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Gigi Riva e il senso dell’onore

Mi avessero detto che nel mio percorso per diventare pubblicista mi sarei ritrovato a scrivere di calcio piuttosto che del mio amato rugby avrei preso per scemo l’interlocutore.

Ma in questo caso faccio una eccezione perché merita.

Pochi giorni fa è morto Gigi Riva.

Non sto qui a rammentare chi fosse e che calciatore unico nel panorama del calcio abbia rappresentato perché scriverei cose ovvie alla Gramellini.

Di Lui ho il ricordo che riusciva a convogliare la passione di tutti, ma proprio tutti, stante la sua bravura nel giocare al calcio.

Da mio nonno a mio padre(cuore granata) al mio che tifavo il Cagliari perché ci giocava Lui, Cera, Albertosi e Domenghini che, al di fuori del calcio, erano amici per la pelle, fumatori accaniti discretamente donnaioli e giocatori di poker.

Adorati questi 4 da quel Gianni Brera che lo appellò con il soprannome rombo di tuono, mentre per Gianni Rivera l’abatino.

Altri tempi, altri giornalisti sportivi.

Gigi Riva rifiutò, come ben sapete, di andare a giocare con la Juventus che l’avrebbe coperto di tanti, ma tanti soldi e ricevendo un netto e fermo rifiuto da Riva accampando che non avrebbe tradito la terra sarda.

E questo è quanto, fedele sino alla fine alla parola data.

In pratica, per tanti, era un marziano quando in realtà era figlio di un tempo tramontato sotto ogni punto di vista.

Ma la vicenda di Gigi Riva mi offre lo spunto per una riflessione.

Come diceva Leonardo Sciascia ne “Il giorno della civetta”, ci sono uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraqua che ha sancito, in maniera incontrovertibile, i vari gradi di essere uomo.

Procedo per gradi senza analizzare Sciascia perché non ne sono degno e pensando che sia più giusto in modo più pecoreccio.

Intanto la società del tempo viveva, nei primi anni ‘70, gli ultimi scampoli di quel mondo rurale fatto di cose semplici e dirette anche in considerazione che con la deflagrazione del ‘68 arrivata un po’ più tardi come effetti sociali in Italia, si sarebbe passati da un mondo sostanzialmente primitivo al terrorismo politico e facendo sì che l’attenzione del popolo italiano venisse tarato su nuove prospettive di dolore.

Contestualmente l’Unione Europea faceva i primi reali passi verso un’unificazione del continente con particolare attenzione ad un iper liberismo economico che avrebbe cambiato radicalmente il modo di pensare in funzione del solo guadagno e del profitto a scapito di altri e svilendo il concetto di Patria, non nel senso fascista del termine, ma come sentimento di paragone.

Anche nel mondo del calcio, dove i giocatori- complice anche una diversa e mediatica visibilità- da atleti si stavano trasformando in imprenditori di se stessi e cambiando maglia di squadra in funzione di un maggior guadagno.

Stuart Mill (1806-1873) in “Saggio sulle libertà”, affermava che il vero rivoluzionario era colui che rimaneva ancorato alle proprie idee nel mondo che si stava evolvendo.

Mai frase più vera.

Quindi a rigor di logica, lo schivo e taciturno Riva era un rivoluzionario a tutto tondo, ma di gran classe non tanto dal punto di vista calcistico, ma come persona a tutto tondo e mettendolo personalmente in cima alla scala di valori stabilita da Sciascia e di cui ho parlato sopra.

Con lui si è avuto un altro modo di pensare e di contenersi e creando una discrasia anacronistica con il mondo contemporaneo perché più gli altri cercavano visibilità e più lui si chiudeva in se stesso rimanendo fedele ad un romanticismo di fondo che quasi lo ha portato alla depressione.

In realtà, a mio modesto avviso, il modo rigoroso di contenersi di Riva è stato esemplare nella esaltazione di quei valori che il capitalismo e il marxismo hanno cercato di abbattere: la coerenza spirituale.

E il senso di riconoscimento – parola sconosciuta ai più – di una persona verso una terra difficile che lo ha adottato.

Questo ha fatto di Riva un eroe moderno dello spirito, un patriota ante litteram laddove il concetto di Patria consiste in ogni luogo in cui ci si sente a casa protetti come una madre e non come confini geografici, ma come salvaguardia delle tradizioni e dell’essere uomo scevro da ogni influenza malefica di modernità.

Il segnale positivo che emana con la sua morte, al di là del cordoglio basato sui ricordi di antichi fasti, è che in molti hanno esaltato la sua coerenza e rigore morale di una scelta apparentemente difficile, ma la più ovvia per una persona che aveva sostanzialmente palle.

Un simbolo di un modo di pensare che è ammantato di polvere e che andrà nel dimenticatoio in considerazione che – di questi tempi – la coerenza è vista come un disvalore a scapito del dio denaro.

E non si torna indietro.

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