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Giovenale, i no vax e la coerenza politica della Corte Costituzionale

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Il grande Giovenale (II secolo d. C.) ebbe a dire una frase che è valida per tutte le stagioni, frase cara a Jean-Jacques Rousseau e adottata dai rivoluzionari francesi: vitam impendere vero, una vita alla ricerca della verità.

In linea astratta dovrebbe essere una frase che dovrebbe essere evidenziata nelle aule di giustizia al posto del ben più esilarante La legge è uguale per tutti, ma tant’è.

Ti chiederai, caro lettore, cosa c’entri tale frase con la questione dei vaccini.

Presto detto.

Sappiamo tutti come sia andata la questione della legittimità dei vaccini alla Corte Costituzionale il 1° dicembre, laddove i ricorsi incidentali (ben 19) sono stati dichiarati inammissibili e la strada è segnata.

Sul punto ci sono state reazioni scomposte da parte di tanti da un lato e l’esaltazione dei vaccinisti dall’altra per la sconfitta del fronte opposto.

Perché, come diceva Philippe Daverio, agli italiani non interessa vincere, ma che perda l’altro.

In questo rinnovato vigore di dicotomia guelfi e ghibellini attuale, si devono svolgere alcune brevi considerazioni.

Intanto l’eterna illusione degli avvocati che, come guerrieri del nulla, hanno ancora quella visione onirica della Giustizia votata al bene del cittadino che cozza in maniera bizzarra con il pragmatismo ideologico di tanti magistrati che – al pari dei grandi giuristi accademici – verificano se una virgola è stata inserita nel posto giusto, tralasciando il quadro di insieme.

Ne consegue che si osservano più i formalismi, le eventuali legittimazioni attive a partecipare ad un dibattito nelle aule di giustizia (cioè il diritto a dire la propria in una certa faccenda introdotta da altri) e dichiarando inammissibile un atto per non entrare nel merito della questione.

Ed è quello che è accaduto alla Corte Costituzionale con una decisione ben prevedibile non dal punto di vista tecnico in considerazione che l’obbligo vaccinale è altamente anticostituzionale e i vaccini sono – di fatto – sperimentali sulla pelle dei cittadini, prevedibile, come sostenuto da tempo, dal punto di vista politico.

L’aspetto mortificante non è la delusione per il risultato scontato, quanto la presa d’atto che la Corte Costituzionale si è rivelata per quello che è: un organo politico e quindi non indipendente come invece auspicavano i padri costituenti e con buona pace di Calamandrei.

Ed è normale, perché su 15 giudici, 5 sono eletti dai magistrati, 5 dal Parlamento in seduta comune e 5 dal Presidente della Repubblica, come sancito dall’articolo 135 della Costituzione.

E da nessun avvocato che ne avrebbe ben diritto di esprimere la sua.

Quindi, come poteva la Corte Costituzionale, contraddire l’operato di chi li ha messi in tale organo?

Inverosimile e fantasioso.

Anche perché immaginate cosa sarebbe accaduto se fosse stata emessa la declaratoria di anticostituzionalità dei vaccini (e dire il vero ancora c’è un barlume di speranza al pari della Juventus di vincere la Coppia dei Campioni) con un intasamento delle aule di giustizia sia in sede civile sia penale che – in ultima analisi – sarebbe andata a vanificare la farraginosa riforma Cartabia (anche lei ex presidente della Corte Costituzionale ed ex Guardasigilli).

Mai fu più vero il detto umbro “tra cani non si mordono”. Figuriamoci nel caso in esame.

Da ciò ne consegue il fallimento di un certo modo di amministrare la Giustizia in nome del popolo e facendo risultare il tutto come drammaticamente folcloristico e facendo perdere fiducia nel cittadino nei confronti del sistema.

L’Associazione nazionale magistrati ha sempre combattuto affinché la politica non avesse il sopravvento sulla Giustizia e coltivando una autonomia di pensiero che è al pari di un giornalista di Repubblica o di Libero (dipende se si è guelfi o ghibellini), ma dimenticando che la Corte Costituzionale non è autonoma per nulla e lo ha dimostrato più volte.

Basti pensare anche al regime carcerario durissimo del 41 bis su cui l’Italia ha ricevuto un giusto “rimprovero” da parte della Commissione europea dei diritti dell’uomo e che non ha avuto altre soluzioni nonostante le indicazioni da parte dell’Europa svilendo il sentimento europeista che funziona a corrente alternata e solo quando fa comodo.

Gli italiani sono tutti o guelfi o ghibellini a seconda delle necessità e trovano la punta di diamante di tale modus vivendi in quello che diceva Giuseppe Prezzolini “la coerenza è la virtù degli imbecilli”.

