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mercoledì, Ottobre 9, 2024

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Il problema è la “squola” non la scelta del Liceo Classico

Tranquilli, so perfettamente che non si scrive così non solo per il mio sapere quanto perché il mio computer me lo segna sbagliato in rosso sottolineato.

Quindi una provocazione per andare a parlare di ciò che oggi mi interessa.

Secondo dati governativi c’è stato un ulteriore crollo di iscrizioni al Liceo Classico e la questione non fa piacere, non tanto perché lo ha fatto mio padre negli anni ‘30 a Firenze, poi io e poi mio figlio, quanto perché adoro la letteratura greca e latina.

Avere fatto il classico è stato l’aver gettato un ponte verso la conoscenza e la metodologia di studio, una palestra mentale, il cosiddetto gymnasium (che significa palestra in latino) e quindi, in forza di ciò, è sempre emerso che chi abbia fatto tale scuola superiore se da una parte ha avuto una marcia in più, dall’altra la presa di coscienza della marcia in più suddetta, ha comportato inevitabilmente nell’essere snob e guai ad interfacciarsi con chi ha fatto le professionali con un razzismo latente di cui ho parlato in uno dei miei articoli.

Ma il naufragio inesorabile del Classico è lampante e sostanzialmente voluto da tutti per avere nuove generazioni che sappiano come usare un trapano o un pc, ma pensare contestualmente che Søren Kierkegaard è una cantante di heavy metal danese o Seneca è lo speaker radiofonico di radio Montecarlo.

Ora, il problema nasce a monte e ha radici lontane con le lotte – in questo caso sacrosante – della sinistra che auspicava il diritto allo studio per tutti quando la possibilità di studiare non era per tutte le tasche.

Un tempo andare nei licei era considerato da padroni e i figli dei servi della gleba erano avviati a scuole che garantissero un mestiere perché uno stipendio cominciava a non bastare più, ma accadeva che qualche genitore avveduto con la terza media come licenza, mandasse il figlio ai licei, soprattutto il Classico per fare quel salto sociale di conoscenza e fornire al figlio nuove opportunità con l’intimo desiderio che andasse all’Università.

Era una lotta di classe sui generis che adesso non c’è più.

Perché in molti hanno intrapreso gli studi ai licei consci che poi sarebbero dovuti andare all’Università.

Il nostro sistema scolastico è stato il punto nevralgico di una politica fallimentare da parte di tutti i governi da trent’anni a questa parte unitamente alla sanità e al pianeta Giustizia per ragioni ben intuibili.

Ce lo ha chiesto l’Europa e quindi è nata l’autonomia scolastica di ogni istituto dove il dirigente non è più il classico preside, ma un imprenditore che tutela – ma non insegna – il cliente-studente.

Ne risulta svilito sia il ruolo di insegnante – spesso precario – che della scuola stessa, perché non c’è più lo sbarramento della bocciatura per somaraggine e quindi si insegna con armi spuntate in considerazione che se una scuola boccia con facilità, il pargolo va dallo psicologo anziché essere preso a calci nel di dietro.

Perché, sulla scia di un certo modo di vedere di sinistra, si deve andare avanti tutti, ma in buona sostanza vengono rallentati i più meritevoli per eliminare la distinzione della classi sociali che invece è stato il motore del mondo, cioè il passaggio da una bassa ad una alta come miglioramento di vita e la cultura è il veicolo primigenio.

Hanno perfino inventato l’alternanza scuola-lavoro che risulta un ossimoro perché o si studia o si lavora per svilire e contraddire quel diritto allo studio universale che fa crescere l’uomo, diritto tanto caro a Gramsci.

E si è tornati indietro con l’inserimento di detta alternanza anziché al solo studio per cui si è combattuto.

Quindi si sta diventando tutti servi della gleba che non hanno assolutamente voglia di modificare il percorso verso il baratro globale purché si abbia – a fine mese – uno stipendio che basta per vivere 10 giorni e creare l’alienato che chiede aiuto economico ai genitori, se non ai nonni come novelli forzieri della Banca d’Italia.

Non c’è più voglia di creare un elite culturale per governare le masse che guardano tutte verso la stessa direzione e sfociando nel pensiero unico.

Ecco la valenza del Classico: ragionare con la propria testa senza l’ombra lunga della omologazione che sta portando il tutto alla società liquida di Zygmut Baumann e al pensiero debole di Vattimo.

Una scuola che non fa quadrato intorno ai suoi docenti che sono considerati ladri di stipendio laddove confrontarsi per una mattinata con ragazzi svogliati e maleducati ha invece qualcosa di epico.

Giorni fa una insegnate è stata oggetto di una fucilata con pallini di plastica da studenti in classe e la Litizzetto ha subito cercato la giustificazione per il ragazzo che ha sparato addossando la colpa alla mancata empatia dell’insegnante stessa.

Ed è la chiave di lettura del politicamente corretto che sta sfasciando l’ultimo barlume di civiltà erede degli antichi romani, e non ce ne accorgiamo.

Pitagora era non quella rottura di palle del teorema, ma un grande filosofo ed ebbe a dire educa il bambino e non punirai l’uomo.

Qui non ci sono più paletti educativi – per non parlare del sapere – che sta portando ad un analfabetismo di ritorno caro a chi vuole governare senza essere illuminati, ma sostanzialmente fulminati e, in forza di ciò, il liceo Classico deve scomparire o essere relegato come fonte del sapere di nicchia per pochi eletti in un mondo di soli operai brutalizzati ed alienati in una società che sta scivolando verso il nulla cosmico.

Si stanno forgiando una classe di somari che magari saprà mettere uno stop alla parete di casa, ma non avrà memoria storica di chi era Dante Alighieri.

E se non si custodisce la memoria storica e letteraria di una Nazione, viene meno anche il concetto di Patria.

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