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Il “peccato mortale” di piazza del Bacio

La piazza, costruita negli anni ‘80, è firmata Aldo Rossi, primo architetto tra gli italiani a ottenere il prestigioso premio Pritzker 1990, quello che è considerato il Nobel per l’architettura (dopo di lui solo Renzo Piano).

Personalmente la trovo di una bellezza struggente che ha due gravi nei: il nome della piazza che non le fa onore e il clima irrespirabile al limite del malavitoso.

Una piazza che non rende onore a una splendida città come Perugia.

Ma qui non si parlerà dei possibili rimedi per valorizzare un capolavoro, ma fare l’analisi architettonica della zona e partendo dal presupposto che la piazza, nel suo insieme, può piacere o meno.

Sappiamo che gli italiani sono sostanzialmente dei tifosi su ogni cosa e le contrapposizioni delle opposte tifoserie il più delle volte sfociano nel più italico dei difetti: il livore.

Ma quando si parla di arte o di architettura, prima di dare fiato a parole insensate, si deve avere un briciolo di umiltà e una infarinata di cultura perché altrimenti si rischia di fare la figura di cretini saccenti.

E questo accade spesso, anche allo scrivente e Voi lettori ve ne siete accorti.

Per capire infatti un’opera sono necessari due germogli: la voglia di capire senza pregiudizi e la capacità di documentarsi perché altrimenti tutto rimane solo un sentimento visivo che culmina nella dicotomia bello/brutto.

Germogli che vanno annaffiati ogni giorno.

Aldo Rossi ha sempre affermato che si ispirava alle linee nette della Grecia Antica e quindi paradossalmente al neoclassicismo che ha avuto nuova linfa – a fine ‘800 – nei paesi anglosassoni e in parte della Francia.

La sublimazione di questo neoclassicismo e la rivisitazione italiana di ciò ha comportato in Italia il movimento razionalista, additato come architettura fascista scimmiottata malamente dai tedeschi sotto il nazismo a mezzo di Abert Speer laddove i tedeschi – storicamente – difettano di fantasia a scapito di una esasperante pragmaticità che ha avuto nefaste ed orribili conseguenze a motivo del quale sono invisi ai fantasiosi italiani, tutta anima e core.

Superato questo vaglio è indubbio che la bellissima piazza si ispiri alla architettura razionalista con le sue linee semplici decretandone la condanna a morte all’occhio malevolo di persone che, quando si parla di razionalismo, tradizione, futurismo e via dicendo, hanno un rifiuto a prescindere per abbietti motivi politici.

Ma i più non sanno che Marcello Piacentini, architetto e urbanista che ebbe il suo massimo fulgore tra il 1910 e il 1940, ebbe ad ispirarsi alla metafisica dei quadri di Giorgio De Chirico (come sostiene Philippe Daverio) e non viceversa e che Aldo Rossi lo considera un amico ispiratore ponendo l’orologio nella torre centrale, rendendo un meraviglioso omaggio a tale pittore e ammantando il tutto di nascosta poesia.

Ne consegue che l’orologio assume un aspetto simbolico di richiamo al passato sfociando non nel metafisico, ma nell’onirico e diventando il protagonista assoluto della Piazza.

Ma l’occhio sfuggente e volubile del perugino non nota questo particolare, forse più attento a schivare la possibilità di fare brutti incontri che osservare gli edifici nella loro maestosità o monumentalismo (per dirla alla Piacentini) e non sapendo cosa si perdono nel collegare orologio-De Chirico.

Entrerebbero in una catarsi iniziatica di apprezzare l’architettura con occhio nuovo fatto di impercettibili simboli che danno valore all’anima.

Ma si sa gli italiani sono esterofili e autodenigratori che hanno nello sputtanatore seriale dei difetti de noantri in Beppe Servegnini l’alfiere, troppo amante della cultura anglosassone, pur rispettabilissima come lui.

Perché si ama di più quello che è estero e si grida al genio quando una archistar (come Fuksas o Aulenti) promuove un edificio che nella intenzione deve essere di frattura e imitazione del cementista Le Courbusier con il risultato che spesso e soprattutto la sopravvalutata Gae Aulenti risulta essere una geometra raffinata, basti osservare il museo D’Orsay a Parigi.

In realtà al genio italico del design a tutto tondo non diamo valore perché rimane un mistero che il più bel museo italiano, come la Centrale Acea Montemartini in Roma che raccoglie il meglio della statuaria romana, è sconosciuto.

L’esasperazione architettonica sfocia nel brutalismo in voga dagli anni ‘50 sulla scia di quello anglosassone per dare un nome a edifici che – in realtà – sono veramente brutti come la chiesa Cubo di Rubik, ah no, scusate, di Fuksas a Foligno.

Ne consegue che se Atene piange, Sparta non ride, ma sia i Perugini sia i Folignati -superando la vecchia diatriba guelfi ghibellini – su questo hanno un punto in comune : il senso di spregio sia per la piazza del Bacio sia per la chiesa.

Ma mentre la chiesa folignate ha la sua eternità evangelica, la piazza del Bacio, se non si trovano soluzioni su come arginare la malavita, rimarrà un monumento bellissimo al nulla.

Ma anche in questo caso sopravvive un difetto italiano: progetti di recupero infiniti e soluzioni zero.

Un peccato mortale.

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