In realtà, superando la frase di Giovenale, la Corte Costituzionale si è adeguata a un celebre aforisma di Giovanni Giolitti “Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”.

Ed è definitivamente scomparsa la fiducia dei cittadini nel sistema Giustizia perché non si è voluta ricercare la verità.

“Boy in the box”, dopo 65 anni identificato il ragazzo nella scatola

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Le nuove tecnologie per l’esame del Dna hanno permesso di identificare la vittima di un omicidio irrisolto a Philadelphia

Joseph Augusto Zarelli. È questo il nome del “bambino nella scatola”. Dopo 65 anni, grazie all’evoluzione del test del Dna, la polizia di Philadelphia ha dato un nome alla piccola vittima trovata oltre mezzo secolo fa in un boschetto del quartiere Fox Chase della città degli Stati Uniti d’America.

Nel corso di una conferenza stampa la polizia ha ricordato come la tecnologia abbia aiutato a risolvere questo caso a distanza di tanto tempo, abbinata alle tecniche investigative classiche.

Gli investigatori hanno diffuso il nome del ragazzino, conosciuto come “boy in the box” nato nel 1953 e ritrovato con il corpo martoriato nel 1957, sperando ora di arrivare al suo assassino.

Il corpo del bimbo venne trovato in una scatola per culle prodotte da J. C. Penney, avvolti in una coperta, con il corpo nudo e gravemente contuso, pesava solo 30 libbre e aveva diverse piccole cicatrici sul corpo, secondo il National Center for Missing & Exploited Children. Era stato picchiato a morte, secondo la polizia.

La scena del crimine fu perlustrata da cima a fondo da 270 poliziotti appena assunti, che rinvennero un cappello da uomo blu di velluto, una sciarpa da bambino e un fazzoletto bianco da uomo con la lettera “G” nell’angolo, tutti oggetti che non portarono da nessuna parte.

In tutta la città vennero distribuiti 400mila manifesti con la foto del ragazzo.

Gli investigatori avevano già tentato di utilizzare il test del Dna per identificare il corpo del ragazzo, ma il campione era insufficiente. Uno specialista forense è stato in seguito in grado di utilizzare lo stesso campione di Dna per identificare i parenti del ragazzo.

Il capo della Omicidi, il capitano Jason Smith, ha affermato di avere “dei sospetti”, riconoscendo che vista la grande quantità di tempo trascorso che si tratta di un’indagine “tutta in salita”. Smith non ha fornito le identità dei genitori del bambino, dicendo che sono entrambi morti, ma indicando che i fratelli sono ancora in vita.

I resti del ragazzo sono stati sepolti in un cimitero locale con una lapide che recita “America’s Unknown Child”.

Sociologi alla ribalta: ottenere l’albo professionale

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Il convegno all’Università “La Sapienza” di Roma

L’Associazione nazionale sociologi il 2 dicembre a Roma, presso l’Università “La Sapienza”, ha organizzato un convegno per discutere e tentare di ottenere, ancora una volta, l’albo professionale. L’intento è chiaramente quello di tutelare e valorizzare la figura del sociologo. Anche se lo Stato riconosce il suo ruolo bisogna ammettere che non c’è un registro che raccolga i nomi e le informazioni dei professionisti che svolgono questo lavoro.

Pietro Zocconali Presidente ANS

Nelle figure del professor Tito Marci, del presidente dell’Ans Pietro Zocconali, del professore Domenico De Masi e del segretario nazionale Antonio Polifrone, la categoria batte i pugni sul tavolo. L’Ans è stata fondata a Roma nel 1982 e un obbiettivo che rincorre da sempre è quello di ottenere una regolamentazione del sociologo. Per l’occasione, il dottor Pietro Zocconali, presidente dell’Ans, ha parlato del convegno e dell’importanza della figura degli scienziati sociali.

Venerdi 2 dicembre si è tenuto un convegno a Roma per parlare dell’albo professionale. C’è stato qualche riscontro e cosa vi riserva il futuro?

“A Roma, il 2 dicembre 2022, presso l’Università “Sapienza”, al Centro Congressi, in via Salaria 113, si è svolto il convegno nazionale dell’associazione nazionale sociologi: ‘Il ritorno della sociologia: una grande occasione per i sociologi’. Si è riscontrato un grosso interesse da parte dei docenti universitari; hanno relazionato i professori Tito Marci, preside della facoltà di Scienze Politiche-sociologia-comunicazione, Domenico De Masi, docente emerito, sociologo di fama internazionale, Stefano Scarcella Prandstraller. Tutti hanno affermato, di fronte ad una platea di sociologi Ans giunti da tutta Italia, l’importanza della sociologia, fondamentale anche per le decisioni a livello politico, specificando la caratteristica dei laureati in sociologia: la loro conoscenza della teoria sociale e della metodologia della ricerca sociale, la grande potenzialità nel prossimo futuro, riguardante il sociologo e lo studio dell’attuale crisi economica e sociale a livello planetario”.

