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Stagione venatoria o della caccia all’insegnante

No, non parlerò della caccia in senso letterale del termine, di cinghialari e di chi va a sparare ai rarissimi uccellini rimasti perché non meritano la mia attenzione, soprattutto i primi che quando fanno battute di caccia bloccano intere montagne, ma di studenti della scuola secondaria superiore e della caccia all’insegnante non accomodante di turno.

Il problema nasce da lontano in un perfetto mix tra una riforma scellerata del sistema scolastico per colpa dell’allora ministro Gelmini e della autonomia finanziaria dell’istituto di riferimento, e il politicamente corretto da parte dei soliti noti che hanno in odio tutto ciò che rappresenta l’autorità, ora statale ora familiare e che ha avuto nel 6 politico l’incipit di una debacle mortificante.

In questo disegno criminoso cosciente e razionale e che ha nelle grandi testate giornalistiche la cassa di risonanza a puttanate inenarrabili e che lasciano il lettore avveduto assai perplesso e che si vendica nella cabina elettorale votando chi auspica il ritorno ad un minimo sindacale di gerarchia e di merito, ci si trova tutti spiazzati se si confronta la scuola di adesso con quella di 30 anni fa, mica dell’800.

Hanno suscitato scalpore due episodi gravissimi avvenuti nei giorni scorsi a cui se ne è aggiunto un terzo proprio un giorno fa.

Una professoressa impallinata da studenti in aula, senza conseguenze perché pallini di plastica, uno che ha accoltellato la sua insegnante in aula e quello di ieri un grave episodio di bullismo a Verona verso un disabile.

Tutti promossi con il 9 in condotta tra lo stupore generale che sfocia nella indignazione della società.

Ora, si fa presto a dire, vista la mia età ( 60 anni), che ai miei tempi la scuola era diversa e più rigorosa, ma certo è che il sistema scolastico attuale, unitamente al pianeta giustizia e sanitario è lo specchio doloroso dei tempi.

Ma se si guarda sempre all’indietro non se ne viene a capo e si risulta dei nostalgici -se non fascisti – nel rimpiangere i tempi in cui chi aveva merito veniva premiato e chi era un asino era bocciato.

Avere poi 8 in condotta era un rischio serio di rientrare a casa e presentarsi avanti a ad un plotone di esecuzione.

Avere una nota poi si entrava direttamente nel girone dantesco dei dannati e i genitori credevano – in cuor loro in un mix di vergogna e preoccupazione – che avessero fallito nel sistema educativo allevando un potenziale delinquente.

Questo era fino a poco tempo fa.

Oggi invece, complice uno Stato che non sa più irrogare sanzioni di vario genere e modulate sulla gravità del fatto, si ha la certezza che avanti alla Magistratura – per esempio – si limitino alla grande i danni e poi si posta su Facebook lo scampato pericolo.

Ottenendo like di compiacimento quando in realtà si dovrebbero prendere tutti a calci nel di dietro (vorrei scrivere altra parola, ma mi sembra inelegante).

Ora, la società – soprattutto quella che sfocia nel sistema Giustizia – dovrebbe essere garantista, ma ciò non significa che deve esserci il perdono a prescindere, ma una condanna – se dovuta – basata sulla corretta applicazione della legge e dopo avere valutato le eventuali attenuanti o aggravanti nel caso in esame.

Invece, con l’adozione di un sistema che ha abbandonato il diritto romano a favore di quello comunitario e di conseguenza anglo sassone, si va a vedere il precedente giurisprudenziale per tirare fuori da guai chi non si è comportato secondo legge.

Ma attenzione.

Il problema nasce dalla paura di ritorsioni giuridiche verso un insegnante o verso la preside, non verso l’eventuale reo che risulta avere più garanzie della persona offesa dal reato.

E non si fa più quadrato e si prendono scorciatoie per non avere noie con il sistema Giustizia e pagare avvocati per la tutela dei diritti lesi, come ricevere una coltellata o essere impallinati.

In forza di ciò il professore rimane solo perché il Consiglio di Istituto decide in maniera diversa e nessuno dei presenti che si metta nell’avvilimento dell’insegnante oltraggiato da un comportamento di questi bulli delinquenti che dovrebbero essere non solo bocciati a prescindere, ma anche presi a sonori ceffoni educativi da genitori che si dovrebbero fare qualche domandina.

Invece vanno da un avvocato spendendo soldi per alleviare la colpa del loro prezioso pargoletto che invece è un emerito cretino.

Si perde quindi il parametro di una scuola che integra la educazione della famiglia, non che la sostituisce, in una perfetta e auspicata sinergia che dovrebbe crescere ragazzi come cittadini rispettosi.

E si è persa una occasione per dare un segnale di rinnovamento educativo verso questa massa di debosciati che vanno a scuola o con il coltello o con il fucile ad aria compressa.

E tralascio l’episodio del bullismo verso un disabile a Verona perché mi viene il voltastomaco sapere che una scuola non ha a cuore i veri fragili.

La frase che rimbalza spesso oggi è I care, sdoganato da Walter Veltroni e ancor prima da don Milani e che è il proclama, nelle intenzioni ottime, di avere a cuore le sorti di chi è meno fortunato, ma perdendo di significato per cui è stata coniata.

Ne consegue la solitudine dell’insegnante che è combattuto da forze centrifughe ed interne (Consiglio di Istituto) con il risultato che aumenta a dismisura l’avvilimento dello stesso insegnante oltraggiato nel presentarsi a scuola perché non tutelato neanche dalla/dal preside.

L’insegnante ha la stessa tutela che ha un artigiano del pensiero e dell’insegnamento, ma con presidi che non sono all’altezza del loro compito che è stato demandato loro dallo Stato a tutela di tutti e rappresentando lo Stato stesso.

Aveva ragione Julius Evola: Un artigiano che assolve perfettamente alla sua funzione è indubbiamente superiore ad un re che scarti e non sia all’altezza della sua dignità”.

E il re è il preside.

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