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“Quattro fiumi, sei montagne”, in un libro l’epopea della guerriglia anticinese in Tibet

I tibetani sono pacifici, ma una delle pagine meno conosciute della recente storia del Tibet è quella legata alla resistenza armata contro l’esercito cinese che aveva invaso il Paese delle Nevi nell’ottobre del 1950.

Una lotta armata che si scatenò quando i tibetani capirono che dopo un primo momento in cui sembrava che Pechino volesse rispettare quell’autonomia tibetana garantita dall’Accordo in 17 Punti firmato da esponenti del governo di Lhasa nel maggio 1951 (sia pure in condizioni di costrizione fisica e psicologica).

Nonostante i cinesi avessero promesso di rispettare la struttura sociale, culturale e politica della società tibetana, gli occupanti cinesi iniziarono a comportarsi in maniera sempre più arrogante, predatoria e violenta. La situazione degenerò nelle regioni nord orientali (Kham e Amdo) del Tibet e ben presto toccò anche altre regioni. È questo il tema del volume “Quattro fiumi, sei montagne” di Claudio Cardelli, Pietro Verni e Gianluca Frinchillucci (edito da Il Cerchio di Rimini, che ha recentemente pubblicato il libro di Michael Van Walt “Tibet Occupato. La storia, i diritti, i doveri dei nostri governi”) con il racconto della della resistenza tibetana all’occupazione cinese. La storia del Chushi Gangdruk  e dei guerriglieri tibetani che diedero del filo da torcere alle truppe di occupazione cinesi dalla metà degli anni ’50 fino all’inizio degli anni ’70.

“Una storia che sa di romanzo, di epopea gloriosa, fino al triste epilogo – dice Claudio Cardelli – Volevamo raccontare questa storia perché non se ne parla molta, c’è un film e qualche libro in area anglosassone e nient’altro. Siamo partiti da un’intervista di Frinchillucci a un guerrigliero, Tachen, quindi un racconto molto umano e personale, di memorialistica, alla quale abbiamo collegato una contestualizzazione storia e geo-politica”.

Il volume è diviso in tre parti. La prima, a cura di Pietro Verni, ricostruisce nel dettaglio le forti tensioni che sconvolsero il Tibet centrale nel decennio 1940-1950, tra la morte del XIII Dalai Lama e la presa del potere dell’attuale. Un periodo di vuoto di potere che accese le mire cinesi e portò all’invasione. Claudio Cardelli, anche sulla base di suoi incontri personali con alcuni protagonisti di quella pagina di storia, illustra i termini essenziali di come si svolsero gli eventi. In questo capitolo si racconta anche di Gompo Tashi, un vero eroe nazionale per i tibetani, colui che mise in piedi una milizia per combattere i cinesi. Milizia che nel tempo fini per essere inquadrata e finanziata dalla Cia in funzione anticinese, fino all’abbandono da parte degli Stati Uniti con la politica di apertura alla Cina portata avanti da Nixon (la politica del ping pong). I guerriglieri si ritirarono in Nepal, da cui conducevano azioni di sabotaggio, fino a quando il Dalai Lama non inviò un messaggio con il quale invitava a cessare la lotta. Non tutti accettarono di lasciare la guerriglia del Mostang, scegliendo di togliersi la vita. La terza parte è opera di Gianluca Frinchillucci che, attraverso una lunga intervista con Tachen, l’attuale presidente dell’associazione in esilio dei reduci del Chushi Gangdruk, e con sua moglie Ngawang Sangmo, conduce il lettore all’interno della esperienza umana, politica e militare della resistenza armata tibetana.

“I tibetani sono molto orgogliosi di questa storia, fieri di uno spirito che non si è mai spento e che viene portato avanti dall’associazione di reduci ed esuli tibetani nel mondo – conclude Cardelli – Per i tibetani è una presenza importante e fondamentale per quanti vivono in esilio”.

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