Perché non si è mai riusciti a stabilire un albo professionale? Quali sono gli intoppi che ostacolano la professione?

“Che io ricordi, proposte per l’attivazione dell’Albo del sociologo vengono fatte sin dagli anni ’90 del secolo scorso, ma non sono mai giunte a conclusione. Il professor De Masi, su questo argomento, ha ammesso che probabilmente sia i laureati in sociologia sia i docenti non hanno saputo ben gestire le varie opportunità con i vari governi che si sono succeduti”.

Secondo lei oggi la figura del sociologo è ancora sottovalutata o riconosciuta solo in parte?

“Fino a ieri la figura del sociologo è stata sottovalutata e ai più poco conosciuta. Ricordo che diversi anni fa l’Ans prese posizione contro un concorso per sociologo presso il Comune di Reggio Calabria, per il quale bastava presentare un diploma di scuola superiore! Come se non esistessero in tutta Italia ormai, corsi di laurea in Sociologia, e come se non esistessero oggi quasi 90.000 laureati in questa disciplina”.

Ci sarà un rilancio dei sociologi? 

“Vasta eco è stata raggiunta dal convegno per un rilancio della sociologia; era presente, per interviste e registrazioni, una troupe televisiva di Canale 10 TV (importante TV laziale), condotta dal giornalista Fabio Nori, che ha intervistato i protagonisti dei lavori; il martedì successivo, su quella emittente, è andato in onda un servizio sui lavori congressuali. Il 6 dicembre sul quotidiano ‘Leggo’, è apparso un lungo articolo a firma Mario Fabbroni, con il titolo ‘Roma, i sociologi al Governo: basta attese, va istituito l’albo professionale della categoria. Siamo indispensabili’; il 1° dicembre, su ‘Il fatto Quotidiano’, il professor Domenico De Masi, aveva pubblicato l’articolo ‘Basta economisti, è ora di tornare ai sociologi’, nel quale tra l’altro aveva pubblicizzato il convegno della nostra associazione che: ‘si troverà di fronte alla possibilità di riaffermare il ruolo dei sociologi, finora eclissato dalla presenza ingombrante degli economisti’. Sembra proprio che ci troviamo di fronte al ritorno della sociologia, e sarà quindi una grande occasione di rilancio per i Sociologi e per l’ottenimento del tanto agognato albo professionale”.

Il Giappone: terra del Sol Levante

La storia del Sol Levante

Il Giappone è definita la terra del Sol Levante, ma da cosa deriva questa sua denominazione?

Molti credono che il significato provenga dalla bandiera bianca con il cerchio rosso al centro o dalla sua posizione geografica, in realtà ha origini lontane e radicate.

Il principe Shtoko Taishi è stato il primo a chiamare il Giappone con questo appellativo scrivendo in una lettera all’imperatore della Cina, che il paese che governava, Nihon, era quello in cui sorge il sole.

Il Giappone, geograficamente decentrato rispetto all’Europa, divenne il principale centro commerciale da e per tutto il globo. Si trova vicino al meridiano opposto a quello di Greenwich ed è la prima terra che vede la luce del sole viaggiando da Oriente verso Occidente.

Anche la lingua giapponese detta Nihongo è formata da 3 kanji: Ni (Sole o Giorno), Hon (Radice od Origine) e Go (Lingua).

Nippon, Wa, Wakoku, Yamato, sono altri appellativi della terra del sol levante. Gli stessi vicini di casa, i cinesi, identificarono il Giappone con il nome: le terre di Wa, di Wakoku così da riconoscere i cibi wafu, i riti, gli abiti tradizionali e la musica di quel popolo.

Spesso sentiamo pronunciare l’appellativo nipponico, che secondo la tradizione, ha origini ancora più antiche antecedenti al principe Shtoko Taishi, infatti, deriverebbe da alcuni studenti; Yamato invece indica la grande armonia. Marco Polo, invece, la chiamò Cipango, ma questo veniva da errori nella pronuncia.

Una terra tanto ricca, piena di tradizioni quanto di nomi.

Una cultura millenaria

Il Giappone è una terra dalla cultura millenaria che si riesce a fondere meticolosamente con la modernità, dai paesaggi montuosi del Monte Fuji, (simbolo religioso e patrimonio dell’UNESCO, sui cui è possibile fare trekking) alle località del nord, passando per le costiere del sud miscelandosi fino ad arrivare alla metropoli di Tokyo.

