un interregno, in una fase di passaggio e di cambiamenti, i cui esiti sono, per ora, poco chiari, confusi”.

La sua professione di professore la porta a stare a contatto con i giovani. Riesce ad intravedere un risveglio delle coscienze tra le ultime generazioni?

“Da qualche anno sono in pensione. I giovani sono la primavera della vita e in quanto tali latori di luce (la vita aperta di A. Schuler). Oggi il risveglio, sempre che sia possibile parlare ancora in tali termini, riguarda minoranze, i singoli, non interi gruppi sociali. La situazione generale non mi sembra, al momento, promettere nulla di buono. Inoltre, poiché in genere si impara dall’esempio, visti i ‘padri’ che si ritrovano, sarei portato a rispondere affermativamente al suo quesito solo dall’ottimismo indotto dal sentimento vitalista che mi connota, al contrario, il pessimismo della ragione mi costringe a risponderle in termini scettici, di ‘sospensione del giudizio’, se non in termini addirittura negativi. Grazie”.

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