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Liberazione, lo sguardo rivolto al passato senza capire il presente

Già lo scorso anno ebbi modo di scrivere sul 25 aprile, ma non crediate che copio ed incollo quanto già scritto, ma ho necessità di far presenti alcuni aspetti che sono emersi dallo scorso anno stante la particolare baldanza degli italiani a modificare il proprio status ed umore per aggiungere sempre qualcosa di pittoresco.

È la data della liberazione dalle forze nazi-fasciste e, unitamente al 1° maggio, una ricorrenza su cui la sinistra si adagia per ringalluzzirsi senza proporre ideologicamente qualcosa di nuovo.

È il collante di una sinistra che, con il pericolo del neofascismo, è a corto di idee programmatiche a favore dei “cafoni”, come amava definire gli ultimissimi Ignazio Silone in Fontamara.

In linea astratta ha gioco facile perché al governo c’è la Meloni che non è mai stata chiara nel prendere le distanze dal Ventennio come in tanti speravano.

E non criticarlo, non spalando letame su Mussolini e gli altri, significa che automaticamente si è ancora fascisti laddove è impensabile di chiedere a lei di rinnegare un padre che l’ha generata.

E sul punto è stranamente coerente, cosa che cozza con il DNA dei miei compatrioti.

I sinistri quindi, da Canfora e Scurati in testa, hanno fatto proclami su questo neofascismo imperante, ma dimenticando cosa ebbe a dire Ennio Flaiano: i fascisti si dividono in sue categorie: i fascisti e gli anti fascisti.

Ora, se il fascismo – quale dittatura – è sinonimo di carenza di dialogo, di democrazia, di prevaricazione, di mettere a tacere con la forza brutale il dissidente o il ribelle, di chi la pensi diversamente capite bene che parlare di neofascismo ha qualcosa di esilarante da un lato e di mortificante dall’altro.

Ciò in quanto fa ridere che i due citati Canfora o Scurati siano stati accostati ad un Gramsci o – addirittura – a Giacomo Matteotti che ci lasciò le penne per colpa di sicari fascisti.

Di converso Canfora o Scurati e prima di loro tanti altri, sono stati assurti a paladini di una certa sinistra politicamente corretta, ma poco comunista mentre sono in vita e acquisendo una nuova visibilità mediatica proprio per il loro antifascismo laddove, se ci fosse la dittatura, sarebbe proiettato verso il buio cosmico delle carceri.

E ciò non mi sembra sia accaduto e hanno la libertà di gettare letame su chi non è di sinistra e conseguentemente e automaticamente fascista.

Ecco perché esilarante, perché la sinistra dimentica – già da un pezzo a dir la verità – chi erano i padri nobili del comunismo e mortificante perché la dimenticanza è sempre l’incipit di una malafede che non onora l’intelletto.

Svilendone il ricordo.

La storia è fatta di simboli e di totem laici da adorare il tempo di un giorno sino alla stupidata che ne sancisce il declino, ma la data del 25 aprile – e il 1° maggio – rimane qualcosa di iconico per una sinistra che ha nell’antifascismo l’unico vero elemento comune di tutte le forze progressiste in funzione dell’avversario da rispedire a piazzale Loreto e quindi segno inequivocabile che – in virtù della prevaricazione citata – si è avanti ad altrettanti fascisti, ma di colore rosso.

La nostra Costituzione rimane forse la più bella del mondo pur essendo anzianotta e si sia cercato di modificarla, ma rimane il punto più alto di un concetto di libertà che non ha eguali nel mondo occidentale perché coniuga elementi di socialismo e corporativismo con una patina di fondo di spiritualità per dare vigore all’individuo all’interno dello Stato e permettendo a tutti di esprimere le proprie idee nel limite della continenza della legge penale.

E non sembra che ci siano pericoli che ciò possa essere modificato nonostante i proclami degli intellettuali.

Una ricorrenza che ha stufato gli stessi potenziali elettori di sinistra che si accorgono che, tolta la ricorrenza stessa, di sinistra rimane ben poco come ben poco è rimasto per le lotte per l’occupazione e per il salario e rinnegando – nei fatti concludenti – quei padri nobili che sono stati i veri martiri a causa del fascismo dell’epoca.

Ma si sa come siamo noi italiani che abbiamo nel nostro DNA il concetto di tradimento a motivo del quale la destra, quella becera squadrista e nostalgica, vede in tale data il tradimento verso l’alleato tedesco quando in realtà c’è il tradimento anche degli ideali comunisti che si sono persi dietro l’estratto conto in positivo appena gli stessi hanno annusato la possibilità di governare e percepire le indennità che sono anni luce lontani dallo stipendio di un operaio.

Una Schlein che rappresenta i lavoratori è un ossimoro divertente per i ben pensanti.

Mi viene in mente una frase dell’ultimo vero profeta politico italiano Pier Paolo Pasolini: “Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone”.

Festeggiando quindi il 25 aprile e i 40 milioni di partigiani inneggiando al pericolo neofascista – impensabile – si deve prendere atto che Pasolini aveva ragione dimenticando che all’operaio – sostanzialmente – di tale data poco importa perché nessuno combatte il nuovo vero fascismo che è la società dei consumi e del profitto dove la prevaricazione non è più ideologica, ma economica.

Contenti loro…

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