Il periodo migliore per visitare questo paese è durante la fioritura dei peschi che avviene nel clima mite della primavera.

Tokyo è la capitale in cui si possono visitare monumenti simbolo del Sol Levante e i quartieri tipici quali Ginza in cui si trova la zona commerciale, il Palazzo Imperiale e le case degli Shogun cioè dei Samurai. Fra gli altri quartieri troviamo Asakusa, con il Tempio di Senso-ji, Rappongi con il grattacielo Mori Tower, Aoyama, Akihabara con i vari negozi di elettronica, Shibuya, in cui troviamo numerosi ristoranti, locali, musei e gallerie d’arte. Una vista mozzafiato è dal Tokyo Metropolitan Government nel quartiere Shinjuki.

I templi e santuari sono concentrati nella zona di Ueno, mentre per i manga e il divertimento dovrete dirigervi verso Odaiba e Ikebukuro.

Kyoto è la seconda meta turistica

Il mercato Nishiki a Kyoto è una delle mete principali per chi vuole scoprire le tradizioni culinarie nipponiche. Tra le altre attrazioni c’è il tempio zen di Kinkaku-ji, il Padiglione d’Oro, il Padiglione d’Argento e un percorso molto suggestivo: il Fushimi Inari Taisha. Da non perdere c’è il Castello di Nijo, il quartiere di Gion con templi e abitazioni delle geishe, il Pontocho, il Sanjusangendo con 1001 statue della divinità della misericordia, il Tempio dell’Acqua Pura del ‘600, il Palazzo Imperiale di Kyoto e la Foresta di Bambù di Arashiyana. Prima di andare via non potete non visitare la Villa Imperiale di Katsura con il suggestivo giardino zen e il laghetto.

La terza città con più numeri di abitanti è Osaka

Osaka sorge a pochi chilometri da Kyoto e affaccia su un’area portuale. Anche qui c’è tanto da visitare, dal Castello di Osaka ricostruito dopo la Seconda guerra mondiale, il Santuario di Sumiyoshi Taisha risalente al III secolo, il tempio buddista di Shitennoji, il parco di Minoo con una flora molto particolare che merita soprattutto nel periodo autunnale e di cui non potete perdere l’emozionante ponte ai piedi della cascata.

A Osaka troverete anche gli Universal Studios Japan, uno dei parchi divertimenti più appezzati e visitati del Giappone, il Kaiyukan, l’Acquario di Osaka, il quartiere di Minami ideale per fare un po’ di compere e mangiare del buon sushi. Per una passeggiata invece c’è la zona della baia, Osaka Bay, dove è stata installata una ruota panoramica, diversi centri commerciali e alcuni musei particolarmente interessanti.

Se la permanenza in Giappone è abbastanza lunga, vi dovrete spostare sull’isola di Honshu a Nara ritenuta la culla della letteratura e dell’arte giapponese. Anche l’isola di Hokkaido è da non perdere, la cui caratteristica sono i paesaggi e i panorami mozzafiato. Aggiungerei le terme di Hakone e l’isola di Okinawa con le mitiche spiagge che affacciano sulle acque cristalline dell’Oceano Pacifico. Fra le altre destinazioni consiglierei di visitare le due città distrutte dalla bomba atomica durante il secondo conflitto mondiale: Hiroshima e Nagasaki, la foresta incantata di Aokigahara, Kamakura e Takayama dove potrete vivere ancora le antiche tradizioni giapponesi.

Di certo il Giappone non rientra fra i venti paesi più grandi al mondo, ma certamente è una terra che vale la pensa visitare per la molteplicità di attrazioni artistiche, culturali e paesaggistiche. Una delle caratteristiche di questo stato insulare è la tradizione soprattutto nel rispetto verso gli altri.

Questo popolo è tollerante e comprensivo verso gli stranieri e tende a mantenere l’armonia del luogo in cui ci si trova. Ed è proprio qui che nel VI secolo attraverso il confucianesimo-buddismo che nasce il rispetto e l’amore per il bene comune. Sayoonara!

“Io ho quel che ho donato”, del karma e di odiatori seriali

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L’elaborazione del lutto e la “cattiveria” dei social

Selvaggia Lucarelli è una giornalista di bella presenza e dalla lingua tagliente ed è indubbiamente dotata di intelligenza sopraffina.

Imperversa in ogni dove e – in quanto donna e con l’aggravante di essere giornalista – deve avere una opinione su tutto lo scibile umano e, ovviamente, anche l’ultima parola che, nel 99,99%, dei casi è mortificante per l’interlocutore.

