Negli ultimi mesi si è parlato quasi esclusivamente di una serie tv: “M. Il figlio del secolo”. Si tratta dell’adattamento televisivo del primo romanzo della quadrilogia su Benito Mussolini di Antonio Scurati.
Della serie si è iniziato a parlare più per le trovate pubblicitarie che per il contenuto di questa. Alcuni pasdaran hanno da subito cominciato a gridare al ritorno al fascismo sin dal momento del lancio a reti quasi unificate del trailer della prima puntata, in cui si vedevano saluti romani, camicie nere e tante manganellate. Elementi che hanno spaventato, facendo temere un ritorno al Ventennio, nonostante alla fine venisse detto che la serie era tratta dal romanzo di Scurati, che certamente non è appartenente ai “Battaglioni M”.
Successivamente ci ha pensato Luca Marinelli, attore che interpreta Mussolini, sostenendo che si è sentito a disagio a interpretare il Duce in quanto viene da una famiglia antifascista, suscitando diverse critiche tanto da destra quanto da sinistra sul fatto che comunque i soldi li ha ricevuti e se era a disagio poteva comunque rifiutare il lavoro, che comunque è quello dell’attore, cioè impersonare, recitare, portare sulla scena sentimenti e movenze.
Al netto di queste polemiche, magistralmente create per invogliare la gente a guardare la serie, il prodotto è alquanto gradevole e, tenendo presente che si tratta dell’adattamento di un romanzo storico, quindi, non di un’opera di storia, si apprezza nel suo complesso. Ovviamente ci sono alcuni errori storici grossolani, uno su tutti il fatto che i fascisti già dal 1919 chiamano Mussolini “Duce”, cosa che nella realtà avviene più avanti. Interessante è lo sfondamento della quarta parete, con Mussolini che interagisce con lo spettatore, rendendolo partecipe di quello che avviene nella sua mente e che gli altri personaggi non colgono. C’è da dire, però, che questa tecnica è sì interessante, ma è ripetuta allo sfinimento, ogni tanto nel corso della puntata ci si chiede se Mussolini parli mai effettivamente con gli altri personaggi, perché farlo solo con il pubblico dopo un po’ risulta stucchevole.
L’ultima nota dolente riguarda le intenzioni del regista, ma anche dell’autore del libro. Rappresentano Mussolini e i suoi sodali come dei compagnoni, che passano molto tempo a bere e a frequentare le donne, quando non parlano di politica in modo molto maccheronico oppure non pestano o uccidono i socialisti. Piuttosto che un gruppo di feroci assassini, vengono rappresentati come dei buontemponi con i quali lo spettatore si trova anche in compagnia, gli stanno simpatici e ci uscirebbe tranquillamente la sera per una birra.
L’unico vero oppositore di Mussolini nella serie non è né Matteotti, la cui ricostruzione dell’omicidio è alquanto comica, invece che tragica, né Facta o Nitti, bensì Cesare Forni. Questi è l’unico che sfida apertamente Mussolini, lo minaccia e crea un partito che lo sfida alle elezioni e viene pestato dalla Ceka fascista in stazione a Milano. Tutto molto bello, se non fosse che Forni, sindacalista rivoluzionario e fascista della prima ora, entra in contrasto con Mussolini quando questi, in vista delle elezioni del 1924, vuole aprire le lista a liberali e socialisti pentiti e fermare i pestaggi, cosa che Forni, fascista duro e puro, disapprova.
In conclusione, la serie, come già detto, è abbastanza godibile, otto puntate da cinquanta minuti l’una. Scorre velocemente, si guarda spegnendo il cervello. La classica commedia all’italiana, con tanta volgarità e molto sesso.