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Dalle acque al Tibet, non è questo il futuro turistico dell’Appennino

Il fenomeno Rasiglia e il ponte tibetano progettato a Sellano mettono a rischio un ecosistema delicato

Dal titolo dell’articolo si potrebbe affermare di palo in frasca.

In realtà la questione è più semplice e Ve la spiego subito cercando di andare al nocciolo della questione.

Intendo parlare dell’appennino umbro, più precisamente della nostra amatissima montagna che da Foligno sfocia verso Colfiorito e soprattutto verso il Sellanese.

Più precisamente di Rasiglia e del più lungo ponte tibetano del mondo che sarà costruito nella zona della Valle del Vigi, nel Sellanese.

La prima è assurta a cronaca nazionale e chiamata, in maniera quasi esilarante, la piccola Venezia.

Paesino bellissimo e da sempre mal collegato con Foligno con il trasporto pubblico, ha iniziato ad avere una diversa visibilità grazie al lavoro incessante dei volontari di detto paese che – ora con il passa parola ora con i social, ma pentiti – ha trovato linfa insperata e turbando la calma delle limpide acque sorgive con turisti che nel visitarla ne fanno uno status symbol del viaggiatore globale ma non attento alle sfumature.

Nei giorni pre festivi e festivi è preso d’assalto da questi visitatori improbabili e improponibili che violentano il paese di schiamazzi e cartacce, affollando i negozi che vendono le stesse cose sia a Lampedusa che a Vipiteno.

E intasando la statale che porta al Valico del Soglio e dimenticando – il più delle volte – il Santuario della Madonna delle Grazie con i Suoi innumerevoli e bellissimi ex voto e non accettando, in cuor loro, quel minimo di spiritualismo per evitare di portarsi colà da Rasiglia camminando.

E si sentono amanti del trekking.

Di converso il ponte Tibetano che verrà costruito – a meno che alla fine vengano (grazie a Dio) meno i fondi per costruirlo – sulla Valle del Vigi farà rete con Rasiglia con una sorta di turismo diffuso al pari degli hotel diffusi.

In pratica un pugno su un occhio che porterà visitatori da ogni dove per percorrere ,in 55 minuti, il ponte stesso e poter dire, come novelli Giulio Bedeschi nelle sue monografie dei fronti di guerra “C’ero anche io” (ed. Mursia).

Secondo me la montagna non si salva in tale modo con il turismo mordi e fuggi di cittadini stanchi del caos che amano – con un pizzico di patologia neuropsichiatrica – ritrovare il caos ma in un posto più bello e postarlo su Facebook.

Si sta pagando lo scotto di una politica degli anni ‘70 in cui una parte politica voleva il trasferimento dei braccianti e piccoli proprietari terrieri nelle fabbriche e trasformare i predetti da elettori democristiani incalliti a comunisti alienati a motivo del quale non si è mai fatto nulla per mantenere la popolazione e le iniziative economiche in montagna per evitarne lo spopolamento.

Sostanzialmente un dispetto politico a scapito di chi viveva in montagna.

Cominciando con il non asfaltare le strade laddove in Veneto – per non parlare del Trentino Alto Adige – sono asfaltate perfettamente anche quelle stradine che portano a malghe a 2000 metri di quota.

La scesa in città quindi è stata una scelta obbligata di persone che dello sconfinamento di un aratro in altro campo era sinonimo di guerra dei 100 anni (1337-1453).

Ma si è abbandonata la montagna e lasciata in mano ai cinghiali che rovinano tutto unitamente ai cinghialari che incutono timore quando bloccano montagne per le loro battute di caccia agli stessi.

I campi coltivati vengono massacrati,i pascoli rimangono terra di nessuno se non per qualche pastore che campa di stanchezza e di stenti sotto ogni punto di vista e non sbarcano il lunario per stare dietro a contributi e normative europee con il risultato che trovare un formaggio pecorino buono è come trovare un elettore del Pd che dica qualcosa di sinistra.

È la morte lenta della montagna e dei suoi abitanti, le sue pievi, i paesi vuoti di inverno e stracolmi d’estate quando si torna al paesello in un processo mortificante e umiliante per il contadino che vede la calata dei nuovi barbari.

E la sera rimanere soli in quota senza prospettive se non di attendere il “casino” il giorno dopo.

Persone che affermano di amare la montagna ma che non hanno nulla di approccio alla stessa con il dovuto rispetto e, senza scomodare Julius Evola con il suo “Meditazione delle Vette” (ed.Mediterranee), mi viene in mente ciò che affermava Valter Bonatti: si conquista l’uomo, non la vetta.

Oggi si conquista, con ben altro spirito, una buona forma di cacio.

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