Ciò in quanto conosce al meglio le dinamiche televisive e quindi di marketing di sé stessa (e non ne ha bisogno se non altro per l’avvenenza) e sa come usare al meglio gli strumenti di comunicazione.

Ha avuto una sorta di paradigma politico e alla fine è approdata al politicamente corretto che – stranamente – coincide sempre con il Suo pensiero e viceversa.

Una sorta di Massimo Gramellini, ma un po’ più cattiva.

Nel corso del tempo ha avuto modo di censurare con parole malevoli il comportamento di chiunque si interfacciasse con Lei rimanendo basiti e suscitando, in chi assisteva al feroce dibattito, la curiosità se l’interlocutore rimaneva silente perché oggetto di aggressione o perché incantato dalla profonda scollatura che la predetta – giustamente perché se lo può permettere – mostra.

Ma ciò non toglie che la Signora in questione, quando vede in difficoltà una persona, non ci va tanto per il sottile e aumenta il tono di aggressività con toni che fanno audience, ma che lasciano basiti i telespettatori con il risultato che alcune persone la adorano e altri le augurano tutto il male del mondo.

Ma la Lucarelli, da donna reattiva, sa del rischio calcolato e se ne sbatte bellamente.

E fa bene perché comunque è un personaggio che attira e fa parlare di sé.

Ma come si dice qui in Umbria, male non fare paura non avere. Frase che – se unita al karma – può provocare sconquassi e ciò che è compiuto in senso negativo torna indietro con l’aggiunta di interessi.

E questa considerazione spiccia, quasi rurale, ma efficace, diventa la sublimazione della affermazione di D’Annunzio “io ho quel che ho donato”.

Quindi se infondi livore verso tutti può accadere, come accaduto alla nostra giornalista, che l’odio torni indietro.

Nella immediatezza della morte della madre la Lucarelli ha partecipato al programma televisivo “ballando sotto le stelle”, non certo a Quark di Piero Angela, il che la dice lunga, ma tant’è.

A quel punto i leoni da tastiera si sono scatenati in maniera feroce, con insulti particolarmente pesanti se non orribili a cui Lei ha reagito con la consueta scompostezza da animale insuperabile della comunicazione e facendo aumentare- nonostante non ne abbia bisogno – l’interesse intorno a Lei che da pruriginoso è sfociato in intellettivo e emotivo.

Sorge nel lettore l’amletico dubbio se alla stessa sia stato giusto rivolgerle insulti così pesanti e pensando “ben Le sta!!” oppure i cosiddetti lettori abbia varcato il limite di continenza verso una persona.

A me la Lucarelli, proprio per il suo modo di fare, non mi è simpatica, ma paga anche lo scotto che nel sistema sociale italiano è inaccettabile che – nell’ambito della comunicazione – ci sia una donna pensante, ma che abbia la presenza scenica strabordante come Lei e quindi suscitando anche invidia verso l’interlocutore che la insulta.

Ingiustamente tra l’altro e Vi spiego il perché.

Ognuno ha un proprio modo di elaborare i lutti e non si può certamente pretendere che il modo di Tizio sia uguale a quello di Sempronio.

Nella mia vita ho avuto amici che alla morte del padre sono andati in discoteca, ma con la morte nel cuore per esorcizzare – in maniera magari desueta il totem della partenza per altri lidi del parente.

È il punto nevralgico il concetto di morte perché unica cosa certa e ognuno di noi ha una data di scadenza, chi prima chi dopo.

E non essendo certi – evangelicamente – della risurrezione rimane il dubbio se ci possiamo riciclare a meno che si creda in Buddha.

Nessuno di noi ha il diritto di censurare un fatto così intimo, figuriamoci il dovere.

Nulla toglie che – magari – la madre della Lucarelli sia stata contenta della reazione della figlia che ha mostrato una invidiabile solidità (forse di facciata) e confermando nella defunta che la Sua opera educativa ha avuto una qualche valenza.

Ragionamenti che non si possono chiedere ai telespettatori che, invece, osservano le poderose tette.

Dal canto mio spero che essere stata oggetto di insulti sia una conversione sulla via di Damasco della Lucarelli e che cominci ad avere quel percorso di dolcezza per far sì che anche Lei ragioni sulle disavventure degli altri senza massacrare nessuno con un moto di dolcezza e sensibilità che sarebbe un atto rivoluzionario non indifferente.

“Io ho quel che ho donato”.

Dalle acque al Tibet, non è questo il futuro turistico dell’Appennino

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Il fenomeno Rasiglia e il ponte tibetano progettato a Sellano mettono a rischio un ecosistema delicato

Dal titolo dell’articolo si potrebbe affermare di palo in frasca.

