Potete immaginare che avendo quasi 62 anni qualche acciacco di salute può starci anche in considerazione che il mio fisico l’ho sfruttato al meglio abusandone perché, non essendo ipocondriaco, mi sono sempre sentito immortale o Nembo Kid.
Poi, però, con l’età e la presa d’atto che al primo spiffero di vento tiepido ti viene quasi il coccolone, ho pensato che forse uno step clinico fosse necessario.
Roba da controllare venendo da una famiglia di persone con la pressione alle stelle.
E chiaramente quando la salute, per un motivo più o meno valido, comincia a dare un po’ di fastidi se non problemi, si iniziano a cambiare anche i parametri sociali e spirituali per giungere alla conclusione che i nostri contadini affermassero una grande verità: l’importante è la salute.
Su questo, forte del mio senso quasi estetico a credere in Dio pur come le mie ovvie lamentele e riserve, ho sempre pensato quando vedevo o vedo tutt’ora una persona anche sconosciuta sofferente o con grande disabilità per qualche motivo, di ritenermi un privilegiato e al contempo domandarmi come affronta la situazione la persona dolente incontrata e cercando di immedesimarsi nelle difficoltà altrui e uscendone sempre sconfitto, dal momento che nessuno può imitare il dolore degli altri perché la testa e il cuore sono diversi da persona a persona.
Ma l’osservazione di questi malati mi ha fatto sempre sospettare di non affrontare con il dovuto senso di un samurai le difficoltà che incontro nella logistica lavorativa perché ho sempre pensato che i problemi sono ben altri.
Ma, come per tutti, è un punto di equilibrio interiore difficile da mantenere se non altro perché avendo una carattere articolato e fumino mi accorgo che ai miei proclami di perfetta letizia interiori, al primo intoppo bestemmio metaforicamente tutti i santi del calendario di Frate Indovino che fa bella mostra in cucina.
E va a farsi benedire lo spunto di spiritualismo che mi ero programmato sin da piccino, assumendo a totem la frase predicare bene e razzolare male.
Ma d’altronde Prezzolini affermava che la coerenza è la virtù degli imbecilli.
Fatta questa digressione vengo al caso in esame.
Pacifico è che curarsi come dio comanda è la speranza di tutti come è altrettanto vero – nella eterna illusione di salvezza corporale – che tutti noi quando accusiamo qualche problema clinico speriamo che tutto si risolva per il meglio solo perché un medico frettoloso ha fatto una diagnosi sbagliata e facendoci prendere un colpo immotivato il più delle volte.
Ma se la faccenda è un po’ più seria subentra quello che è l’oggetto della presente considerazione e cioè avere le risorse economiche per curarsi.
Ho sempre pensato che uno Stato che possa definirsi efficiente deve far funzionare i tre settori sociali nevralgici che elenco in ordine sparso: giustizia, istruzione e sanità.
E se non funzionano questi tre settori siamo messi male.
Tralasciando i primi due parlo della sanità pubblica che – nonostante il tentativo di distruggerla – sta ancora in piedi anche se malamente al punto che la battaglia sulla stessa in sede di elezioni amministrative regionali ultime, si è rivelata decisiva per far tornare l’Umbria non tanto rossa, ma sostanzialmente catto-comunista.
Questo perché alla salute tutti mirano e tutti hanno paura a motivo del quale è stato un argomento molto sentito.
Ma è innegabile che il problema sono le liste di attesa talmente lunghe che una persona nel frattempo potrebbe anche morire, data la circostanza che molti medici abbandonino la sanità pubblica per quella privata dove percepiscono stipendi degni della loro laurea.
Ne consegue un indiretto aumento delle prestazioni private e fallace snellimento delle liste di attesa pubbliche in considerazione che se una persona sta male veramente va a rotta di collo per curarsi.
E io sono tra questi.
Ma al contrario di tantissimi, ho disponibilità economiche per farlo al punto che posso andare anche dei più grandi luminari italiani che poco mi sposta, ma gli altri?
Le famiglie monoreddito che fine fanno?
Devono operare scelte drastiche tra curarsi a pagamento ma rinunciare ad una lavatrice o a un cambio gomme dell’auto per esempio.
Perché questo è il dramma in questa società plutocratica di origine calvinista dove si ha valore proporzionalmente ai soldi in banca e andando a svilire il valore dell’uomo e della sua interiorità.
Jacques Le Goff, compianto studioso del medioevo, ha sempre sostenuto la dicotomia del tempo dei mercanti e il tempo dei cavalieri quale simbolo di una materialità pregnante in contrapposizione ad una spiritualità oggi repressa da tutti perché si ha fretta.
Fretta di concludere, di guadagnare e di guarire.
Un ansia perenne su cui la sanità privata fa leva per il proprio tornaconto economico e che svilisce in maniera irreversibile il compito che uno Stato degno di questo nome debba avere: proteggere i suoi cittadini dando a tutti la stessa possibilità di cura.
In fine dei conti non si tratta di una teoria marxista quella enunciata, ma di buon senso verso i miei patrioti meno fortunati che invece debbono prendere atto che si è rotto quel contratto sociale tra Stato e cittadino di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778).
Per colpa dell’Europa.