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Il volto anempatico della crudeltà e lo sguardo che deumanizza le vittime

Nell’apprendere di efferati fatti di cronaca nera e condotte perpetrate con assoluta crudeltà, ci interroghiamo e soffermiamo sulle ragioni dietro coloro che sono gli attori di siffatte gesta, sul motore malevolo che anima l’agire e il pensiero degli esecutori materiali del crimine; ma che ne è delle vittime, di chi viene sfiorato, sovente rimettendoci la vita, dalle spirali del male, che ne è di chi ha dovuto confrontarsi e riflettersi nel volto anempatico della crudeltà?

Chiara Gualzetti, uccisa il 27 giugno 2021 con ferocia inaudita a Monteveglio (Bologna). Il giovane assassino, suo coetaneo, l’aveva adescata con un appuntamento, facendo leva sui sentimenti e le insicurezze della ragazza

Forse vorrebbe raccontarcelo Chiara Gualzetti, la giovane sedicenne di Monteveglio uccisa barbaramente nell’estate del 2021 da un coetaneo di cui era invaghita, deumanizzata e distrutta, in quel luogo da cui non può oramai narrarci dell’esperire le “ali del male”, la sozzura di una cattiveria che ha giocato con i suoi sentimenti di insicura adolescente alle prese con i turbamenti e le attrazioni per la persona sbagliata. Strazianti e comprensibili le parole del padre, Vincenzo Gualzetti, emblema di tutti quegli interrogativi su una ferocia non sorretta da motivazioni sussistenti: “Mi ha tolto una figlia senza un perché, questo è l’aspetto più folle. La parola ‘perdono’ credo non possa esistere“. Per i familiari delle vittime che sono state preda e oggetto di una cattiveria becera, l’ergastolo del dolore è imperituro, così come il senso di ingiustizia. Ma dove non scorgiamo una profondità volta a spiegare atti così ignominiosi, è plausibile parlare di rieducazione, ravvedimento e speranza di cambiamento futuro?

Disumanizzare, questo fa il criminale, l’aggressore, il predatore che colleziona oggetti, passa da individuo all’altro come spinto da una voracità inesauribile, preso da un senso di onnipotenza, di grandiosità narcisistica…” (Mignani A., 2022)

La crudeltà assoluta è dunque identificabile in un deficit, proprio come le conclusioni delle perizie sul killer in erba di Chiara hanno confermato, documentando totale incapacità di provare senso di colpa e rimorso, di accedere alla risposta umana dell’empatia, il tutto senza che vi siano componenti psicotiche o compromissione della lucida facoltà di intendere e volere.

Il vuoto che origina il male, il vuoto che si traduce nell’erosione empatica, nell’assenza di considerazione dell’altrui esistenza e universo sensibile, il baratro che non vede, perché non può e semplicemente non ha interesse a farlo, non considera altro dal proprio bisogno e nulla che travalichi una insensata pulsione distruttiva. Le vittime? Null’altro che bersagli, recipienti cui incanalare rabbia, nichilismo e livore, nella disponibilità di un’azione che cerca nella propria traiettoria un soggetto da piegare e irretire. Da questo vuoto e analfabetismo emotivo scaturisce l’atto che è incurante delle conseguenze, dei codici morali, che non concepisce quella fondamentale dimensione dell’autoriflessività da cui poi può scaturire il rimorso. Lo studio della criminologia declinato nelle “coordinate del male”, va a sondare le cause scatenanti del grado zero di empatia, che esso sia per nascita o acquisito, nell’intendere l’origine dell’atto crudele e deviante come rottura di ogni valore scaturito dal terreno nutritivo dell’empatia e della capacità di provare rimorso, inteso dunque come la sua assoluta negazione. Prevenire una crudeltà che molto spesso uccide, ed altre volte provoca traumi indelebili sulla pelle di coloro che dallo “sguardo anempatico” son usciti apparentemente indenni, ma con cicatrici profonde nel dominio dell’animo, nel perdurare nella memoria di un male che li ha contaminati nelle certezze.

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