In realtà la questione è più semplice e Ve la spiego subito cercando di andare al nocciolo della questione.

Intendo parlare dell’appennino umbro, più precisamente della nostra amatissima montagna che da Foligno sfocia verso Colfiorito e soprattutto verso il Sellanese.

Più precisamente di Rasiglia e del più lungo ponte tibetano del mondo che sarà costruito nella zona della Valle del Vigi, nel Sellanese.

La prima è assurta a cronaca nazionale e chiamata, in maniera quasi esilarante, la piccola Venezia.

Paesino bellissimo e da sempre mal collegato con Foligno con il trasporto pubblico, ha iniziato ad avere una diversa visibilità grazie al lavoro incessante dei volontari di detto paese che – ora con il passa parola ora con i social, ma pentiti – ha trovato linfa insperata e turbando la calma delle limpide acque sorgive con turisti che nel visitarla ne fanno uno status symbol del viaggiatore globale ma non attento alle sfumature.

Nei giorni pre festivi e festivi è preso d’assalto da questi visitatori improbabili e improponibili che violentano il paese di schiamazzi e cartacce, affollando i negozi che vendono le stesse cose sia a Lampedusa che a Vipiteno.

E intasando la statale che porta al Valico del Soglio e dimenticando – il più delle volte – il Santuario della Madonna delle Grazie con i Suoi innumerevoli e bellissimi ex voto e non accettando, in cuor loro, quel minimo di spiritualismo per evitare di portarsi colà da Rasiglia camminando.

E si sentono amanti del trekking.

Di converso il ponte Tibetano che verrà costruito – a meno che alla fine vengano (grazie a Dio) meno i fondi per costruirlo – sulla Valle del Vigi farà rete con Rasiglia con una sorta di turismo diffuso al pari degli hotel diffusi.

In pratica un pugno su un occhio che porterà visitatori da ogni dove per percorrere ,in 55 minuti, il ponte stesso e poter dire, come novelli Giulio Bedeschi nelle sue monografie dei fronti di guerra “C’ero anche io” (ed. Mursia).

Secondo me la montagna non si salva in tale modo con il turismo mordi e fuggi di cittadini stanchi del caos che amano – con un pizzico di patologia neuropsichiatrica – ritrovare il caos ma in un posto più bello e postarlo su Facebook.

Si sta pagando lo scotto di una politica degli anni ‘70 in cui una parte politica voleva il trasferimento dei braccianti e piccoli proprietari terrieri nelle fabbriche e trasformare i predetti da elettori democristiani incalliti a comunisti alienati a motivo del quale non si è mai fatto nulla per mantenere la popolazione e le iniziative economiche in montagna per evitarne lo spopolamento.

Sostanzialmente un dispetto politico a scapito di chi viveva in montagna.

Cominciando con il non asfaltare le strade laddove in Veneto – per non parlare del Trentino Alto Adige – sono asfaltate perfettamente anche quelle stradine che portano a malghe a 2000 metri di quota.

La scesa in città quindi è stata una scelta obbligata di persone che dello sconfinamento di un aratro in altro campo era sinonimo di guerra dei 100 anni (1337-1453).

Ma si è abbandonata la montagna e lasciata in mano ai cinghiali che rovinano tutto unitamente ai cinghialari che incutono timore quando bloccano montagne per le loro battute di caccia agli stessi.

I campi coltivati vengono massacrati,i pascoli rimangono terra di nessuno se non per qualche pastore che campa di stanchezza e di stenti sotto ogni punto di vista e non sbarcano il lunario per stare dietro a contributi e normative europee con il risultato che trovare un formaggio pecorino buono è come trovare un elettore del Pd che dica qualcosa di sinistra.

È la morte lenta della montagna e dei suoi abitanti, le sue pievi, i paesi vuoti di inverno e stracolmi d’estate quando si torna al paesello in un processo mortificante e umiliante per il contadino che vede la calata dei nuovi barbari.

E la sera rimanere soli in quota senza prospettive se non di attendere il “casino” il giorno dopo.

Persone che affermano di amare la montagna ma che non hanno nulla di approccio alla stessa con il dovuto rispetto e, senza scomodare Julius Evola con il suo “Meditazione delle Vette” (ed.Mediterranee), mi viene in mente ciò che affermava Valter Bonatti: si conquista l’uomo, non la vetta.

Oggi si conquista, con ben altro spirito, una buona forma di cacio.

Anna Morena, quando voce e fascino incantano il pubblico

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Annamaria Consales, in arte Anna Morena è una bellezza del sud che con una voce calda e suadente incanta il pubblico.

Inspirata da Cristina Aguilera, Anna Morena con il suo talento è pronta a intraprendere famose cover e canzoni che gli autori stanno scrivendo per lei. Sono le dichiarazioni della talentuosa cantante in merito all’approccio con la musica.

Anna Morena in una esibizione live

Bellissima, grintosa, dal viso angelico, con un fisico molto accattivante e sexy. Attualmente Anna lavora a Milano come fotomodella ed ha posato per set fotografici e pubblicitari. Tra uno scatto e l’altro l’artista si ritaglia del tempo per mostrare le sue doti canore: “Ne la musica ne posare come fotomodella sono impegnativi dato che è una passione – fa sapere Anna – Potrei dire che la musica è un poco più “complicata” perché si mettono in gioco più qualità rispetto alla fotografia che basta essere belle e avere spontaneità nell’esibirsi (ride, ndr)”

La giovane artista su Instagram vanta di un invidiabile esercito di follower, quasi ventimila, e proprio li, ci sono dei suoi bellissimi scatti. Sfondare nel mondo della Tv o su qualche social network, questo, l’obbiettivo che si è prefissata Anna: “Vedo e spero in un futuro in qualche programma televisivo o piattaforme come i social che mi permettono di darmi visibilità ed opportunità lavorative serie come artista”.

Srikanth Tupakula, lo stilista indiano che ama l’Italia

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Creativo, versatile e ambizioso Srikanth Tupakula ex ingegnere informatico nel 2010 decide di avventurarsi nel mondo della moda avviando una società chiamata “Continuum North Design Lab”. Il 4 Febbraio 2011 Srikanth Tupakula lancia la sua collezione durante la sfilata “Design Transpose” tenutasi a Taj Deccan, Hyderabad in India.

Come avrete già immaginato Srikanth è uno stilista indiano che sin da subito ha avuto riscontri positivi nel fashion system partecipando a numerose iniziative fra cui la sfilata di Indian Fashion Street tenutasi al The Park Hotel, Hyderabad e apparendo in molti articoli di giornale.

Nell’ottobre 2013 lancia il suo marchio di accessori premium a prezzi competitivi che chiama: “Designer Dreams” ma la sua popolarità si deve anche all’ampio raggio di produzione di capi di alta moda per uomo, donna e bambino. Successivamente registra un nuovo marco ancora più di elite “GUN-Power Dressing” la cui collezione “SARVA”, sarà presentata allo Sheraton, Hyderabad nel settembre 2017.

Il brand è conosciuto in tutto il mondo tanto che le vendite avvengono al dettaglio, per la grande distribuzione, online ed esportando le creazioni all’estero anche sotto commissione. La specialità è òa produzione di abiti di alta qualità, di cotone e seta, sartoriali che presentano dei finissimi ricami fatti esclusivamente a mano, cercando di mantenere dei costi accessibili a tutti. I disegni prendono ispirazione dalla natura e si riflettono alla perfezione nelle creazioni.

In un futuro non troppo lontano, Srikanth Tupakula vorrebbe trasferirsi in Italia e farne una seconda casa, poi espandere le sue attività in altri paesi europei. Il suo sogno è fornire abiti firmati di lusso a prezzi accessibili in tutto il mondo.

Clotilde Meloro, una vita all’insegna dell’arte

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Clotilde Meloro originaria di Bagnoli Irpino, provincia di Avellino, nutre sin da bambina la passione per l’arte che esprime nel disegno, nella pittura, nella fotografia e nella moda.

Come nasce la tua passione per la moda?

“Sin da piccola osservavo incantata le sfilate per televisione e immaginavo un giorno di poter essere lì. Pian piano questa passione si è trasformata in un vero e proprio lavoro, ho deciso di ampliare le mie conoscenze iscrivendomi e laureandomi all’Accademia della moda a Napoli. Una volta conseguito il diploma di laurea ho deciso di continuare gli studi a Roma conseguendo il Master in Fashion Brand Management”.

A cosa ti ispiri per le tue creazioni? Hai già creato una tua capsule, hai avuto modo di far sfilare i tuoi modelli?

“Ho già realizzato 3 mie capsule di 3 diverse ispirazioni. La prima capsule e stata di ispirazione all’antico Egitto, ho richiamato il loro stile rendendolo contemporaneo, la seconda è ispirata allo stile etnico, richiamo così lo stile orientale nei miei abiti creando inizialmente un Mood di ispirazione per poi ricercare tessuti, disegnare abiti a mia fantasia e realizzarli. La terza ispirata alla Natura in essere richiama dettagli della natura sui vestiti ma non finti (questi dettagli sono del tutto naturali o presi in natura) in modo da aiutare così anche l’ambiente contro l’inquinamento”. 

Vivi la moda a 360 gradi, posi anche come modella, le due cose vanno a pari passo? 

“Ora come ora anche questo mi occupa molto tempo, infatti, sono alle prese con delle aziende che mi commissionano lavori di fashion designer come freelance e realizzo anche abiti. Parlando della fotografia come già accennato ho sempre amato l’arte e ho sempre pensato che con essa si potesse comunicare. Crescendo ho avuto modo di interfacciarmi e di conoscere persone che come me amano comunicare con essa attraverso la fotografia e così abbiamo deciso di mettere su diversi progetti artistici (non solo foto di scena) ma anche foto di sensibilizzazione. Infatti, tra i miei progetti mi sono fatta portavoce anche contro il razzismo realizzando un servizio fotografico. Oggi posso dire che la fotografia mi occupa abbastanza tempo è che per me è un lavoro a tutti gli effetti. E sono onorata di tutto ciò! Amo quello che faccio e come lo faccio. Un lavoro a tutti gli effetti che oggi effettuo in tutta Italia”.

Hai progetti per il futuro?

“Sicuramente trasferirmi altrove e interfacciarmi sempre di più con nuove grandi realtà in ambito sia fashion che fotografico. Sto inoltre pensando di realizzare qualche mostra con le mie capsule di abbigliamento. E chissà essere imprenditrice di me stessa. Sono già alle prese con diverse idee! Oggi posso dire che vivo la moda a 360 gradi sia come stilista che come modella e sono felice che sia così”.

Marco Salerno: la sua vita divisa tra i pazienti e l’arte

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Marco Salerno, classe ’78 inizia a “scarabocchiare” sin da piccolo ed è affascinato dai primi anime, i robottoni di Go Nagai, primo Jeeg il robot, inizia a riprodurre episodio dopo episodio i suoi eroi. Ma il suo percorso di studi non ha nulla a che fare con il mondo dell’arte, infatti Marco si diploma come perito tecnico commerciale programmatore e si laurea in scienze infermieristiche. La sua passione per il disegno resta inconfutabile, inizia a disegnare fumetti per il gruppo dei Grind Comics, poi disegna una ministoria di Daryl Dark per la Cagliostro E–Press e successivamente chiamato da Michele De Paulis, autore di Partenopeide e Ostrakon, realizza illustrazioni e copertine a marchio LFA Publisher.

“Uomo Disonorato. Spada Disonorata” di Marco Salerno e Davide Schiano di Coscia

Quest’ultima ha pubblicato la trilogia “Uomo disonorato. Spada disonorata” che vede nel primo volume la sceneggiatura di Davide Schiano di Coscia mentre negli altri due un lavoro a tutto tondo di Marco Salerno. Nel frattempo, del suo lavoro da infermiere Salerno si è unito alla rivista “Gli scarabocchiatori di Zio Lò”.

Marco hai spaziato molto nella tua vita, negli studi e nel lavoro hai toccato settori diversi. Cosa ti appassiona di più?

“Beh sicuramente la mia vera passione è stata e resta il disegno, è ovvio, anche se io vivo di passioni alcune maggiori, altre minori ma posso asserire in tutta serenità che il disegno è la mia passione con la P maiuscola. Ovvio che tutte le altre esperienze mi hanno formato e hanno fatto sì che optassi per determinate scelte che mi hanno portato al punto in cui sono”.

Nel futuro ti vedi più disegnatore o infermiere?

“Domanda difficile, anche perché alla mia età progettare il futuro sembra quasi un paradosso, comunque per rispondere nel mio futuro mi vedrò sempre infermiere ma sarò sempre disegnatore, il disegno è una costante che mi ha accompagnato per tutta la vita e lo farà fino all’urna”.

Cosa consigli ai giovani che vogliono approcciarsi a questo mondo?

“Cosa consiglio? Beh l’unica cosa che mi sento di dire è che se l’idea di partenza è copiare disegni senza aver studiato anche un minimo è come condurre alla cieca e il disegno come la musica, la poesia e ogni forma di espressione è sempre frutto di duro lavoro e dedizione. Se si vuole migliorare bisogna sempre guardare ai propri lavori chiedendosi cosa manca anziché dire: guarda cosa ho fatto”.

Mi hai accennato che presto uscirà Amnesia Diner & Coffee, ci puoi anticipare di cosa parla?

“No, non presto, per ora è un concept che sto sviluppando assieme all’idea di uno spin-off da inserire in una riedizione di Uomo Disonorato. Spada Disonorata, volume unico. Unico spoiler: la torta di mele dell’Amnesia ha qualcosa di veramente speciale e Molly ne è la custode della ricetta. Per ora vi basti sapere questo”.

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